afNews 22 Settembre 2022 19:19

Oltre il Ghibli: una retrospettiva su Masashi Ando

Non è raro trovare personalità carismatiche a tal punto da poter emergere in un contesto polarizzato quale lo Studio Ghibli. Tutt’oggi, infatti, nonostante il decesso di Isao Takahata e il presunto ritiro di Hayao Miyazaki dalla scena registica, i riflettori continuano ad essere puntati sulle due leggende dell’animazione giapponese. 

Tra gli animatori e gli autori che hanno avuto bravura e forza a sufficienza da farsi le ossa ed emergere in un mondo severo e rigido qual era lo studio dell’ingombrante e pacioso Totoro vi è sicuramente Masashi Ando, nome che ad oggi viene associato ai film animati giapponesi di maggior successo: da “Mononoke Hime” a “Your Name”, fino al suo debutto registico con “Il re dei cervi” assieme a Masayuji Miyaji. 

Il regista non nasconde di non aver mai voluto distanziarsi dai suoi mentori, e qui proveremo a percorrere il percorso dell’autore sin a vedere nei fatti chi e quando ha incrociato l’autore durante il cammino.

Masashi Ando nasce a Hiroshima nel 1969. Il decennio è fondamentale poiché la sua generazione rimane segnata da notevoli cambiamenti storici: nato durante le proteste studentesche degli anni ‘60, trascorre la giovinezza durante la fine dell’era Showa (1926-1989) e il terremoto politico che ne consegue. Durante la maturità si trova a fronteggiare il cosiddetto decennio perduto, il periodo che va dagli anni ‘80 ai ‘90 in cui l’economia nipponica crolla a seguito dello scoppio della bolla speculativa edilizia. La crisi monetaria porta una conseguente demoralizzazione e perdita di speranza nella popolazione più giovane.

Molti giovani e futuri colleghi per sfuggire ai venti sociali severi e sferzanti si rifugiano nei mondi finzionali, forti di in un momento in cui l’animazione aveva preso ampiamente piede nella cultura nipponica; Masashi Ando poco più che adolescente rimane stregato dal lavoro di Hayao Miyazaki del 1984, “Nausicaa della valle del vento”. La visione dell’opera lo sprona a perseguire con tenacia la sua grande passione, tant’è che sin da subito impugna matite e colori per pubblicare sulla rivista Animage illustrazioni originali sull’opera che tanto lo ha emozionato. La forza creativa di Ando è tale da spingerlo ad iscriversi all’Istituto Superiore d’Arte nel 1990 e superare il test di ammissione allo Studio Ghibli al secondo anno.

Il suo primo impiego è quello di intercalatore per “Pioggia di ricordi” per passare poi direttamente a “Porco Rosso” come animatore chiave.

Nelle scene curate da lui, si può notare sin da subito come le sue intuizioni riguardo il timing e la gestione di più corpi all’interno di uno spazio sia estremamente matura sin da subito. Nonostante si ritrovi a raffigurare più volte masse e folle, riesce a restituire a ciascun individuo un elemento di originalità e realismo, che sia un piccolo movimento secondario, un cenno o lo svolazzare leggero di capelli o vestiti che saltano subito all’occhio come qualcosa di estremamente personale e umano.
Porta avanti il ruolo di key animator (o gengaman, in giapponese) per i film successivi: “Si sente il mare”, “Pom Poko”, “I sospiri del mio cuore” finché “La principessa Mononoke” entra in produzione. 

A questo punto gli viene proposto di fare il salto e diviene direttore delle animazioni e designer dei personaggi per quello che Hayao Miyazaki reputa un banco di prova: il clip musicale “On your mark”, realizzato sulle note della canzone omonima del duo pop “Chage and Aska”. 

Il suo lavoro colpisce Miyazaki che a soli 25 anni lo incarica della direzione delle animazioni per “La principessa Mononoke” ora tornato in produzione dopo una pausa. Da un lato la reverenza nei confronti del maestro lo porta ad assorbire qualsiasi sua nozione, dall’altra la verve creativa e artistica lo indirizzano verso lo sviluppo di una personale linea d’espressione che non sempre viene apprezzata appieno dal maestro, come l’inseguimento del realismo animato.
Ando ha nel frattempo iniziato ad espandere la sua influenza non solo nel campo prettamente “sakuga” (di produzione dell’animazione) ma anche per ciò che concerne la narrazione, arrivando a dare opinioni sullo svolgimento e i dettagli dell’intreccio. Così accade per “La principessa Mononoke” e accadrà per “La città incantata”.

Tuttavia il giovane direttore delle animazioni sente di volersi esprimere senza sentire il peso delle aspettative e dello stile di Hayao Miyazaki sulle proprie decisioni. Ando abbandona l’ovile dopo aver lavorato a “I miei vicini Yamada” e “La città incantata” e si mette in proprio nel 2003; per un animatore significa intraprendere la via del freelance.

Davanti a sé ha un futuro di partecipazioni a grandi film a partire da “Tokyo Godfather” del maestro Satoshi Kon. In lui trova un ottimo direttore in quanto capace di sfidarlo a ragionare sui sentimenti attraverso il character design e non disegnare per l’appeal del pubblico. Il sodalizio con Kon prosegue con “Paprika”, ma nel frattempo lavora ad altre grandi produzioni: “Tekkonkinkreet” di Koji Morimoto, “Ghost in the Shell stand alone complex”, una delle poche serie cui lavorerà, dopo “Paranoia Agent” sempre di Satoshi Kon.

Le sue caratteristiche di animatore risultano ottimali per la riuscita dei film surreali del defunto regista, proprio perché la gestione dello spazio e il timing delle animazioni. Riesce a restituire una visione d’insieme avvolgente che comunica con grande efficacia le atmosfere oniriche e strambe del mondo in cui si muovono i personaggi, lasciando lo spettatore sul limbo tra realtà e fantasia grazie al realismo delle sue animazioni.
L’abilità e i legami di Ando lo portano a lavorare spesso per colleghi e amici, che finiranno per accompagnarlo attraverso lunghi tratti del suo cammino. Uno di questi è il leggendario animatore Hiroyuki Okiura con cui lavorerà in futuro come designer di personaggi e direttore delle animazioni. Al suo fianco, l’altrettanto talentuoso Toshiyuki Inoue, già collega durante la realizzazione  delle serie sviluppate a partire dal capolavoro di Mamoru Oshii, “Ghost in the shell Stand Alone Complex” vero e proprio ricettacolo di talenti.

Nonostante gli anni di distacco dallo studio Ghibli siano ormai una decina, Ando decide di tornare dove tutto è iniziato come direttore delle animazioni e character designer. Questa volta si assicura che Miyazaki non sia presente, tant’è che il suo apporto viene dato a “La leggenda della principessa splendente” del 2013, diretto da Isao Takahata. Il film, che esce dagli stilemi classici con cui è abituato a lavorare, è in qualche modo un ritorno al passato, memore del suo periodo a “I miei vicini Yamada” e l’imperituro amore per l’animazione classica. Il designer dei personaggi e direttore delle animazioni, qui, è proprio il Kenichi Konishi, entrato con lui come intercalatore in “Pioggia di ricordi”.

Nel frattempo la situazione allo Studio Ghibli ha già iniziato ad incrinarsi . Dopo l’uscita dei due grandi titoli dei patroni dello studio, “La principessa Splendente” e “Si alza il vento”, Nishimura viene avvicinato dal produttore Suzuki con l’idea di adattare a film animato un romanzo su cui Miyazaki aveva messo gli occhi in passato. Nishimura è indeciso, non ama il romanzo e non sa bene come trasporlo in un lungometraggio. Tuttavia, similmente al pensiero che smosse Ando all’epoca, anche Nishimura nasconde la volontà di distaccarsi dai dettami dei numi tutelari dello studio

Mentre “La principessa splendente” è in produzione (che ricordiamo essere durata 8 anni), Nishimura, assieme a Yonebayashi, si rimboccano le maniche per lavorare a quello che diventerà “Quando c’era Marnie”. Ando si annette al progetto perché, secondo i due, il suo temperamento e la sua personalità autoriale avrebbero dato la giusta direzione al film.
Come per Masashi Ando, per loro è necessario fare il film secondo i propri gusti e i propri dettami, chiedersi “è questo che vorremmo?” e non “è questo che piacerebbe al maestro?”.

I restanti lavori di Ando sono costellati di collaborazioni con grandi animatori e artisti come il già citato Toshiyuki Inoue, ma anche Okiura e Tatsuya Nishio, che incrocia durante la produzione di “Miss Hokusai” del 2015. 

L’anno successivo esce un film che sicuramente farè parlare di sé soprattutto oltreoceano, tanto da elevare il regista Makoto Shinkai a “il nuovo Miyazaki”. Ironia della sorte, Masashi Ando era direttore delle animazioni e designer dei personaggi.
Per quanto il nomignolo fosse stato dato a Shinkai come simbolo della “fama raggiunta”, l’approccio tecnico del regista è ben lontano dal conservatorismo analogico tipico della scuola dello Studio Ghibli. In tal modo, però, l’operato di Ando riesce a creare una sinergia con i metodi più moderni di Shinkai. È Ando stesso a dichiarare che il suo obiettivo, essendo ormai della vecchia guardia di animatori, è quello di trovare un modo per far coesistere animazione tradizionale e nuove metodologie artistiche di produzione.

Riguardo lo staff coinvolto durante la realizzazione di “Your name”, Ando è sicuramente un’esca: il suo nome ormai è diventato sinonimo di qualità, letteralmente una sirena d’allarme per gli addetti ai lavori. Basta la sua presenza a taluni progetti per fare da drappo rosso a leggendari animatori come Norio Matsumoto, Toshie Honda, Takeshi Inamura, o vecchi compagni di viaggio come Tomoka Ishijima, Shunsuke Irota e Kenji Imura. Parte del successo di “Your name”, quello che esula la favola sentimentale ormai marchio di fabbrica dei film di Shinkai, è in gran parte merito suo.
Il realismo e le attenzioni nel linguaggio corporei dei protagonisti, forti di una trama che si basa sullo scambio dei corpi, rendono l’aderenza alle movenze umane di cui Ando è esperto la chiave di volta delle animazioni nelle opere di Makoto Shinkai, che in questo modo riesce a mettere in scena personaggi in grado di risuonare con maggior forza nell’anima di molti più spettatori rispetto alle opere precedenti.

Seguono alcuni lavori: “Napping Princess” di Kenji Kamiyama, regista di grande fama per aver diretto “Jin Roh- uomini e lupi” e adattato magistralmente “Seirei no Moribito”, che Ando conobbe tra le fila di “Ghost in the shell Stand alone complex”. Qui rivede volti noti come Mitsuo Iso, con cui lavorò nel 2007 in “Denno Coil”

“Mary e il fiore della strega”, invece, è il tentativo di dare man forte al neonato Studio Ponoc con il lungometraggio di debutto prodotto da Nishimura. Il film risulta essere un contenitore degli stilemi Ghibli, sfoggio dei talenti di un corposo team di veterani che riempiono lo schermo di rappresentazioni visive legate al loro passato artistico. 

Arriva nel 2021 “Il re dei cervi”, debutto registico per Ando, totalmente in 2D. Anche lui quindi porta avanti il percorso creativo che vede un animatore di estremo talento tentare di divenire autore a tutto tondo osando in ruoli registici. A lui si affianca l’ex-collega dei tempi de “La città incantata”, Masayuji Miyaji, che debuttò come kantoku (regista) di “Xam’d lost memories”. La storia è l’adattamento a lungometraggio di un’opera di Nahoko Urehara, l’autrice che scrisse il romanzo su cui si basa il già citato Seirei no Moribito di Kamiyama. 

Purtroppo il film riceve un adattamento che comprime, sfilaccia e segmenta la trama originale e avrebbe tratto più giovamento da un adattamento seriale e non in un lungometraggio. Quello che si può notare, comunque, è come i sentimenti e le vibrazioni che hanno contraddistinto il folklore de “La principessa Mononoke” siano del tutto presenti all’interno del film, tanto che il marketing dell’opera pigia l’acceleratore proprio sull’opera passata del co-regista. 
In questo film Ando torna a giocare sulle animazioni degli animali per le quali ha sempre goduto di un primato stilistico.

Si concretizza narrativamente ciò che Ando ha per anni cercato di esprimere con successo tramite i suoi character design: mostrare personaggi che agiscono e provano profondi sentimenti con la naturalezza del genere umano. La relazione tra l’uomo e la bambina diventa il fulcro del film lasciando che l’attenzione verso il resto vada fuori fuoco, vista anche la lunghezza del romanzo originale. Stesso discorso è da farsi con il character acting, cavallo di battaglia di Ando sin dai primi passi di animatore: l’uomo immerso nelle emozioni, che anche avvolto dalla folla di suoi simili riesce a mantenere la sua unicità tramite piccoli gesti caratteristici e singolari che rendono l’uno differente dall’altro.

Ed è questa la filosofia di Masashi Ando, lo stesso che ammirava Miyazaki per le sue animazioni dolci in film rigidi e duri. Ma ciò che Ando riesce a portare tra i suoi frame è la realtà delle creature nelle sue sfaccettature, le loro peculiarità nei contesti più disparati. Perché ovunque sia calata la vita, da sola o immersa tra simili, nel mondo dei sogni o in una foresta, in una città cyberpunk o nella moderna Tokyo, le persone come gli animali rimangono entità uniche e caratteristiche, le cui storie e sentimenti valgono la pena di essere espressi.

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