Può sembrare una contraddizione, una delle tante che hanno costellato il cammino artistico di Giorgio Forattini. Il principe della satira disegnata, quello che ha sempre combattuto contro tutti i Palazzi del potere, è adesso ospite del Palazzo Reale di Milano per una grande mostra voluta dal Comune e ospitata appunto – fino al prossimo 27 settembre – nelle sale del celebre monumento milanese. E’ dai primi anni Settanta – in pratica dal referendum sul divorzio che festeggiò con la celebre vignetta sul “tappo” Fanfani – che Forattini disegna e commenta con originale cattiveria fatti e misfatti della politica italiana, e non solo. Saranno almeno diecimila le vignette di questo autore, ospitate a lungo sui maggiori quotidiani italiani e su Panorama, dove ogni settimana propone un’irriverente “mascalzonata”. Il titolo della mostra milanese è: “Forattini, coraggio, libertà e sberleffo” e racchiude sinteticamente tutta la storia civile di questo vignettista, potremmo definirlo così, se il termine non fosse riduttivo. Più che vignettista, Forattini è un editorialista, un giornalista di quelli che fanno opinione. Questi usano la parola scritta, Forattini, molto più sbrigativamente, usa il pennarello o la matita, ottenendo lo stesso risultato, senza troppi giri di parole e senza annoiare. La mostra milanese propone il “meglio” di Forattini: centinaia di vignette, oggetti, giochi, gigantografie, in una sorta di campionario della storia e dei personaggi dell’Italia degli ultimi trent’anni, che spesso Forattini ha caratterizzato con pochi, indovinati tratti. Se Craxi indossava gli stivali mussoliniani, Berlusconi è stato un moderno Paperone, mentre Veltroni è diventato un bruco e Prodi un parroco di campagna che era pappa e ciccia con il sindaco Peppone. Pochi sono sfuggiti alla sua ironia, dal gobbo Andreotti (il bersaglio preferito, almeno 700 vignette) allo scheletro Fassino, allo Spadolini nudo, e via continuando, in un caleidoscopio cattivo, caustico, graffiante, ma in fondo realistico. In questa mostra c’è forse una lacuna: manca, per esempio, una vignetta di Jacovitti, quando nell’immediato dopoguerra si dedicava alla satira. In quegli anni il futuro papà di Cocco Bill si divertiva a disegnare il simbolo del comunismo sostituendo il martello con la Croce cattolica. Molti anni dopo Forattini disegnava Prodi che inalberava un vessillo con la falce e la croce. Sembrava quasi un involontario e riuscito incontro tra i due maggiori autori della satira disegnata, entrambi sufficientemente cattivi, a loro modo estremisti, ma di centro, come diceva il grande Jac. [Articolo di Carlo Scaringi]