29 Gennaio 2016 16:25

Un Paese piccolo piccolo

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Aò, come si dice: quanno ce vo’, ce vo’.

E’ vero che il Santo Padre “deve fare il suo mestiere”, e mi pare che, almeno fuori dalla cerchia ecclesiastica, nessuno glielo impedisca (a meno che avanzare ogni tanto delle obiezioni non venga considerato “chiudere la bocca al Vaticano“); solo che questi continui “invoco misericordia” da una parte, e “chi sono io per giudicare” dall’altra, poi, alla resa dei conti, si traducono regolarmente nell’invitare le truppe dei fedeli ad “agire secondo coscienza“, ovvero secondo un’arbitraria obiezione di coscienza che crea ostruzionismo sistematico nella vita del cittadino medio, negandogli di fatto l’applicazione di diritti acquisiti e ratificati da precise (bè, insomma…) leggi dello Stato.

Vogliamo essere onesti, Santità? Quanti enti e istituzioni socio-sanitarie restano, più o meno direttamente, più o meno “parificati”, sotto il Vostro controllo? Conoscendo il contesto italiano, Lei potrebbe in tutta sincerità affermare che un qualunque dipendente o funzionario non si sentirebbe intimamente “obbligato”, più che dalla propria fede quanto da logiche ovvie di carriera, a vestire panni dell’obiettore rifiutandosi di prestare servizi “controversi”, come l’interruzione di gravidanza, passando la “patata bollente” all’ultima ruota dell’organigramma (non sempre, tra l’altro, personale idoneo al compito)? E non mi dica che l’obiezione in questi casi comporta coraggio e fermezza: quando, anni fa, feci richiesta per il servizio civile, questo veniva ancora considerato alla stregua di uno “sfregio alle istituzioni”, e financo alcuni religiosi te lo sconsigliavano perché “roba da anarchici o comunisti”(!); ho conosciuto ragazzi trattati da “anormali” (in tutti i sensi) solo perché non volevano prendere in mano un fucile, e senza che alcuna grande “chiesa” alle spalle corresse a difenderne la legittima “libertà di espressione”. Il loro, magari, era autentico coraggio, non certo l’opportunismo codardo dietro cui si nascondono troppi dirigenti e impiegati che delegano i propri doveri a pochi colleghi, più dotati di spirito di servizio o con meno potere contrattuale, a cui tocca, tra l’altro, assumersi il ruolo di paria di fronte all’opinione pubblica, che a certe pratiche fa spesso ricorso ma vuole ancora sentirsi dire che sono “immorali”. Per stigmatizzare gli altri, ovviamente, mica se stessa.

“Ben altre sono le urgenze del Paese!” – tuona il cardinal Bagnasco. Le Caritas segnalano un preoccupante aumento di “nuovi poveri”, dunque? Ai giovani, e non  solo, manca il lavoro, e con ciò?

Continuerete, continueremo ad occuparcene, suppongo.

Ma, scusate, in che modo ciò dovrebbe pregiudicare un iter istituzionale legato a dei diritti civili? Non è altrettanto “urgente”, forse di più, combattere le discriminazioni e la disuguaglianza sociale? Insegnare alle nuove generazioni il rispetto verso ogni persona, a prescindere (anche) dal suo orientamento sessuale? Sono pinzillacchere, queste, o piuttosto i presupposti basilari su cui fondare una società più equa e solidale? In grado, ergo, di distribuire la ricchezza in modo più giusto, contribuendo di conseguenza alla diminuzione della povertà?

Vedete, Sua Santità e Sua Eminenza, che ci conviene un po’ a tutti?

A meno che non si pensi che riconoscere unioni civili (etero e gay), matrimoni omosessuali, e magari il diritto da parte di questi ultimi di adottare bambini (o a procrearli, perché no?) sia una causa primaria del nostro ormai vertiginoso “buco di bilancio” (e non è detto che non sia così, dato che l’ultima pretesa dei cattodem sarebbe di non concedere la reversibilità pensionistica anche agli etero non sposati ), perché mai ci si dovrebbe arenare proprio adesso, o anche solo posticipare quelli che sono semplici riconoscimenti (ricordiamo, internazionali) di serena convivenza? E’ vero che noi ci ricordiamo di essere (anche) europei soltanto se ciò non comporta il dover essere “meno italiani”, ma per una volta potremmo fare lo sforzo di provarci.

Dirsi “aperti al confronto” nel senso in cui lo esprime (e lo intende, presumo) ad esempio l’arcivescovo di Milano, Angelo Scola, premettendo che “amore” e “diritti” riguardano soltanto la “Famiglia Tradizionale” in quanto “c’è unità indivisibile tra differenza sessuale, relazione con l’altro e fecondità”, concludendo malgrado scienza e mera osservazione delle variabili in natura descrivano ben altra realtà, che “questo elemento è oggettivo, pena non essere capaci di assumere la realtà così com’è”, a mio modesto avviso rivelano anzitutto una chiusura netta a qualsiasi posizione divergente, seppur argomentata, e una notevole (quanto educata) protervia nel voler imporre come “dato incontrovertibile” una tesi fondata soltanto su due millenni di più o meno contorti “ipse dixit“, sulla propria fede (legittima ma opinabile in quanto tale) e sulla consuetudine di un comportamento che è diventato col tempo “la norma” anche per essere stato imposto e codificato con l’autorità e non di rado con la prevaricazione. E’ vero che per alcuni “intellettuali” di area cattolica, avversi alla “superstizione”(sic!) darwinista, l’origine della Terra risalirebbe a poco più di 5-6000 anni fa, ma non per questo si ha diritto, almeno oggigiorno, di spacciare la consuetudine con la Legge Naturale, che tra l’altro delle nostre minuzie se ne è sempre fregata altamente , e anche stavolta andrà per la sua strada. Con o senza di noi.

Dunque, chi è che non sa guardare in faccia la realtà?

Continuare a considerarsi il centro del mondo, quando non se ne è più manco l’ombelico, non ha mai fatto bene ad alcuna civiltà.

E’ inutile poi scandalizzarsi se i neofascisti europei si danno convegno dalle nostre parti, col beneplacito della Lega Salviniana e appellandosi disinvoltamente tra loro come “camerati” – lo fanno da sempre, chez eux, a differenza di quelli subdoli di casa nostra che, Borghezio docet, si fan passare per “tradizionalisti cattolici“, e qui magari un cattolico “vero” dovrebbe saltare su di brutto – se poi al momento di combattere la discriminazione di alcuni membri della nostra stessa comunità ci si comporta come il più retrivo dei partiti conservatori, invocando Dio, la Patria e la Bandiera a garanzia del proprio, spelacchiato orticello.

Ecco, la cosa che fa paura è che ‘sta gentaglia non ha più paura di nascondersi: sentono che il loro momento sta tornando, e gonfiano il petto… hanno torto?

Parliamoci chiaro: negli USA va sempre più forte il cialtronissimo Donnie Trump, in quanto abile intrattenitore di masse incattivite per la persistente crisi economica e aizzate a dovere dalla propaganda militar-religiosa, in un contesto in cui le tristi “ragioni” del KKK e di altre simpatiche organizzazioni votate al “Potere Bianco” non sono mai veramente tramontate malgrado la sostanziale multietnicità dell’impasto sociale; e da noi?

Ah, come sempre abbiam da insegnare al mondo intero.

Giudichiamo dal pulpito il nazionalismo altrui, chiamiamo “mostruoso” il fanatismo mediorientale, spesso germogliato in contesti in cui si vive tra la vita e la morte ogni santo giorno, ma poi lisciamo il pelo al diplomatico di turno proveniente da ex cosiddette “nazioni canaglia” in quanto potrebbero portarci quattrini a irrorare le esauste casse, comportandoci come umili lacché senza neppure che ci venga esplicitamente richiesto… cosa peraltro che non dubito farebbe anche un qualsiasi governo di pseudoDestra, o un (diocenescampi!) eventuale Presidente Trump, spiegandoci poi  che il loro è stato “un grande gesto di responsabilità e apertura“, e un “enorme contributo alla lotta contro il Terrore”.

Nel frattempo, l’imbarazzante episodio viene utilizzato per smuovere la cronica sete forcaiola del popolo del web, sventolando il consueto feticcio delle “nostre tradizioni” e strillando da distanza di sicurezza (intanto l’interessato è già ripartito, tra salamelecchi e baciamano) che “chi non s’adegua se ne deve andare!”.

Esattamente ciò che fa, ogni anno, il grosso dei nostri giovani laureati, che mentre i “capi” sbraitano di chiudere le frontiere ci salutano per cercar fortuna (spesso trovandola) altrove: esodo che si svolge in un generale, assordante silenzio che ricorda quello, non meno opportunistico e sconsiderato, che accompagnò altre eccellenze nostrane in esilio dall’ingrata patria, allora scodinzolante ai piedi della Premiata Orchestra “Benito & i suoi Camerati” ed entusiasta di barattare Enrico Fermi con Achille Starace.

Con i risultati che sappiamo… o che dovremmo sapere, e tenere bene a mente.

Sono storie di ieri?

Siamo così: tendiamo a considerare un impiccio, quando non “vergogne”, il nostro patrimonio artistico e culturale (quello vero, non la paccottiglia vetero passatista o ludico modaiola con cui ingombriamo la mente), nascondendolo o deturpandolo mentre esportiamo con l’arroganza dei miserabili i nostri aspetti peggiori; ce la prendiamo con una “straniera” qualunque se si azzarda a indossare il velo per strada, e poi corriamo a coprire una statua (o dei panni stesi, come al triste G8 di Genova) per non “imbarazzare” l’ospite di riguardo. Ci fingiamo forti con chi (a torto) riteniamo inferiore, e ci addobbiamo da giullari nei confronti del “Padron dalle belle braghe bianche”, salvo mostrargli il dito medio alle spalle e gioire scompostamente quando anche lui si dimostra fallace e disonesto come, in fondo, sentiamo di esserlo noi… ma in modo talmente irredimibile da non sentire neanche più il bisogno di migliorare. E su questa china veniamo incoraggiati ogni giorno, perché peggiori diventiamo noi, più alibi avranno coloro che, a torto o a ragione, sono chiamati a rappresentarci: ben pensata, eh? Alla fine sarà tutta colpa nostra, tiè!

Le nostre “figure” a livello mondiale, almeno negli ultimi decenni, sono più o meno tutte sintetizzabili così:

Solo che noi le monete le tiram su, eccome!

Quindi, per concludere: occhio a farsi alfieri di “valori non negoziabili” quando si possiede un’anima da mercanti, o meglio… da bottegai.

Perché tutto il mondo è Paese, purtroppo, ed è pure un paese piccolo.

Ma il nostro, l’Italia, lo è ancora di più.

Eric Rittatore