afNews 3 Agosto 2023 09:47

Annecy 2023. i cortometraggi in concorso, recensioni e curiosità. Seconda parte.

Continua il riassunto dei cortometraggi in concorso durante Annecy 2023.

I cortometraggi di cui si è discusso durante la colazione di mercoledì 14 giugno nell’affollato bar El Pueblo erano quelli del secondo gruppo di corti in concorso. Gruppo che fino all’anno precedente è sempre stato, apposta o per caso, quello considerato il più debole e con i corti meno intriganti. Quest’anno è stato piacevole constatare come non fosse affatto così.

Il primo cortometraggio di cui si è parlato è stato “11”, realizzato da Vuk Jevremovic a disegni animati per la Croazia e dedicato dall’autore al calcio, una sua grande passione.

Il corto e ispirato alla vita di alcuni calciatori, rielabora filmati d’archivio di loro partite e accenna alla loro vita soffermandosi molto sui loro pensieri durante i momenti più tesi delle partite. Tutto ciò usando uno stile molto grafico, dinamico ed emozionante che passa dai colori al bianco e nero.

L’autore ammette che un cortometraggio sul calcio è inusuale, di solito gli artisti non lo amano. Realizzare questo corto gli ha richiesto undici anni di tempo perché ha avuto diversi problemi.

Dopo averlo iniziato il suo PC si guastò e non aveva le possibilità di sostituirlo. Anni dopo ne ha comprato un nuovo perché doveva aiutare una ragazza che stava preparando per passare il test d’ingresso all’accademia delle belle arti di Zagabria. A quel punto, incoraggiato dalla studentessa, ha ripreso il corto. Per realizzarlo ha usato come riferimento dei filmati su YouTube dalla qualità bassissima da cui lui ha ricalcato i contorni per poi ridisegnarli e dipingerli usando un forte segno grafico.

L’autore ha mostrato al pubblico presente alcuni dei disegni realizzati per il corto dicendo che la sua è stata una totale reinvenzione della scena, tanto totale che per lui non può essere classificato come rotoscopio. Gli anni passati senza un PC gli hanno fatto completamente dimenticato come si animava al computer, così ha fatto tutto a mano, come aveva fatto per il suo cortometraggio di diploma.

In mezzo a tutti questi problemi almeno decidere la colonna sonora la è stato facile. Lui ha la grande fortuna di avere come vicino di casa Luka Sulic, che è suo amico e un famoso violoncellista. Così ha chiesto a lui, ottenendo una musica davvero intensa per il suo corto. Chi scrive trova il risultato ottenuto è davvero ammirabile e emozionante, forse anche più di vedere una partita reale.

 

Il secondo cortometraggio di cui si è parlato è stato “The Miracle” realizzato da Nienke Deutz per il Belgio in una complessa e affascinante tecnica mista che unisce gli ambienti reali della Stop Motion all’animazione disegnata tradizionale; realizzata su fogli di acetato poi ritagliati e animati spostandoli, fotogramma dopo fotogramma, nell’ambiente reale.

La storia racconta di una donna che va a fare una vacanza nel centro turistico The Miracle. Un posto fatto per rilassarsi e divertirsi. Ma durante la sua vacanza non può fare a meno di riflettere sulla sua vita, la sua difficoltà nel farsi amici e dovrà affrontare il suo grande disagio per la gravidanza e la repulsione per le donne incinte.

La prima cosa che viene chiesta all’autrice è come mai abbia deciso di mettere il tema della repulsione per la gravidanza così in evidenza. Lei risponde di aver parlato con molte donne, tra i trenta e i quarant’anni d’età, chiedendogli la loro opinione. La gravidanza era un argomento che le emozionava molto e ha usato questa emotività per la protagonista del suo corto. Tanto che mentre scriveva la storia, spesso riascoltava le interviste per poter descrivere al meglio quella sensazione. Gli viene chiesto come la tecnica abbia influenzato la storia, a lei piace la trasparenza e questa tecnica d’animazione, dove i personaggi sono disegnati su fogli di acetato trasparente, permetteva anche di mostrare il feto dentro di loro (realizzati in stop motion con dei pupazzi) in un modo da rendere davvero palpabile il disagio della protagonista.

Lai ama l’animazione, le piace sperimentare, mischiare gli stili, fare corpi solidi e usare la plastilina per trovare il risultato che vuole ottenere.

Gli vengono fatte molte domande sul suo corto precedente (Bloeistraat 11, vincitore del Crystal come miglior corto nel 2018) e se sia stato difficile fare il nuovo sotto la pressione del successo dell’altro. Risponde che il successo del precedente le ha provocato una combinazione di libertà e paura. Per quanto la tecnica usata sia la stessa, questo cortometraggio è molto più ambizioso e complesso da realizzare. Mentre nel primo tutto si svolgeva in una casetta con quattro stanze e un giardino, per realizzare questo hanno costruito un set davvero grande, composto di vari luoghi e con molti più personaggi. Le animazioni dei personaggi sono state disegnate e animate usando TvPaint. Stampate su acetato, ritagliate e dipinte a mano. Come esempio mostra una delle figure usate per il corto. Chi scrive lo ha trovato un cortometraggio davvero coinvolgente, in grado davvero di mostrare e farti capire le emozioni della protagonista. Le tecniche utilizzate sono tante, ma amalgamate con maestria e in grado di brillare al meglio insieme. Un lavoro ammirevole con una storia importante raccontata con onestà e una bella ironia.

Terzo cortometraggio di cui si è parlato è stato “The Smile”, cortometraggio in stop motion di Erik van Schaaik per i Paesi bassi.

Si tratta di un mokumentary che racconta la vita di un coccodrillo che, fuggito dallo zoo di Amsterdam negli anni cinquanta, era riuscito a raggiungere Hollywood e diventare una star dei film horror, in cui interpretava sempre il ruolo dell’animale mostruoso che divorava le ragazze in un sol boccone. In realtà il coccodrillo era un bonaccione adorato dalle attrici, che rigurgitava dopo le riprese e divertiva con battute intelligenti. La sua simpatia gli aveva dato il nomignolo di “The Smile” e lo aveva fatto diventare un ospite gradito nei talk-show e l’attore più richiesto per le pubblicità dei dentifrici. Ma la vita da star lo portò a fare degli eccessi e iniziarono a girare voci su alcune giovani attrici scomparse dopo aver girato scene in cui le divorava.

La prima domanda fatta all’autore è perché abbia scelto di fare un Mokumentary. La risposta è che gli piacciono molto i documentari sugli attori (veri o inventati) e voleva fare un corto che rispondesse alla domanda “Cosa succederebbe se un coccodrillo diventasse un attore?”

Quando raccontò la storia agli amici questi gli dissero che tutta la parte sull’attore travolto da uno scandalo e dalla vita rovinata era una cosa da #Mee Too”, così ha continuato a lavorare sulla storia tenendolo in mente.

Come risultato, il corto racconta la storia di qualcuno di umili origini che improvvisamente diventa un mito, viene mandato tanto in alto e poi buttato giù di colpo.

I personaggi non sono ispirati a qualcuno in particolare, ma riflettono lo stile e la mentalità di molti attori e registi delle epoche in cui è ambientata la vicenda e che l’autore conosce bene grazie a tutte le presentazioni dei film e i documentari sulla loro lavorazione che ha visto nella sua vita.

Racconta che gli storyboard che fa sono molto dettagliati e pieni di note ed è possibile vederli sul sito del corto. Per la parte tecnica c’è stato da costruire il set, mentre i pupazzi sono stati realizzati da uno studio specializzato. Tranne i volti, che ha fatto lui al computer insieme alle varie bocche da sostituire per fare il labiale che ha realizzato grazie alla stampante 3D. Ha sviluppato la tecnica sperando di fare le migliori interviste realizzate in animazione.

Ha riprodotto l’aspetto vecchio nella pellicola, simulando le imperfezioni sia delle bobine cinematografiche che dei nastri magnetici, perché ama queste cose e gli ricorda di quando guardava la TV da piccolo. Per il futuro sta progettando di fare un corto a disegni animati. Chi scrive ha trovato il corto irresistibile divertente, anche se tragico, e originale che ha saputo reinventare il classico tema dei film di Hollywoodiani sulla caduta di un mito.

Quarto cortometraggio di cui si è parlato è stato “Astoria” curioso corto in CGI realizzato da Franck Dion per la Francia.

Racconta della vita di Astoria, una fenicie che passa la sua esistenza a fare ricerche sul cosmo innamorata delle stelle. Incapace di volare e con la sola compagnia di un robot, che ha costruito per farle da assistente e da confessore della propri vita. Continua la sua ricerca arrivando a sacrificare tutto e a combattere contro chi vuole fermarla. Ma le fenici rinascono sempre dalle proprie ceneri.

Questo è il settimo film che l’autore fa presentando un universo narrativo simile. L’autore racconta che il lungo monologo di Astoria, che prosegue per tutto il corto, è interamente sul determinismo di un personaggio ossessionato dalla sua passione. Non è un seguito dei suoi precedenti corti e ogni somiglianza è dovuta al fatto che gli piace quel tipo di estetica e la ripete. Ma riconosce che in tutti i suoi lavori c’è una costanza e questo, in particolare, può avvicinarsi al suo primo corto. Anche se in questo caso la costruzione del mondo è stata più complicata.

In questo corto voleva metterci i ricordi dei racconti dei nonni sull’orrore dei massacri e della guerra. Nei suoi lavori parla sempre di handicap e gli piaceva la contraddizione tra gli umani che volano e l’uccello che non riesce a volare. Ama queste cose, come ama il contrasto del punto di vista di una donna molto razionale che passa la sua vita a cercare la libertà per poter fare ciò che ama.

Viene chiesto come sia stata la collaborazione con il produttore. Sembra che sia stata ottima, visto che gli ha dato libertà totale. Chi scrive lo considera un corto davvero affascinante e con una lentezza ipnotica. Lo stile è magico nel suo sapore di fantascienza di fine ottocento.

Quinto cortometraggio di cui si è parlato è stato “La Perra” realizzato a disegni animati dipinti da Carla Melo Gampert per la Colombia.

Il film racconta la relazione tra madre e figlia dal volto di uccello. Con una madre che ha come unico interesse avere tanti amanti e una bambina che cresce lasciata sola in casa con il cane, la sua unica amica. Dopo anni di soprusi la figlia diventa adolescente e decide di andarsene e vivere la sua vita, ma il ricordo della sua cagnolina la tormenta, mentre sua madre invecchia restando sempre più da sola.

L’autrice descrive il suo corto come un film molto intimo tra bambina e madre, il suo film precedente era tra bambino e padre. Ricorda che da piccola litigava molto con la madre e il suo cane era la sua consolazione. La reazione tra madre e figlia mostrata nel corto è simile a quella animale, con la madre che scaccia la figlia quando questa diventa grande. Il titolo sfrutta il doppio senso tra il termine “cagna” usato come insulto e il cane di famiglia. La storia nella sua durezza vuole contestare l’idolatrizzazione della figura della donna/madre costruita dalla società e l’idealizzazione della sessualità, tutto in contrasto con gli uccelli che volano. Anche nel precedente c’erano uccelli. Per realizzare il corto ha cercato di utilizzare un segno delicato per realizzare un’animazione potente. In questo stile c’è l’amore per la linea, per gli acquarelli e per le imperfezioni. Il movimento umanizzato diventa strano usato per degli animali, ma funziona.

Gli viene chiesto come vede essere colei che rappresentare l’animazione colombiana per il mondo. È importante perché in Colombia hanno molta animazione, ma non c’è un posto per lei e spera che le cose cambieranno. La differenza tra Annecy e il festival di Cannes è che nel secondo non sono abituati all’animazione e i giornalisti che seguono quel festival non sono davvero interessati, ma poi devono occuparsene perché vincono premi. Gli viene chiesto di una possibile influenza sul surrealismo e se questo è il risultato che voleva. In realtà non lo è, perché voleva che fosse più narrativo. Ma il punto era fare una storia sull’idealizzazione della madre e l’amore del cane.

Sesto cortometraggio di ci si è parlato è stato “Telsche”. Realizzato a disegni animati da Ala Nunu e Sophie Colfer tra Portogallo, Polonia e Arabia Saudita. La storia nostra il mare, i pescatori di perle che vanno in apnea e la protagonista che prosegue verso l’orizzonte, fino a arrivare a un buco dove l’acqua degli oceani cade giù. Lì, tra l’azzurro del cielo, il bianco delle nuvole e il blu del mare, la ragazza si trova a sentirsi sempre più attratta dall’abisso.

La prima domanda è su come abbiano fatto a collaborare tra Portogallo, Polonia e Arabia saudita. Loro si sono incontrati a un festival a Berlino e questa è stata la prima volta che sono riusciti a fare un film insieme. La causa scatenante è stata un pitch per fare un film sulle emozioni organizzato in Polonia. Il titolo non ha un significato preciso, ma allo stesso tempo ha una serie di significati.

La storia iniziò con una poesia sul mare e di come questo porta alla mente memorie dimenticate. La famiglia di Ala Nunu è legata al mare e questo lo ha sentito molto nel corto, tanto che dice che la sensazione è tornata a lei dal passato. Lei vede cose per il mondo e le vuole mettere in un corto, anche se con il tempo non capisce se si tratta di ricordi o di sogni. Anche se è certa che quella dei pescatori di perle del Giappone sia una sua memoria.

Durante il covid era come nel corto, solo le nuvole si muovevano. Spesso torna l’astratto. È la prima volta che lei lavora con una vera sceneggiatura e riscoprire le immagini insieme è il modo di fare più emozioni possibili. Anche nella musica era la prima volta che volevano avere un vero sound design e lo hanno fatto con musicisti, che non avevano mai fatto cinema e hanno dovuto capire insieme come farlo. Che scrive ha trovato il corto interessante per la serie di sensazioni che sa scatenare. È sia un sogno che un ricordo e sa mostrare la fragilità umana di fronte alla natura.

Settimo e ultimo cortometraggio discusso della mattina è stato “Marie.Eduardo.Sophie”. Cortometraggio dipinto di grande forza emotiva realizzato da Thomas Corriveau per il Canada. Composto da tre parti di pura bellezza e movimento, il corto segue i movimenti della danza di tre ballerini, ognuno di loro ha uno spirito, uno stile e un’energia diversa, ma tutti sono dotati di talento e grazia.

Il precedente corto dell’autore era in concorso nell’edizione del 2021 e anche quello era sulla danza. La Sophie del film è la sorella dell’autore e per realizzare questo corto lui ha lavorato usando il materiale che aveva raccolto per realizzare il film precedente.

Partendo dal filmato ha dipinto tanto per cercare di arrivare a un gesto veloce e naturale, sempre più vicino alla danza. Un segno spontaneo ricercato studiando serigrafie e il lavoro di altri artisti che fosse in grado di rendere omaggio alla dinamicità di questi grandi ballerini e alla bellezza dei corpi che danzano. I tre corti sono fatti molto diversamente. Il primo è dolce, il secondo è energico e il terzo è ancora più energico. Per la colonna sonora ha potuto contare sulla collaborazione con Guido Del Fabbro, un compositore che ha conosciuto a uno spettacolo di danza della sorella e che lui ritiene essere un genio che può improvvisare sulla danza. Lui ha realizzato il film e poi gli ha chiesto se gli veniva in mente qualcosa. Da questo ha fatto una colonna sonora perfetta per il suo corto e che ha richiesto solo minime modifiche all’animazione.

Parlando del suo modo di lavorare, dice che per lui non è un problema trovare i finanziamenti per fare i suoi film indipendenti perché può contare sul supporto del NFB e degli amici. Inoltre ha una carriera di professore d’arte visuale per sostenersi.

Questi sono stati i cortometraggi di cui si è discusso durante la colazione nell’affollato bar El Pueblo. Nel programma era presente anche un ultimo cortometraggio, questo era “Humo”, realizzato in stop Motion da Rita Basulto per il Messico. Un cortometraggio tragico dove la voce narrante del protagonista racconta la sua storia di bambino, che negli anni quaranta del secolo scorso vede la sua vita cambiare, perde il padre e insieme alla madre viene deportato in un campo di concentramento diventando sempre più debole e finendo con l’essere assassinato insieme agli altri bambini del campo (a questo punto è il caso di dire che in spagnolo “humo” significa “fumo”).

Un cortometraggio che racconta la tragedia pura e non concede speranza, ma inserisce situazioni realistiche unite a simbolismi sulla morte e l’ingiustizia tanto potenti da strappare il cuore. Si capisce subito come andrà a finire, ma l’intento non è quello di stupire, quanto quello di comunicare la tragedia della morte degli innocenti. È un vero peccato che l’autrice all’ultimo momento non fosse potuta venire alla colazione.

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