13 Gennaio 2015 09:00

Cedo la parola … parte 1.

Non ci riesco.

Riconosco la mia impossibilità attuale nel trovare parole oggettive e distaccate su ciò che considero, a mio opinabilissimo parere, un’ offensiva reazionaria, subdola e proterva da parte del Monismo di Casa Nostra al vivere civile, al progresso e – ebbene sì, maledetto Borghezio – alla pace mondiale. Non mi riesce proprio di esprimere equidistanza mentre vedo la realtà stravolta e adattata alle esigenze di chi considera la discriminazione e il razzismo una forma di ‘libertà d’espressione’, e che per scopi eminentemente opportunistici e politici fomenta una visione della società segregazionista e teocratica. E’ questa la mia opinione, e non aggiungerò altro.

Ho deciso però di proporvi due pezzi dello scrittore Maurizio Maggiani, tratti dalla sua rubrica sul Secolo XIX e contenenti alcune sensate argomentazioni in cui mi riconosco pienamente. Il primo lo trovate qui sotto, l’altro seguirà a stretto giro di posta. Non è obbligatorio essere d’accordo: la democrazia è un dialogo continuo fra opposti che tentano di coesistere.

Democraticamente, appunto. (Eric Rittatore)

1) A proposito della presunta ‘Naturalità’ della Famiglia:

Questa estate, in due diverse occasioni, ho avuto modo del tutto casualmente di incontrare dei bambini figli di genitori omosessuali. Sono stati brevi incontri inconsapevoli, ovvero ho saputo solo dopo, in un caso dai loro genitori e nell’altro da dei miei conoscenti, che si trattava di figli di famiglie omogenitoriali, famiglie legalmente riconosciute altrove in Europa e nel mondo, ma, come è noto, non in Italia.

Si era in periodo di vacanze e in luoghi di villeggiatura, e tutto quello che avevano da fare i bambini, quelli e tutti gli altri, era di spassarsela in spiaggia con palle, racchette e aquiloni, mangiare cose orribili in ogni impensabile momento, e tutto quanto il resto dell’armamentario giocoso loro dovuto, ma devo dire che non ho avuto modo di distinguerli o riconoscere una qualche difformità o singolarità del loro comportamento neanche dopo la “rivelazione”.

Ho ripensato a lungo a questi incontri estivi nei passati giorni, quando, a seguito delle dichiarazioni di alcuni dirigenti politici, si è ritornato a discutere della legalizzazione delle relazioni omosessuali e del diritto di quelle famiglie così formate ad avere prole. Ci ho pensato e ripensato, e sono venuto ad una non esaltante conclusione, la seguente. È assai probabile che se avessi saputo prima della condizione famigliare di quei bambini, li avrei osservati con sguardo diverso, uno sguardo segnato dal pregiudizio.

Un pregiudizio non negativo, è da quando ero ragazzo che non mi scopro pulsioni omofobiche, ma di eccezionalità, particolarità, specialità della condizione di quei bambini, questo sì. E dove c’è eccezionalità c’è diversità, e la diversità porta sempre dei problemi. Quelli non potevano essere che bambini diversi dagli altri, bambini con dei problemi in più. Mi sono chiesto allora da dove viene questo mio pregiudizio, un pregiudizio latente e involontario, ed è stato facile rispondermi.

Viene da come e dove sono cresciuto, viene dall’ambiente culturale che mi ha formato, una temperie in cui non era “naturale” essere omosessuali, figuriamoci avere una famiglia e dei figli in quella “condizione”. Il fatto che mi sia fatto adulto e viva da tempo con grande coscienza una condizione culturale affatto diversa, non ha dissolto l’antica matrice. E questo è davvero un grosso problema, mio e immagino di molti miei concittadini, il fatto, cioè, che la cultura che mi ha formato mi induca in pregiudizi che, se non ci rifletto con attenzione, stento a riconoscere come tali.

Infatti sono portato a ritenere naturale non ciò che appartiene alla natura, ma ciò che il mio sguardo è abituato a ritenere tale. Un grosso problema culturale che genera un drammatico equivoco sociale. La gerarchia ecclesiastica cattolica – non i cattolici, i quali andrebbero interpellati uno per uno essendo proprietari ciascuno di una coscienza individuale – la gerarchia dunque e gli ambienti politici ad essa legati, oltre a chi appartiene alla tradizionale cultura fascista, si oppongono al riconoscimento legale delle famiglie omossessuali, e ancor più alla possibilità di una prole, sostenendo che l’unica forma di famiglia che va riconosciuta e sostenuta sia la “famiglia naturale”, citata anche dalla costituzione della repubblica.

È probabile che i padri costituenti siano stati un pochino disattenti nell’usare questa espressione, ma le gerarchie ecclesiastiche non sono disattente, mai, e usano questa espressione sapendo che non significa nulla se non in riferimento a una specifica cultura. Infatti, cosa significa “famiglia naturale”? Quella formata da un maschio, una femmina e dalla loro prole? E chi lo dice?

Intanto cosa significa naturale? Forse qualcosa che si perde nella notte dei tempi e che precede ogni forma di sovrastruttura culturale? Se è così, ringraziamo Iddio che la naturalità è stata cacciata dal consesso civile, perché quella famiglia, quella dei nostri progenitori, uomini lupi per gli uomini, per quel che se ne sa era formata da un maschio dominante, alcuni maschi gregari, regolarmente brutalizzati dal dominante, un numero variabile di femmine in età fertile e la prole che non soccombeva al dominio aggressivo del capofamiglia.

Ma se vogliamo introdurre un po’ di civiltà nella naturalità, è forse quella del saggio Salomone la famiglia tipica, un maschio, settecento mogli e trecento concubine? E se consideriamo, come dobbiamo, altre società oltre la nostra, cosa c’è di innaturale nella famiglia matrilineare assai diffusa nelle antiche civiltà asiatiche, generalmente composta da una matriarca, le giovani madri sue discendenti, la prole finché non verrà separata per sesso in età pubere, e nessun maschio adulto residente?

Quello che c’è che non va nella famiglia di Salomone o in quella delle isole Samoa è che non è la nostra famiglia, la famiglia in cui siamo cresciuti noi e quelli che conosciamo. Infatti per me, la famiglia naturale, quella in cui mi troverei maggiormente a mio agio, è formata da una bisnonna, due nonni, una madre e un padre, due zie e almeno una sorella. È lì che sono cresciuto felicemente. Peccato che quella famiglia non esiste più, non esiste più la società che la può contenere, e nemmeno gli spazi. E mi devo accontentare dei ricordi e di qualcosa che non mi faccia sentire troppa nostalgia.

Ma questo non significa che un tempo vivessi nella “naturalità” e oggi nell’innaturalità. Vivo in un mondo diverso, in una diversa condizione sociale, una diversa cultura. E così chiamiamo naturale solo ciò che ci piace o ci è possibile, o ciò che vogliamo imporre imponendo la nostra cultura o la nostra dottrina. Che è per definizione stessa in continua evoluzione, anche quando la vorremmo immutabile. Un congruo carico di inattaccabili studi clinici e antropologici indica da tempo che non si rilevano differenze tra bambini cresciuti in famiglie omosessuali e famiglie eterosessuali. Lì non c’è problema rilevabile scientificamente. Il problema è qui, il problema siamo, come canta Fossati, “noi che abbiamo nella testa un maledetto muro”. (Maurizio Maggiani)

(1. -continua)

voltaire-liberta-di-pensiero

Una risposta a “Cedo la parola … parte 1.”

  1. Nota tecnica per i lettori della vignetta – ovviamente è risaputo che Voltaire non ha mai pronunciato quella frase:
    «The phrase “I disapprove of what you say, but I will defend to the death your right to say it” which you have found in my book “Voltaire in His Letters” is my own expression and should not have been put in inverted commas. Please accept my apologies for having, quite unintentionally, misled you into thinking I was quoting a sentence used by Voltaire (or anyone else but myself).» Le parole “my own” sono messe in corsivo intenzionalmente dalla scrittrice Evelyn Beatrice Hall nella sua lettera. Ella aveva erroneamente virgolettato nel suo libro The Friends of Voltaire, 1906, ripresa anche nel successivo Voltaire In His Letters (1919). La scrittrice stava solo cercando di sintetizzare parte del pensiero di Voltaire e il suo errore di virgolettatura ha dato il via a una delle tante “citazione sbagliate” che sono entrate in circolazione, Come Galilei non ha mai scritto «Eppur si muove» e in nessuna opera di Machiavelli si trova: «Il fine giustifica i mezzi».
    “Citazioni Metropolitane”, insomma… :-)

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