Popolarità. Sì bramata ma tanto difficile da raggiungere. Per Gionni Moranduck, che se non fosse un cantante con una carriera costellata di hit (Non son degno di tè, La filarmonica, Sei forte Zazà) sarebbe un fantastico life coach, essa è collegata ad alcuni tag ben precisi: disponibilità, cortesia, sorriso. Soprattutto abbraccio. Diciamo tag non a caso, perché Moranduck è anche un superbo smanettone dei social network (il “codice Moranduck”, anzi, passa soprattutto da lì).
Probabilmente gli esperti di formazione personale direbbero che l’artista applica alla celebrità i paradigmi di comportamento canonizzati da Dale Carnegie in Come trattare gli altri e farseli amici. Forse però non è del tutto esatto affermare che la popolarità è un traino della celebrità: sono due piani molto vicini e tendono ad incrociarsi, questo è evidente, ma in sostanza sono indipendenti l’uno dall’altro. In fondo la celebrità è l’immagine che si riflette su di noi, come conseguenza degli atti per cui ci siamo fatti conoscere; parallelamente la popolarità è il risultato di tutto ciò che facciamo, quotidianamente, interagendo con gli altri. Una certa popolarità conferisce una qualità determinata al nostro essere celebri, e questa qualità può naturalmente cambiare, a vantaggio o a discapito della fama, in base a come ci comportiamo con le persone. La celebrità è un apice, su questo non ci piove, ma se è accompagnata da uno scarso gradimento non la si può cambiare in meglio, perché non appartiene a noi, ma alla reputazione che ne hanno gli altri; sul piano della popolarità, invece, possiamo impegnarci al massimo per essere coerenti, amabili, affidabili o semplicemente rispettosi, e proiettare le nostre credenziali positive sulla nostra immagine conosciuta.
Dirimpetto a Moranduck c’è zio Paperone, altra persona celebre a Paperopoli che però ha fatto dell’impopolarità la sua popolarità. Il grande miliardario, taccagno e diffidente nei confronti del prossimo, è l’esatto contrario di Moranduck: non sorride a nessuno, evita il contatto fisico con chiunque, mette al bando sistematicamente tutti i piccoli gesti quotidiani in grado di attirargli simpatia. In certi periodi, poi, è più burbero del solito: ma quando viene cacciato dal club dei miliardari per il suo cattivo carattere Paperino decide che, forse, per lo zione è arrivato il momento di svoltare. E ingaggia come “allenatore mentale” proprio lui, Gionni Moranduck.
Questi, dopo aver preso le misure al soggetto, lo dice chiaro e tondo: posso fare ben poco, se non è lui a voler decidere di cambiare. Ecco il problema, in effetti: il brutto carattere è pur sempre carattere, e se è strutturalmente legato alla storia e al modus operandi della persona cambiare quel carattere non significherebbe migliorare quella persona, ma alterarne l’identità. Ed è qui che si vedono le doti di guru di Moranduck: Paperone, consiglia lui (e prontamente approva anche Paperino), non deve sforzarsi di essere qualcuno diverso da quello che è, ma mostrarsi per quello che è e comportarsi per quello che vorrebbe essere. Tony Robbins non avrebbe saputo dire di meglio: sui limiti che ci ha dato la natura non si interviene, dobbiamo solo essere disponibili a sollecitare quella fotografia che abbiamo in fondo all’anima del nostro io perfetto. Non si interviene neanche sulle abitudini: Paperone non è un tipo social e non lo diventerà di più neanche dopo l’illuminante incontro con Moranduck. Però, vecchia pellaccia di affarista, dalla realtà social riuscirà a cavar fuori l’idea per un nuovo business: una app che aiuta ad equilibrare il tempo da passare su Internet con quello da trascorrere in compagnia degli amici.
Perché ci sono certi pilastri che non possono essere cambiati? Perché limiti temperamentali e abitudini fanno un brand, e il brand è la popolarità: tutto ciò che il pubblico chiede è di poterne avere accesso il più immediato possibile. Ed è tutta pubblicità (pagante): ok, Paperone?
(Da Topolino 3214; soggetto e sceneggiatura di Francesco Artibani, disegni di Alessandro Perina. Recensione di Gianluca Vivacqua.)