Continua il riassunto dei cortometraggi in concorso durante Annecy 2023.
I cortometraggi di cui si è discusso nella colazione di venerdì 16 giugno nel (davvero troppo) affollato bar El Pueblo erano quelli del quinto, e ultimo, gruppo di corti in concorso. Che chi scrive ha trovato esser il migliore.
Il primo cortometraggio di cui si sia parlato è stato “La saison pourpre” realizzato usando lo schermo di spilli da Clémence Bouchereau per la Francia.
In una palude vive un gruppo di bambine. Sono insieme e vengono guidate dalle più grandi del gruppo. Cacciano, pescano e esplorano la palude difendendosi dalle insidie del mondo esterno. La loro leader è un’arciera e una delle altre bambine sta imparando a usare arco e frecce con l’intensione di spodestarla. Ma cos’accade in questa società di sole infanti quando arriva il momento in cui queste smettono di essere bambine?
Già il giorno prima al cortometraggio era stato assegnato il premio per il miglior corto francese proprio a Annecy e l’autrice era davvero felice del premio. Il cortometraggio precedente lo aveva realizzato con la sabbia e adesso ha usato lo schermo di spilli. Ha scoperto dell’esistenza dello schermo di spilli di Alexeïef e Parker da studente e ha rappresentato per lei un desiderio, unito alla sensazione plastica del film che si forma sullo schermo.
Il suo primo cortometraggio era su un anziano mentre questo è sulla pubertà. L’idea era fare qualcosa di completamente differente e voleva che fosse cinematografico e con una tematica particolare, che risaltasse. Gli viene chiesto come abbia fatto a convincere i finanziatori, risponde che quando ha proposto il corto ha dovuto mostrare una versione del suo inizio realizzata senza usare lo schermo di spilli e che il contrasto tra questa e l’energia della versione definitiva è forte.
Questo è il suo primo film fatto da sola, è stato tutto più difficile, ma ha potuto realizzare il film come voleva, seguire la sua intuizione e decidere la storia mentre andava avanti con la realizzazione. Essendo la sola a fare tutto ha dovuto affrontare i suoi limiti, per questo è arrivata alla soluzione del realizzare le immagini incomplete, soluzione che ha portato a un risultato stilistico che lei ama davvero. Per realizzare questo cortometraggio ha impiegato due anni. Usare lo schermo di spilli è un lavoro fisico che ti sfida, un lavoro di equipe non è pensabile con questo, perché usarlo diventa un lavoro introspettivo.
Chi scrive ha trovato il cortometraggio un sogno a occhi aperti, le immagini in bianco e nero emergono come dalla nebbia della palude, sfocate e piene di ombre indistinte. Il bianco della nebbia diventa il simbolo di un vuoto, di una situazione e di un’età indefinita che mutando diventa sempre più netta, fino al punto di doversene andare dal luogo. Uno sguardo impietoso sull’infanzia visto con un’ottica inusuale. Il punto di vista dei bambini che non vogliono avere niente a che fare con gli adulti e scacciano chi lo diventa.
Il secondo cortometraggio di cui si è parlato è stato “Ce qui bouge est vivant” realizzato a disegni animati da Noémie Marsily per Belgio.
Il corto è un opera autobiografico dell’autrice, che riflette sul suo essere madre e su come questo abbia cambiato la sua vita e il suo modo di percepire la sua famiglia, la natura e il mondo. Il racconto è fatto unendo riflessioni sulla vita a delle animazioni collegate al discorso direttamente o come metafore.
L’autrice racconta di avere iniziato il corto perché aveva voglia di animare qualcosa, a poco a poco ha capito quanto queste animazioni fossero legate al post maternità e ha iniziato a scrivere il corto. Ha inserito gli animali nel corto partendo da un disegno fatto ricordando una giumenta che vedeva da piccola. Racconta che quando h riguardato il disegno nel blocco di disegni si è resa conto che era l’immagine de LA MADRE, quindi anche di lei stessa. Da questo confronto si è sviluppato il tema del film. Gli viene chiesto come abbia fatto a trovare finanziatori per un film così personale. Risponde che ha fatto un Animatic e ha mostrato confidenza nel suo corto mentre lo esponeva alla commissione a Bruxelles.
Per le voci e i suoni è stata aiutata da un suo amico che lavora alla radio e sa il fatto suo. Il testo all’inizio erano piccole frasi, ma registrando sentiva che non andava bene. Così ha riscritto tutto mettendoci poesie e inserendoci anche il punto di vista di sua figlia e di sua madre. Lo definisce un film astratto molto parlato. Voleva che il film fosse il più lineare possibile e rappresentasse il piacere di amare, immagine dopo immagine. Chi scrive lo ha trovato un cortometraggio sperimentale ipnotico, con molto parole e immagini strane, ma che riesce a dare una visione completa e poetica dell’essere madre e di come questo cambi la percezione del mondo.
Il terzo cortometraggio di cui si è parlato è stato “D’une peinture… à l’autre” realizzato con la tecnica della pittura animata da Georges Schwizgebel per la Svizzera.
Il corto è una brillante successione di quadri celebri ridipinti, tutti uniti dallo stesso soggetto: l’interno di una casa con la matrona e la serva di colore, interpretato da artisti diversi e spesso usando una composizione simile. La musica di chitarra accompagna la successione di immagini, che passa da stile a stile attraverso secoli di storia dell’arte. L’immagine si trasforma passando da un’immagine familiare all’altra, dando una vivida sensazione di quanto grande sia la pittura.
L’autore racconta che ciò che gli ha permesso di unire questi quadri è stata la musica. È patito con due grandi quadri sullo stesso soggetto e tutti gli altri sono stati messi in successione seguendo la somiglianza di pose e composizione per renderlo più fluido. L’immagine dell’interno di una casa con padrona e serva di colore è stato un tema importante nella pittura e voleva mostrarlo. Gli viene chiesto come abbia adattato il suo stile a quello dei quadri. Risponde che sono tutti quadri molto belli e il ritmo corrisponde all’immagine. La sua idea è quello che si sta facendo una passeggiata tra i quadri.
La musica è una composizione del chitarrista argentino Atahualpa Yupanqui, che da un grande senso di nostalgia che lui ama molto. È stata questa musica che lo ha spinto a realizzare un corto senza storia ricercando le persone di colore presenti nella pittura. Gli viene chiesto cosa abbia mostrato quando ha presentato il progetto del cortometraggio ai produttori. Risponde di aver mostrato i quadri spiegando cosa voleva fare. È la prima volta che realizza un corto con la Miyu come produttori. Sembra essere soddisfatto e dice di aver avuto il privilegio di fare tutto come voleva.
Chi scrive a trovato il corto una meraviglia realizzato da un autore che non smette mai di stupire. La poesia di questo corto lascia una forte impressione a chi lo vede e la successione di quadri avviene non soltanto attraverso una continua trasformazione dell’immagine da un quadro all’altro, ma anche attraverso una compresenza e un confronto tra le loro composizioni, che rende ancora più evidente quanto questa composizione venisse passata da artista a artista, anche se con variazioni nella collocazione dei personaggi. Si nota inoltre come il discorso potesse assumere significati sociali più o meno forti a seconda degli artisti.
Il quarto cortometraggio di cui si è parlato è stato “Carne de Dios” realizzato a disegni animati da Patricio Plaza per l’Argentina.
Il cortometraggio racconta di un prete che, caduto malato in qualche zona rurale del Sud America del XVII secolo, viene portato da un’anziana guaritrice. Questa lo sottopone a un rito e gli fa ingerire dei funghi che gli fanno avere delle potenti allucinazioni. Durante queste incontra le incarnazioni delle divinità nate dalla fusione della religiosità cristiana con quella locale. Entità spaventose che uniscono il maschile e il femminile insieme, circondate da cadaveri che lo divorano, lo violentano e lo rivoltano completamente facendolo passare attraverso diversi stadi di conoscenza e riportandolo in salute. Ma nonostante gli debba la vita, il disprezzo del prete per le pratiche religiose non canoniche e chi le pratica non diminuisce.
L’autore racconta che voleva rappresentare la contrapposizione tra cristianità e riti non cristiani e connettere i punti di cinquecento anni di persecuzione in Sud America. Dopo anni di ricerche ha capito che più che parlare di religione sia importante raccontare i punti di vista della gente. Vuole discutere del sincretismo, della cultura originaria che si nasconde sotto i nuovi Dei e dell’imposizione di una società estranea alla propria. Raccontare quello che i nativi hanno fatto per trovare un modo di continuare a sopravvivere. Gli viene chiesto come abbia realizzato la storia. Dopo tutte quelle informazioni raccolte ha deciso di mettere da parte i documenti dell’inquisizione e di scrivere. Pensa che ci sia un movimento in Sud America, che lui chiama “Political Horror”, in cui lui voleva entrare. È convinto che sia presente in qualsiasi posto dove sia stata imposta una religione e/o sofferto dittature.
Quando nel 2014 aveva presentato il cortometraggio “Padre” (una spaventosa/fantastica riflessione sul coinvolgimento militare nei massacri visto attraverso la via solitaria di una donna, ancora prigioniera del ricordo del padre ex ufficiale) vinse una residenza d’artista in Danimarca e un’altra in Messico, dove ha iniziato questo corto. Ama il Sud America e in queste residenze ha incontrato diverse persone che condividevano il suo punto di vista sul raccontare storie. Gli viene chiesto se vorrebbe fare un lungometraggio, lui risponde di si, ma non ci sono i soldi e certi soggetti sono difficili da proporre, anche in Europa li respingono. Quindi continua a fare corti. Non vuole dare una spiegazione alla storia e preferisce che ognuno dia una propria interpretazione del film.
Gli scrive lo ha trovato una cortometraggio davvero impressionante. Disegnato con uno stile che ricorda il miglior fumetto d’avventura argentino e che racconta una storia avvincente e politica allo stesso tempo. Il character design è forte, inusuale e le scene dell’allucinazione sono un vero incubo da cui, però, il protagonista esce senza essere davvero cresciuto. Decisamente un corto che si guarda con soddisfazione.
Il quinto cortometraggio di cui si è parlato è stato “Love Me True” realizzato a disegni animati da Inés Sedan per la Francia.
il cortometraggio si basa su un’intervista fatta a una donna, che racconta come usando una App d’incontri sia finita in una relazione con un uomo viscido che riusciva a dissuaderla a fare cose che non voleva coinvolgendola in rapporti sessuali con più uomini. Anche dopo averlo lasciato lui continuava a chiamarla, mandarle messaggi e seguirla e lei non riusciva a opporre resistenza finendo sempre per fare cosa lui voleva perché sapeva come manipolarla con parole dolci e promesse, a cui seguivano minacce e maltrattamenti sia psicologici che fisici.
Viene chiesto all’autrice come sia stato adattare questo reportage radiofonico e come lo abbia scoperto. Lei ascolta sempre la radio e sentendo il reportage venne colpita dalla voce della donna e dalla descrizione del mondo delle App d’incontri, di cui non sapeva niente. Ha subito pensato di voler realizzare un corto. Ha scritto alla radio, che l’ha messa in contatto con la regista del reportage ed è stata subito entusiasta all’idea. successivamente “France culture” le ha dato i diritte permettendogli di realizzarlo. Il film si è costruito nella sua testa e lo ha realizzato utilizzando TvPaint e Photoshop. Parlando fa un paragone tra la vicenda capitata alla donna a Alice nel paese delle meraviglie, il telefono è il coniglio che è stato seguito.
L’autrice non ama l’ossessione per i telefoni, la considera un’altra forma di masturbazione ed è colpita dalle dichiarazioni che il telefono sia diventato l’unico modo per fare degli incontri. L’estetica del corto riprende quella delle App telefoniche, colori accesi, emoji, scritte di chat, social media e selfie. L’autrice racconta di essere riuscita a parlare con la donna intervistata, non si aspettava di diventare una star dei cartoon e spera che sia a Annecy a vedere il corto. Chi scrive non pensa di riuscire a capire questo cortometraggio ne sa descrivere una sensazione provata guardandolo che non fosse una confusa impossibilità di capire e un fastidio nel pensare che succedano cose simili. La riproduzione di un mondo che ruota intorno a uno smartphone e lì sembra bello, ma poi diventa orribile nella realtà è fatta davvero bene.
Il sesto cortometraggio di cui si è parlato è stato “27” realizzato a disegni animati da Flóra Anna Buda per l’Ungheria e la Francia.
il cortometraggio inizia con una giovane donna che viene trovata da dei poliziotti a dormire in un parco dopo una sbronza, per evitare l’arresto lei coinvolge l’uomo e la donna in un rapporto a tre, ma tutto ciò era in realtà una sua fantasia. La protagonista compie quel giorno ventisette anni, vive ancora nella casa dei genitori, con una madre che le rinfaccia il suo essere senza uno scopo e un fratellino adolescente che la prende in giro perché passa le giornate a masturbarsi. Il suo noioso compleanno prosegue in un locale con degli amici, tutti senza scopo come lei, continua in una festa bevendo fino a ubriacarsi per poi tornare a casa in bici, continuando a bere fino a prendere una sbandata. Nel momento di incoscienza dopo la caduta anche la coppia di poliziotti delle sue fantasie erotiche le rinfaccia la precarietà della sua vita senza scopo.
Anche questo cortometraggio aveva vinto un premio il giorno prima, quello per la miglior colonna sonora. Viene chiesto all’autrice cosa sia stato per lei, una donna Ungherese, fare questo corto. Risponde che è stata una coproduzione con la Francia e per lei è importante fare discorsi politici che parlano di cose complesse e che voleva fare un coro colorato e non con l’aspetto futuristico del precedente. Le viene chiesto come sia stato mostrare il film ai genitori. Ammette che è stata dura, ma che a loro è piaciuto. La madre le ha detto che le ha ricordato quando aveva iniziato a farle domande sul sesso e lei non sapeva cosa risponderle.
La musica ha un ruolo importante e ha chiesto di realizzarla a due fratelli musicisti che ammira e che sono famosi per le loro improvvisazioni. Loro avevano realizzato delle composizioni apposta, ma sentiva che non andavano bene. A un certo punto le hanno mandato una loro vecchia improvvisazione e quella funzionava perfettamente.
Chi scrive ha trovato questo cortometraggio davvero impressionante, ipnotico e sincero tanto da ferire. Dalle prime immagini alle ultime non ha nessun timore di mostrare e dipingere alla perfezione lo stato d’animo di chi vive in una situazione dove si è adulti ma non si è indipendenti, il lavoro manca, si vive ancora con i genitori, non si riesce a vedere una via d’uscita e ci si immerge in fantasie e sostanze che aiutano a smettere di pensare. L’affresco potente e perfetto di una fascia di popolazione che non crede di potercela fare ne ci prova più lasciandosi trascinare da eventi potenzialmente autodistruttivi. Realizzato in uno stile cinematografico che utilizza angoli di ripresa che vanno dal fisso delle fantasie/film porno al movimento costante della realtà alle visuali insolite degli stati di ebrezza. Il cortometraggio ha vinto il Crystal come miglior corto del 2023 e chi scrive ammette di aver fatto il tifo proprio per questo sperando che sarebbe stato questo il nome che stavano per annunciare dal palco e di aver urlato quando è stato davvero questo. Salendo sul palco Flóra Anna Buda ha chiamato a se tutti i collaboratori che hanno lavorato al corto ricordando quanto sia stato importante il loro aiuto.
Il settimo cortometraggio di cui si è parlato è stato “Tongue” realizzato unendo disegno animato e stop motion da Kaho Yoshida per il Canada e il Giappone.
Il corto racconta di una ragazza che esce con dei ragazzi e gli strappa la lingua per poi tenersele in casa in un acquaio, come se fossero animali domestici e passando ore a guardarle.
L’autrice racconta che lei solitamente lavora realizzando corti per pubblicità e ama mischiare le tecniche. La storia in realtà riflette sul feticismo per le donne asiatiche nella società occidentale. Per lei questo iniziò quando aveva quindici anni e la sua famiglia si trasferì da Tokyo a una cittadina provinciale canadese, per lei fu uno choc. Da allora in poi parecchi uomini bianchi sono venuti da lei attratti dal suo essere asiatica.
Voleva fare questo corto da diversi anni, ma ha iniziato a lavorarci solo durante il lockdown, quando aveva più tempo per poterlo fare. A un cero punto a iniziato a dubitare di aver fatto bene a iniziarlo perché per poterlo finire ha rifiutato alcuni lavori ben pagati. Ma visto che grazie a questo corto è potuta venire ad Annecy, tutto va bene. Ha pensato che realizzare le lingue in Stop Motion sarebbe stato più d’effetto, inoltre ama quella tecnica e così ha avuto la possibilità di usarla. Però per rendere il corto ancora più personale doveva realizzare una distinta estetica disegnata.
La lunghezza del corto è di poco più di due minuti. In realtà lei non pensava che fosse possibile realizzare cortometraggi che durassero quindici minuti, ma anche se lo avesse saputo non avrebbe fatto un cortometraggio così lungo perché le avrebbe preso troppo tempo. Non sa se farà altri corti, magari se ci saranno dei soldi si. Le piacerebbe anche collaborare con altri nella realizzazione di un corto. L’autrice ha già rilasciato in pubblico il suo corto, lo si può vedere qui.
Chi scrive lo ha trovato un cortometraggio davvero ben fatto e dallo stile sintetico, colorato e affascinante. Le lingue realistiche in Stop Motion spiccavano nettamente rendendo la situazione ancora più grottesca e interessante. Speriamo che l’autrice continui a fare cortometraggi.
Questi sono stati i cortometraggi di cui si parlò quella mattina al bar El Pueblo, ma nel quinto programma c’era anche un ottavo e ultimo cortometraggio di cui NON si è parlato. Si tratta di “Eeva” realizzato a disegni animati da Morten Tšinakov e Lucija Mrzljak per Estonia.
Il corto racconta di una donna diventata da poco vedova. Tutti i personaggi del corto hanno un volto completamente privo di emozioni, durante il funerale tutto procede regolarmente e con il visibile impegno di tutti a far si che la cerimonia si svolga il più regolarmente possibile con una grande esposizione di tristezza generale di tutti, meno che della vedova. Finito il funerale tutti vanno a fare il commiato al ristorante, ed è li che la vedova inizia a dare segni di cedimento. Alcune emozioni iniziano a emergere, beve vino senza ritegno, inizia a causare problemi e maltrattare tutti. Portata fuori a forza viene riaccompagnata a casa. Dove ritorna ad avere un viso senza emozioni, prepara la valigia, cuoce i pesci rossi, spacca cose e se ne va lasciando che il fuoco distrugga l’appartamento. Il tutto mostrando flashback in cui si vede il modo ridicolo in cui il marito è morto (involve un picchio, che riappare più volte durante il corto) e che lei lo stava tradendo. Mentre tutti sono agitati per il fuoco lei è totalmente distaccata. Sarebbe una storia tragica se non fosse per il tono assurdo generale che la rende surreale, grottesca e comica. Insomma, il classico esempio perfetto di cortometraggio Estone come solo loro riescono a fare. L’assurdo che diventa normale e mostra una realtà spaventosa e tragica, ma in realtà ridicola e che viene mostrato già dall’assoluta inespressività dei volti di pietra e il tentativo di tutti di continuare a essere logici e apparire calmi anche in situazioni estreme. Davvero un peccato che gli autori non fossero presenti alla colazione. Si trattava di un cortometraggio veramente notevole.
Con questi sono conclusi i corti in concorso nella sezione ufficiale.
I cortometraggi del quinto gruppo sono stati probabilmente tra i migliori per potenza artistica e di storia. Tirando le somme dell’intero festival; si può dire che si sia assistito alla decisa affermazione della casa produttrice Miyu productions, che non solo stava dietro a molti dei corti selezionati, ma lo era in quasi tutti quelli premiati. Un impegno notevole che ha dato davvero tanto all’animazione e agli artisti in termini di qualità e possibilità d’espressione.
Per il secondo anno di seguito il premio per il miglior cortometraggi è andato a un corto ungherese, cosa che non stupisce visto l’enorme impegno che la scuola ungherese MOME sta mettendo nella formazione tecnica dei suoi allievi, nel saperli indirizzarli a cercare finanziatori all’estero e nella promozione dei loro corti. Chi scrive si chiede se l’Ungheria riuscirà a fare il miracolo e vincere il Crystal per il miglior cortometraggi anche nella prossima edizione, realizzando il primato per tre anni di seguito. Intanto si consigli chiunque abbia idee interessanti per un cortometraggio di tentare di proporlo alla Miyu Productions.
Grazie di tutte e arrivederci per i corti di Annecy 2024.