afNews 23 Agosto 2023 15:04

Annecy 2023. i cortometraggi in concorso, recensioni e curiosità. Quarta parte.

Continua il riassunto dei cortometraggi in concorso durante Annecy 2023.

I cortometraggi di cui si è discusso durante la colazione di venerdì 16 giugno nel davvero troppo affollato bar El Pueblo erano quelli del quarto gruppo di corti in concorso.

Il primo cortometraggio di cui si sia parlato è stato Her dress for the finale”. Cortometraggio realizzato a disegni animati a animazione CGI di Martina Mestrovic per la Croazia.

Il corto racconta di un’anziana donna che un giorno qualunque inizia a tingere il suo abito migliore di nero. Dopo averlo fatto asciugare e aver passato una giornata ascoltando musica, cucinando, leggendo e vedendo una partita di basket della sua squadra preferita si fa una doccia, si veste e poi si stende a letto aspettando la morte. Che arriverà insieme al ricordo del primo appuntamento col suo defunto marito.

L’autrice racconta che questa storia ha come protagonista sua nonna, che venne ritrovata dai parenti già pronta per il funerale dopo che aveva tinto il suo vestito di nero. Una donna forte, che morì quando l’autrice era piccola e non ha potuto conoscerla molto, farle domande serie o chiederle del suo passato. Questo suo prepararsi con serenità alla morte la colpì profondamente.

Da quello che sa la nonna ebbe una vita dura, senza molte possibilità di fare ciò che voleva, ricorda che amava il basket. Questa ricostruzione dell’ultimo giorno è soprattutto una sua fantasia ed è anche una riflessione su come lei vorrebbe passare l’ultimo giorno di vita, facendo ciò che ama. Pensa che non ci sia una via di fuga dalla morte, ma ci sono grandi modi di accettarla.

Non voleva fare un film su una vecchia, ma un film colorato e vitale. Con un contrasto tra un ambiente 3D e personaggi disegnati a mano. Con gli oggetti che quando vengono toccati diventano 2D e questa trasformazione fa un grande effetto. La parte del ricordo col marito è stimolata dal vestito ed è una memoria, ma anche un desiderio dei giorni passati.

Chi scrive lo ha trovato un cortometraggio davvero interessante, che mostra una persona soddisfatta della sua esistenza e senza rimpianti. Lo stile artistico è decisamente memorabile, la protagonista mostra un corpo anziano realistico, magro, con pelle cadente e le rughe. Ma dal modo in cui si muove, da come si cura dei suoi lunghi capelli e dalla fierezza del suo sguardo da anziana mostra una forza di volontà che la rende meravigliosa. Una vera immagine di forza e dignità.

Il secondo corto di cui si sia parlato è stato “Salvation has No Name”. Cortometraggio realizzato in stop motion da Joseph Wallace per l’Inghilterra e Repubblica Ceca.

Il corto è la recita di una compagnia di pagliacci che racconta il dramma avvenuto in un paese lontano. In un tragico bianco e nero si vede una donna arriva dal mare, è diversa e non parla la lingua del posto e tutto il villaggio la odia istantaneamente nonostante abbia bisogno di aiuto. Il prete tenta di aiutarla e la porta nella chiesa sull’isola accanto, ma appena vede che è incinta viene preso dal panico e dopo il parto la scaccia abbandonandola e separandola dal figlio. Tutto questo mentre gli abitanti sono convinti che la donna porti la maledizione sul villaggio e stia traviando il prete. A un certo punto la scena diventa a colori e gli attori perdono il loro ruolo di narratori diventando i protagonisti della vicenda. In un crescendo di dramma le accuse della donna diventano sempre più gravi e la tragedia esplode.

Nel 2017 l’autore aveva presentato la sceneggiatura del corto a Annecy vincendo il premio come migliore idea. Gli si chiede come abbia sviluppato quell’idea. Risponde che voleva renderla molto cinematografica. Il corto è stato scritto prima della Brexit e della salita al potere di Trumph, il suo intento era mostrare la mancanza d’empatia della gente davanti ai bisognosi.

Racconta che fare animazione indipendente in UK è difficile, ha trovato aiuto in repubblica Ceca, ma c’è voluto molto tempo e finire il corto è stata dura.

Nella storia il dramma è essenziale e i dialoghi sono stati curatissimi e molto shakespeariani. Il primo animatic durava più di quaranta minuti, ha dovuto tagliare mantenendo le emozioni. Il casting è stato fatto con cura, per la protagonista ha potuto contare su un’attrice di origine libanese che ha vissuto l’esperienza di essere stata una rifugiata e ha sentito un forte legame con la storia.

L’autore racconta che l’aiuto dei collaboratori della repubblica ceca è stato essenziale, hanno usato la loro tradizione cinematografica nel cinema d’animazione stop motion, che lui ama tanto, per il suo corto. Mentre parla mostra due dei pupazzi realizzati per il corto. Forme semplici e angolose, senza bocca e con gli occhi grandi e dall’espressione indefinita che cambia totalmente a seconda delle inquadrature e delle ombre, esattamente come vuole la tradizione Ceca, anche se, da tradizione inglese, nel suo corto i personaggi chiudono e muovono gli occhi con grande drammaticità. Il finale del corto è un invito ad andare a sentire le storie direttamente dai rifugiati.

Vengono fatte domande su come trova sia lavorare con la Stop Motion, dice che è molto difficile e che ha pensato di smettere più volte, ma la ama troppo. È come al combinazione di tutte le arti insieme e per lui viene più facile perché non sa fare animazione in 2D o CGI. Pensa che il cinema dal vivo sia prosa mentre l’animazione sia poesia e che bisogna usare la poesia per raccontare le storie.

Chi scrive lo ha trovato un corto che usa la tecnica della Stop Motion al suo massimo livello e riesce a far recitare i pupazzi meglio dei migliori attori esistenti, raccontando una tragedia che non salva ne giustifica nessuno, ma accusa e mette allo scoperto la crudeltà e l’ostilità verso chi non si conosce ed è diverso. I personaggi tentano di raccontare una storia dal loro punto di vista che li avrebbe giustificati, ma falliscono venendo mostrati per quel che sono, lasciandoli nei loro rimpianti. Un cortometraggio che verrà ricordato e che l’autore ha già reso pubblico e può essere visto qui .

 

Il terzo corto di cui si sia parlato è stato “L’ombre des papillons”. Cortometraggio a disegni animati colorati ad acquarello da Sofia El Khyari per Quatar, Francia e Portogallo.

Il corto ha come soggetto una donna che camminando in un prato segue delle farfalle, nuda si addentra sempre di più nel bosco e guardandole farfalle si ritrova a ricordare eventi del suo passato, un amore lontano, forse perso per sempre, forse solo irraggiungibile al momento. Tutto guidato dall’ombra delle farfalle.

L’autrice descrive il suo corto come un film sulla sensualità, in questo si collega a tutti i suoi corti precedenti. Lei abitò a Londra per i suoi studi e il processo di nostalgia si ripresenta ciclicamente nella sua vite e nelle sue opere, questa nostalgia è rappresentata dalle farfalle.

Il risultato è ispirato dal metodo surrealista e viene preso come immagine di leggerezza e repulsione. Voleva usare un simbolismo chiaro, ma che potesse essere essere reinterpretato da tutti. spiega che la farfalla nella cultura araba non ha un significato particolare, quindi ha potuta usarla come più voleva liberamente. Il corto è soprattutto un’esperienza sensoriale e voleva che fosse ipnotico. È disegnato su carta e colorato ad acquerello, una tecnica che le viene naturale. In questo corto ha utilizzato un’estetica più minimalista rispetto ai film precedenti.

Gli viene chiesto come sia stato lavorare con un gruppo a un film così personale. L’autrice risponde ridendo di avergli spiegato che si trattava di un film deprimente sulla nostalgia e sulla riflessione. Pensa che fare un film sia come fare della musica. Bisogna suscitare emozioni. Per fare la colonna sonora ha contattato una musicista marocchina che fa parte di un gruppo che mette in musica poesie tradizionali. Chi scrive lo ha trovato un cortometraggio interessante per lo stile artistico e onirico. La storia è davvero suggestiva e il ricordo dell’amore lontano emoziona il pubblico stimolando ricordi.

Il quarto corto di cui si sia parlato è stato “Wild Summon”. Cortometraggio in CGI con riprese dal vero realizzato da Karni Arieli e Saul Freed per l’Inghilterra.

Il film racconta con un serio taglio documentaristico la vita dei salmoni: dalla nascita nel fiume, allo sviluppo nei mesi successivi fino al grande viaggio intrapreso per raggiungere l’oceano e il grande ritorno nel fiume alla fine del loro ciclo vitale, se non fosse per la grande differenza che nel corto i salmoni sono esseri umanoidi che indossano una muta da sub integraleSi segue la vita di un esemplare di salmone femmina in riprese immerse in paesaggi reali. Con tutte le conseguenze emozionali che l’aspetto umanoide genera nel vederli mangiati da altri animali, pescati, macellati o morti sulla riva del fiume.

L’autore racconta che l’idea per il corto è venuta passando molto tempo nei fiumi. Sostituire i salmoni con gli umanoidi fu un’illuminazione che li ha resi felici. Il testo è un classico, serissimo testo da documentario sui salmoni. L’uso di questo testo e della serietà delle scene è dovuto al fatto che lui non ama la parodia e voleva evitarla per ottenere risultati più creativi.

Pensava che la storia avesse bisogno di una voce narrante forte e femminile perché è una storia femminile e questa è stata scelta con cura. La narratrice del corto è una persona che è sopravvissuta a molte avversità, quindi adatta al suo ruolo. È inoltre una grande professionista, la registrazione è stata fatta in mezz’ora, senza che facesse il minimo errore ed era perfetta per cosa volevano fare.

Inizialmente i salmoni non avevano maschere e i personaggi erano troppo umani. Dopo aver aggiunto quella hanno anche giocato con le proporzioni per renderli ancora più differenti. Non sono realistici, dice l’autore: non si vedono mai chiaramente gli occhi, le bocche sono enormi, gli arti allungati e i personaggi non respirano. Per finire ci informa che in Canada il corto ha provocato reazioni interessanti e che lui non ha smesso di mangiare salmone.

Chi scrive lo ha trovato un cortometraggio davvero emozionante, che rendendo i salmoni simili agli umani costringe lo spettatore a cambiare il modo in cui reagisce alle scene, soprattutto in quelle dove viene mostrata la pesca a opera degli umani. La struttura del documentario fa affezionare lo spettatore alla protagonista sentendosi coinvolti nella sua difficile vita di salmone, spaventandosi per i rischi che corre e sentendo tristezza per il finale con la fine del suo ciclo vitale. Il tutto sostenuto da uno stile tecnicamente elevatissimo.

Il quinto corto di cui si sia parlato è stato “I’m Hip”. Cortometraggio a disegni animati di John Musker per gli Stati Uniti.

Il corto mette in scena una celebre canzone degli anni ‘60 e mostra la vita di un gatto umanizzato sempre alla moda, sempre nei posti che contano della città, pieni di celebrità e artisti. Sempre pronto a fare le cose piè assurde per farsi vedere dagli altri e sempre con una fidanzata alla moda che lo segue nei posti che contano in cui diventano l’anima della festa. Il suo bisogno di essere sempre alla moda è un’ossessione che gli sta lentamente logorando i nervi, ma lui assicura che la sua vita è meravigliosa perché lui è sempre alla moda.

John Musker è una leggenda dell’animazione che ha lavorato per quarant’anni alla Disney dirigendo per loro diversi lungometraggi celebri. Questo è il suo primo cortometraggio da quando è andato in pensione e la proiezione a Annecy è la prima fatta in un festival, tutti in sala sono ansiosi di sentirlo parlare. Ha realizzato il corto perché la canzone gli è sempre piaciuta e parla di qualcosa che non passa mai di moda, perché ci saranno sempre persone che devono disperatamente dimostrare di essere alla moda.

Racconta che dopo tanti anni di lavoro alla Disney vuole realizzare almeno cinque cortometraggi e questa canzone è di un sardonico fantastico. Il suo è un omaggio all’animazione fatta a mano, realizzata disegnando usando il programma d’animazione TV Paint. All’inizio aveva tentato di farlo disegnando su carta, ma poi ha iniziato a trovare stupido dover scansionare ogni foglio, ha visto quanto il programma fosse valido e gli permettesse con estrema facilità di dare al disegno un effetto di non finito e di linee ripassate senza cancellare il bozzetto che voleva e che realizzare a mano sarebbe stato molto lungo. Lo stile artistico si rifà alle copertine dei dischi e delle locandine cinematografiche degli anni ‘60, perché è lo stesso periodo in cui è stata incisa la canzone.

Avendo realizzato questo corto per se ha disegnatoo uno storyboard molto abbozzato, tanto che poi ha dovuto spiegare ai collaboratori cosa succedesse nel disegno. All’interno del corto ha inserito tante caricature di amici, che poi ha invitato la sera in cui ha presentato il cortometraggio regalando a ciascuno una cartolina del film con un loro ritratto disegnato dietro.

Chi scrive ha trovato il corto divertente ed è chiaro che l’autore si sia divertito molto a realizzarlo. Lo stile è ispirato al passato, ma è ricco di vitalità e molto elegante anche nei suoi aspetti volutamente non finiti. La presa in giro bonaria di chi vuole sempre essere alla moda è efficace. Sarà interessane vedere gli altri corti che l’autore realizzerà.

Il sesto corto di cui si sia parlato è stato “Daug Geresnis”. Cortometraggio che mischia il disegno animato alla Stop Motion realizzato da Skirmanta Jakaitė per la Lituania.

Il corto racconta di un tizio che ha non si sente bene e fa degli esami medici. Aspettando i risultati va avanti e indietro per la città sempre più nervosamente e in cerca di qualcosa. Si reca in uffici, attende, tenta di incontrare qualcuno, parla con amici, ha paura che sia qualcosa di grave e intanto la realtà intorno a lui si deforma e diventa sempre più popolata di esseri assurdi che lo attraggono, tanto che inizia a seguire in luoghi sempre più strani. Alla fine potrebbe, o non potrebbe, riuscire a incontrare chi vorrebbe incontrare e sapere cos’ha.

L’autrice racconta che è un corto sulle domande interiori e mostra delle situazioni dove si accumulano delle tensioni. Descrive lo stile del corto come simile a quello di un fumetto, in contrasto con quello del suo corto precedente, più simile a una graphic novel. Il corto riflette anche sui due pensieri filosofici e sul chiedersi se tutto abbia uno scopo o se tutto sia casuale. In questo caso la domanda è immersa nel black humor. Il vero problema è cercare di essere felice, sempre.

Lo stile mischia la stop motion e il disegno animato, era curiosa di vedere il risultato che sarebbe uscito fuori usando i pupazzi e disegnando il resto con TVPaint. I pupazzi sono stati realizzati a partire e da suoi disegni. Stampati e costruiti da altri. Per questo corto si è messa davvero alla prova e voleva fare cose complesse, tra cui molti movimenti camera. In sintesi il corto è la storia di gente che non rientra nella società. La società che li spinge dicendogli che possono farcela e tante altre cose positive ma che in realtà non funzionano. Ma noi non facciamo niente per cambiare questo aspetto della società. Per scrivere i dialoghi si serve del suo intuito, che le dice cosa funziona o no.

Chi scrive lo ha trovato un cortometraggio inqualificabile e ostico da seguire. Di certo strano, grottesco e piuttosto deprimente. Ma la storia che racconta fa riflettere e l’assurdità delle visioni affascina. Tecnicamente è ben fatto sia nell’animazione 2D che nella Stop Motion e lo stile artistico sia dei pupazzi che dei personaggi e degli ambienti disegnati è davvero affascinante.

Il settimo e ultimo corto di cui si sia parlato quella mattina è stato “Float”. Cortometraggio a disegni animati di Levi Stoops per il Belgio.

Il corto racconta di una coppia che un giorno sale su un tronco e inizia a remare al largo nel mare con l’intenzione di andare a vedere i delfini, perdendosi quasi subito in mezzo al nulla. Sia l’uomo che la donna sono nudi, senza equipaggiamento e soli in mezzo all’oceano, più passa il tempo più la situazione diventa tesa. La coppia è chiaramente impreparata a affrontare delle difficoltà e probabilmente è in crisi già da prima del viaggio. I loro caratteri sono talmente opposti che non fanno altro che discutere. Riusciranno a sopravvivere? Riuscirà la loro relazione a sopravvivere? Vedranno i delfini o verranno mangiati dai pesci?

Viene chiesto all’autore come abbia fatto a equilibrare il mix di commedia e dramma del corto. Lui risponde di avere semplicemente scritto. Aveva da tempo l’idea di una coppia che doveva sopravvivere, loro hanno una relazione che lui non esita a definire orribile e quando rimangono da soli sono costretti ad affrontarla. Il personaggio maschile (Jeremy) è una sorta di MacGyver che sa costruire tutto con quasi niente e questo lo ha divertito perché è stato lavorare con delle situazioni al limite e trovare delle soluzioni. Ma il personaggio ha anche un distacco emotivo che per l’autore rappresenta il vero orrore, è incapace di capire la compagna e di mostrare vera compassione.

La lavorazione è proseguita in modo classico, hanno registrato il dialogo e poi lo hanno animato.  Hanno puntato molto sui dialoghi per rendere questo lavorare su situazioni al limite più interessante, mentre l’animazione l’hanno fatta senza pensarci troppo, sia perché non avevano soldi sia per una sincera scelta artistica. Non sa se con un budget più alto avrebbe fatto un cortometraggio diverso, ma adesso vuole fare qualcosa più cinematografico e molto colorato. Ama fare l’editing e alla fine del corto ha tagliato alcune parti per farlo funzionare meglio.

Chi scrive lo ha trovato un corto anomalo, molto parlato e con personaggi e stile chiaramente ispirato a una famosa serie animata per adulti statunitense. Ma non si nega al corto di essere divertente ne che la scrittura sia fatta bene, soprattutto al livello della psicologia dei personaggi. Però chi scrive ammette di essere rimasto piuttosto sorpreso quando questo corto ha vinto il Crystal della giuria per il cortometraggio. Si spera che l’autore possa realizzare serie animate o lungometraggi, perché è chiaramente quello il formato ideale per sviluppare in pieno il tipo di storie che vuole raccontare e la complessa psicologia dei personaggi che ne fanno parte.

Questi sono stati i corti del quarto programma. Un insieme di stili e anime diverse che sorprende per varietà e qualità. Corti che spesso restano nel cuore di chi li vede. Finite le interviste John Musker è rimasto a chiaccherare con dei fans raccontando ancora altri particolari del suo corto e disegnando per chi gli chiedeva un autografo. Davvero un’ottima persona.

 

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