9 Febbraio 2015 07:14

Il mestiere del fumetto e la crisi: numeri e fatti concreti

marciaAutori

Gli Stati Generali del settore francofono si sono riuniti durante l’ultimo festival di Angoulême, come si sa, presieduti dallo sceneggiatore (ed esperto di fumetto) Benoît Peeters. L’analisi è stata approfondita e (quasi) spietata. La crisi generale ha attraversato il settore del fumetto acuendo problemi che già erano lì da anni. In effetti, di eccessiva produzione di fumetti era da molto tempo che se ne parlava, come di tutti i problemi legati alla digitalizzazione, alle percentuali spettanti agli autori, ai bassi numeri delle vendite individuali degli albi, alla concorrenza di manga e comics, alle riedizioni dei classici alle ristampe e così via.
Niente di nuovo.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso, portando la categoria a scendere in piazza, è stata tutt’altra faccenda: la previdenza complementare.

Insomma, al netto di tutto il resto, cioè del fatto che dei 1.300 autori francesi (di cui 1.100 disegnatori) professionisti, solo una cinquantina guadagna decentemente (e qualcuno anche molto bene), mentre il resto viaggia attorno al “minimo sindacale” (altro termine, come la previdenza, forse quasi sconosciuto agli autori italiani), l’elemento scatenante è stato la riforma pubblica del RAAP (il regime degli artisti e degli autori professionisti) che ha portato il contributo obbligatorio per la pensione complementare da quasi niente all’8%.  Tradotto in cifre assolute, si passa da un versamento per la pensione (diciamo così per semplificare) da poche centinaia di euro, a uno stipendio mensile all’anno.
Per fare un paragone italico, dovremmo considerare che, ormai, chi ha diritto a una pensione ricavata dal proprio lavoro, avrà in vecchiaia solo quanto ha versato, ovviamente. Se ha versato troppo poco, sarà una miseria e dovrà appoggiarsi integralmente sulla cosiddetta “pensione sociale” (finché esisterà: sono i famosi circa 500 euro al mese di cui si è tanto parlato a casa nostra). La previdenza complementare serve, anche in Francia, a integrare l’inevitabile miseria della pensione sociale. E’ obbligatoria proprio perché altrimenti in vecchiaia lo stato sociale sarebbe disastroso.

Un qualunque lavoratore dipendente italiano versa, per poter avere una pensioncina decente in vecchiaia, cifre notevoli, altro che uno stipendio l’anno (siamo sull’ordine del 30% circa, di cui 2/3 a carico del datore di lavoro e 1/3 a carico del lavoratore). Viceversa farebbe la fame da vecchio. Come riesce a farlo? Semplice: il suo lavoro, per quanto magari non eccessivamente retribuito a livello netto, rende molto, quindi consente di toglierne una parte adeguata per la pensione. Per giunta il tutto è frutto di grosse trattative e di un enorme lavoro sindacale.
Il lavoro dei fumettisti di cui sopra, invece, sembrerebbe rendere molto poco in termini assoluti (un albo da 15 euro che in un anno vende circa 2.000 copie non è certo una gran fonte di guadagni complessivi da suddividere tra editori, distributori, librai, autori ecc.), anche perché (al di là del gradimento individuale dell’opera) il mercato richiede molto meno di quel che autori ed editori producono annualmente (svariate migliaia di titoli nuovi ogni anno, praticamente tutti in libreria). In sintesi si potrebbe azzardare che 1.300 autori in Francia (e dintorni) sono troppi rispetto ai lettori di fumetti che, per giunta, non comprano solo fumetti inediti locali, ma, naturalmente, anche fumetti d’importazione e fumetti non inediti.

E non è tutto. I grossi gruppi di distribuzione come Google e Amazon (e simili) vanno verso una sorta di “abbonamenti” simili a quelli televisivi e cinematografici per cui, pagando una cifra fissa annua, si legge quel che si vuole. Per i lettori questa è una vera manna. Per gli autori è fonte di grande inquietudine da diversi punti di vista…

Insomma, per il sindacato dei fumettisti francesi c’è un durissimo lavoro da fare e le prospettive, al momento, sembrano decisamente poco rosee. Già, perché se il mercato francofono del fumetto produce, di fatto, ricchezza sufficiente per 50 autori (ed editori ecc. collegati al lavoro di queste 50 persone), va da sé che gli altri 1250 dovrebbero cercarsi un altro lavoro la cui resa complessiva sia adeguata alla sopravvivenza degli individui (cioè circa 30.000 euro di PIL pro capite annuo, per restare nella media del singolo francese) e magari fare fumetti solo per passione. Conclusione drastica, ma tutto sommato chiarificatrice della sostanza vera e cruda del problema: i quasi 70 milioni di francesi hanno già i loro bei problemi e non sembrano avere alcuna intenzione di mantenere, col proprio lavoro, i fumettisti che non rendono abbastanza. Se non producono PIL adeguato, e non sono in grado di farsi una pensione decente, cambino lavoro.
Saperlipopette, datemi un Mecenate che non capisca nulla di economia…”

E in Italia come butta?