Will Eisner, con le sue storie amaramente realistiche ambientate nell’America povera di qualche decennio fa, e Hugo Pratt, con le fantastiche avventure di Corto Maltese calate entro scenari reali, sono stati i primi, e forse massimi, esponenti di quella “letteratura disegnata” che ha trovato poi ulteriore sviluppo con i capolavori di Frank Miller, Alan Moore e altri maestri del fumetto. Ma nell’Italia degli anni a cavallo del secondo conflitto mondiale si era già avuto un singolare e riuscito incontro tra la letteratura e il fumetto, perché in quel periodo molti romanzi famosi, da Don Chisciotte a Faust, e altri più popolari come quelli di Salgari, hanno avuto precise riduzioni a fumetti a opera di alcuni fra i migliori disegnatori di quel tempo. Il fortunato filone venne aperto nel 1935 dalla storia di Ulceda, la giovane pellerossa protagonista dei romanzi che Salgari aveva dedicato al mito della “frontiera”, disegnata da Guido Moroni Celsi. In seguito, anche per colpa, o per merito, del divieto di pubblicare fumetti e romanzi di autori americani, il fumetto italiano cominciò a produrre storie autarchiche, con situazioni e personaggi che spesso ricordavano quelli dei comics americani, ma anche altre ispirate, come detto, a capolavori della letteratura, insieme ad altre storie di infinite puntate, con un chiaro taglio nazional-popolare e spesso anche patriottico. E’ difficile ricordare tutti i “romanzoni” ospitati in quegli anni sull’Audace o Topolino (i giornalini allora più diffusi), ma dal 1938 in poi ci fu una vera moltiplicazione di fumetti tratti da romanzi, a cominciare da quelli ispirati a romanzi salgariani tradotti in suggestive immagini da Rino Albertarelli, Walter Molino e altri. Accanto a questi va ricordato il Faust (un mito immortale narrato da Goethe, Marlowe, Thomas Mann, ecc.) disegnato all’inizio, luglio l939, da Gustavino sull’Audace e poi proseguito nel 1941 da Albertarelli su Topolino. E ancora: Don Chisciotte disegnato da Angelo Bioletto sull’Audace (ma il romanzo di Cervantes avrebbe avuto altre versioni, di Jacovitti nel 1950 e di Lino Landolfi nel 1968), Sigfrido di Antonio Canale sullo stesso giornale, e poi Saturnino Farandola, una grottesca e avveniristica visione del futuro narrata nel primo Novecento dal francese Albert Rovida e disegnata da Pier Luigi De Vita. Accanto a queste storie di origine letteraria, il fumetto italiano si sarebbe arricchito, negli stessi anni, di alcune straordinarie saghe popolari, piene di tutti quegli ingredienti di facile effetto per catturare per infinite puntate i giovani lettori. Ecco allora il lunghissimo ciclo ospitato sull’Intrepido dal 1939 al periodo post-bellico, di Cuore garibaldino, una storia disegnata all’inizio da Ferdinando Vighi e poi proseguita da Carlo Cossio (con testi di Luciana Peverelli), che trasporta i giovani protagonisti dal Sud America degli anni di Garibaldi all’Italia del Risorgimento e delle guerre del secolo scorso. Ed ecco la storia, altrettanto lunga, del Gentiluomo di 16 anni, una vera agiografia di Casa Savoia realizzata nel 1938 su Topolino da Pedrocchi e Albertarelli, oppure l’inquietante vicenda di Virus, il mago della foresta morta, scritta da Federico Pedrocchi e disegnata da Walter Molino e pubblicata sull’Audace nel 1939 con protagonista uno scienziato folle che vuole dominare il mondo con raggi mortali e morti viventi. Alla stessa coppia di autori si deve anche, sempre nel 1939, Capitan l’Audace (ospitata sull’omonimo settimanale), una vicenda cinquecentesca di cappa e spada, con un coraggioso e generoso cavaliere in lotta contro il perfido Armando di Torrerossa che insidia la contessina Vera di Coldrago, ovviamente amata dal nostro eroe. L’elenco forse è ancora incompleto (come dimenticare Saturno contro la Terra, risposta italiana a Flash Gordon?), ma sufficiente per illustrare il clima dell’epoca che nei fumetti come nel cinema (quello dei telefoni bianchi) o nei romanzi, spesso ambientati in una improbabile Budapest, bandiva ogni riferimento alla realtà. Poi, dopo la guerra arrivarono i comics americani, e gli autori italiani avrebbero scoperto e raccontato altre storie. (Articolo di Carlo Scaringi).