lunedì 11 gennaio 2010

La storia di una gatta pazza e di un topo innamorato

DingbatJokebookCover Il 20 giugno 1910 George Herriman cominciò a pubblicare sull’American Journal di New York la storia della famiglia Dingbat (poi, il 10 agosto, diventa semplicemente The Family Upstairs, poi di nuovo The Dingbat Family il 15 novembre 1911), una delle tante famiglie di poveri diavoli nell’America ancora povera del primo Novecento. Ma ben presto le vicende degli umani finiscono in secondo piano, scacciate da altri componenti della famiglia: un gatto domestico dal comportamento imprevedibile (scopriremo poi che è una gatta un po’ pazza, da cui il nome di Krazy Kat, o forse è un maschio, chissà: sul genere c’è sempre stata una certa ambiguità), un cane burbero e severo, Offissa Pupp, che non solo è innamorato della gatta, ma ha anche il pallino dell’ordine e indossa la divisa da poliziotto, e infine un topo che, dietro il nome umano di Ignazio, cela un comportamento decisamente insolito, forse schizofrenico: anziché essere intimorito dalla presenza del peggior herrcar-rit nemico della sua razza, si diverte a perseguitare e torturare la povera gatta, anche a suon di mattoni che invariabilmente colpiscono Krazy Kat e altrettanto puntualmente gli assicurano un posto in gattabuia, verrebbe da dire. Ma anche dietro le sbarre il tenace Ignazio non cessa di esprimere il suo odio-amore per Krazy Kat. Le vicende degli animali diventano una serie a se stante il 28 ottobre 1913. Queste storie sono state disegnate da George Herriman per alcuni decenni e le avventure dell’insolito terzetto si sono concluse con la sua morte, nel 1944, perché nessun altro autore ha voluto continuare questa saga poetica, unica e irrepetibile. Nato nel 1880 a New Orleans, Herriman abbandonò nel 1901 la panetteria del padre fornaio per andare a New York a cercare lavoro nel campo del disegno. Qui fu aiutato da William Randolph Hearst – uno dei padri del giornalismo americano – che ne aveva intuito le qualità artistiche e nel 1908 lo assunse al N.Y. American Journal. Le storie di Krazy Kat, kipdraw ambientate nella lunare contea di Coconino in Arizona, hanno rappresentato un fenomeno unico nel mondo del fumetto, pari forse solo a quello onirico di Little Nemo. Pur non avendo mai raggiunto la diffusione di altre strisce famose (negli anni Trenta, per esempio, i fumetti di Blondie apparivano su un migliaio di quotidiani, mentre quelli di Krazy Kat appena su 35, ed Herriman era pagato la metà dei suoi colleghi), le storie di Krazy Kat rappresentano il più riuscito tentativo di sposare il fumetto con la poesia, la realtà possibile con l’utopia sperata. Prima di Krazy Kat il fumetto traeva dalla cronaca gli spunti per il suo messaggio. Con Krazy Kat il discorso, più umoristico che critico, assume una dimensione poetica e surreale, a tratti demenziale: la gatta innamorata, insomma, considera i mattoni che le lancia il topo Ignazio altrettanti messaggi d’amore… “pietrificati”. Nella sua semplicità non riesce a vedere la violenza sempre presente nella società: per lei l’amore e la vita possono esprimersi anche con i mattoni. Ma altri, come il cane Offissa Pupp, la pensano diversamente, e il povero Ignazio finisce dietro le sbarre a meditare sull’amore e sull’incomprensione degli uomini. (Articolo di Carlo Scaringi)

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domenica 27 dicembre 2009

Gli anniversari del 2010

HerrimanAnche l’anno che verrà, come spesso accade, permetterà di ripercorrere la storia del fumetto, attraverso gli anniversari che punteggeranno i prossimi mesi. Ci sono molti eroi di carta che compiranno gli anni, da Spirit a Blondie, da Pier Lambicchi ai Peanuts, forse i più famosi di tutti e il cui creatore Schulz, è morto nel 2000, il 12 febbraio. Ma andiamo per ordine, cominciando a ricordare che giusto un secolo fa, il 16 gennaio 1910, arrivò sul Corriere dei Piccoli Happy Hooligan, nato all’inizio del Novecento, e reso popolare da un indovinato nome datogli in Italia, Fortunello. Più tardi, il 20 giugno del 1910, George Harriman creava le poetiche e burrascose avventure di Krazy Kat, gatta sentimentale innamorata del topo Ignazio, una vicenda quasi surreale disturbata dai periodici interventi dell’agente Offisa Pupp. Mezzo secolo dopo, nel febbraio del 1960, il mondo dei supereroi DC Comics si evolveva con il gruppo di Justice League, implacabili difensori dell’ordine mondiale, o quasi. L’elenco dei compleanni italiani si apre con la nascita, il 20 febbraio 1950, di akim654 PedrazzaAkim, una sorta di scimmia bianca che ricorda molto il più celebre Tarzan. Dieci anni prima erano nati invece Furio Almirante, testi di Bonelli padre e disegni di Carlo Cossio, e i più famosi 3P di Jacovitti. Il primo era un pugile italiano che negli Stati Uniti combatteva la violenza a suon di pugni, i 3P invece erano tre intraprendenti ragazzi, Pippo, Pertica e Palla, che finivano in mezzo a cos e più grandi di loro. Restiamo in Italia per ricordare due anniversari del 1935, ovvero l’uscita il 23 febbraio, del primo numero dell’Intrepido, uno dei settimanali storici del fumetto avventuroso, e l’inizio su Topolino della saga fantascientifica di Guido Moroni Celsi, “S.K.1”, un incredibile viaggio nel sistema solare a bordo di un aereo stratosferico, SK1 appunto, tra mostri e alieni vari. Avventure spaziali vive anche Dan Dare, audace pilota inglese, protagonista di un lungo ciclo iniziato nell’aprile del 1950, che in qualche modo anticipava le avventure del più maturo Jeff Hawke. Il 2010 è anche il centenario di molti eroi disneyani, a partire da Topolino e Minnie, approdati sulla carta stampata nel gennaio 1930 dopo i successi dei primi cortometraggi animati, al pari di DCP2702 disney cavazzano laquaGambadilegno, nato nella dimensione cinematografica già nel 1925 ma arrivato nei fumetti solo il 12 aprile del 1930. Questo viaggio fra le nuvolette di mezzo mondo ci riporta in Italia per ricordare altri anniversari, dai 40 anni del Commisario Spada (19 aprile ’70), realisticamente disegnato da Gianni De Luca, a quelli di Larry Yuma della coppia Nizzi-Boscarato, al Nick Carter di Bonvi e De Maria, allo Zio Boris di Castelli, che ironizzava sui film di vampiri. Vent’anni prima, alla fine di aprile del 1950, iniziava la saga piuttosto cruda per quei tempi di Kinowa, ideata da Andrea Lavezzolo e disegnata, almeno nei primi episodi, dal gruppo torinese di EsseGesse. Restiamo nel mondo dell’avventura con Spirit, l’originale detective inventato nel giugno del 1940 da Will Eisner, uno dei maestri del fumetto mondiale. Prima di narrare l’amara vita degli immigrati europei negli Stati Uniti, con una serie di graphic novels di forte impatto emotivo e realistico, Eisner si era divertito con Spirit, un detective creduto morto che vive dentro una tomba. Il 25 giugno del 1930 Giovanni Manca creò un singolare personaggio, Pier Lambicchi, che inventa una vernice capace di dar vita a oggetti e figure inanimate, con tutte le conseguenze, divertenti, del caso. Quadratino di Antonio RubinoTralasciando i 70 anni di Brenda Starr, singolare reporter americana passata anche al cinema, arriviamo al centenario di Quadratino, il primo bambino del fumetto italiano dopo il Bilbolbul di Mussino apparso sul primo numero del Corriere dei Piccoli alla fine del 1908. Se il negretto Bilbolbul mutava secondo gli stati d’animo, il Quadratino di Antonio Rubino – uno dei padri del fumetto umoristico italiano – aveva il potere di trasformare la sua testa in una serie di figure geometriche. Forse quelle storielle, pubblicate a lungo sul Corriere dei Piccoli dal 7 agosto 1910, avevano anche una funzione didattica, ma certamente divertivano per la loro originalità. Se Daredevil, il supereroe muto nato nel settembre 1940 dalla fantasia di Jack Binder e Jack Cole Mort Walker 804007031oci porta in una dimensione fantastica, altri personaggi umoristici, e tutti americani, ci offrono momenti ironici e realistici della vita quotidiana, dall’universo militare alla vita in famiglia, al mondo dei bambini. Mort Walker ha cominciato a raccontare le divertenti storielle della vita con le stellette dal 3 settembre 1950 attraverso le disavventure del soldato Beetle Bailey. Vent’anni prima, dal 15 settembre del 1930, Chic Young, fratello di Lyman, quello di Cino e Franco, aveva puntato la sua attenzione su Blondie e Dagoberto, una coppia all’inizio male assortita, ma che poi ha attraversato felicemente decenni di vita matrimoniale, come testimonia il successo universale di questa striscia. Si è invece purtroppo conclusa la vita dei Peanuts, quel singolare gruppo di bambini e un cane – Charlie Brown, Lucy, Linus, Snoopy, ecc. – creata nell’ottobre 1950 da quel poeta del disegno che è stato, per oltre mezzo secolo, Charles Schulz. Prima di ricordare alcuni grandi autori del passato, CB1segnaliamo i decennali di qualche altro più modesto fumetto italiano, per esempio i 30 anni dalla nascita di Zanardi, una delle figure più incisive di quel genio e sregolatezza che fu Andrea Pazienza, i 50 anni di un piccolo supereroe italiano, Junior di Grecchi, un ragazzo colpito da raggi atomici che gli danno poteri super, e i 40 anni di Jolanda, improbabile eroina di cappa e spada, spesso svestita, disegnata da vari autori più o meno anonimi, fra cui un quasi debuttante Milo Manara, che lì ha iniziato a studiare la figura femminile, con ottimi risultati a giudicare dalla sua carriera. Concludiamo questa carrellata, quasi certamente incompleta, ricordando alcuni autori, come William Hanna – l’altra metà della celebre coppia Hanna-Barbera – nato il 14 luglio 1910, come Hugo Pratt, scomparso il 20 agosto 1995 e come Carl Barks, il padre di tutti i paperi, morto quasi centenario il 23 agosto del 2000. (Articolo di Carlo Scaringi)

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martedì 22 dicembre 2009

Festa di compleanno per i Simpson

simpsonscienza Il debutto della fortunata serie animata dei Simpson è avvenuto negli Stati Uniti il 17 dicembre del 1989, ma le celebrazioni dell’anniversario sono iniziate già da settimane con mostre, rassegne, dibattiti su questa stramba famiglia che ipnotizza milioni di spettatori in tutto il mondo. Marge, moglie di Homer e madre di tre piccole pesti è perfino apparsa su Playboy, dove ha fatto la sua bella figura – si fa per dire – reggendo il confronto con le conigliette. L’autore della serie è Matt Groening, oggi un tranquillo e maturo signore, che si è ispirato, almeno nei nomi, alla sua famiglia, senz’altro più normale di quella che gli ha dato la notorietà, e forse anche più tranquilla. Per fuggire dalla monotomia familiare, il giovane Matt nei primi anni Ottanta si è dedicato al disegno, ideando una pungente striscia satirica – Life is Hell, ovvero La vita è un inferno – con protagonista il coniglio Binky. Oggi quasi nessuno la ricorda più, perché è stata schiacciata dl successo dei Simpson, una bislacca famiglia che nessuno vorrebbe avere ma nella quale tutti, o quasi, vorrebbero vivere. Il capofamiglia è Homer, 36 anni e 140 chili di peso, frustrato, forse incapace, certo insoddisfatto, che si occupa della sicurezza della centrale nucleare di Springfield, anonima cittadina collocata in qualche parte degli States (ce ne sono almeno 40 con quel nome). La moglie, madre più o meno felice di tre figli, si chiama Marge, ha 34 anni ed è la tipica photo at Scoop Diamond Galleriescasalinga, con molti problemi e nessuna ambizione, brava in cucina, e con una capigliatura azzurra e cotonata che usa per nascondervi un po’ di tutto. Il figlio maggiore si chiama Bart, è sfacciato, sfaticato, va a scuola ma non impara nulla. Lisa, 8 anni e quasi un pozzo di saggezza, è l’intellettuale della famiglia, profonda e filosofica che dice, per esempio, cose come “Credi in te stesso, e non otterrai mai nulla”. Maggie è il cucciolo di casa, un anno o poco più, col ciuccio sempre in bocca, che sostituisce la coperta di Linus. Nella vita di questa famiglia – come abbiamo visto in questi vent’anni – succede di tutto, e Simpson Familyanche le cose normali in casa Simpson diventano straordinarie e paradossali, quasi come il colore della pelle di un giallo inquietante. Malgrado tutto è stata la famiglia dell’anno nel 1999, secondo l’autorevole settimanale Time, che l’ha inserita tra i protagonisti del Novecento, alla pari, o quasi, con Einstein, Gandhi e altri. La serie televisiva ha in Italia, da sempre, una media di due milioni e mezzo di spettatori, è stata doppiata anche da personaggi celebri come Bonolis, Jovanotti, Sgarbi, Totti o Valeria Marini, e la critica ha avuto parole di elogio. Secondo Aldo Grasso del Corriere della Sera, i Simpson raccontano “la mostruosità del quotidiano ma con una forte carica espressiva” mentre il Los Angeles Times ha trovato il programma “intelligente, volgare, sovversivo, comico e pieno di ingegno”. Realizzato in parte negli studi della Corea del Sud, il ciclo ha da sempre un successo universale e ha messo in moto un giro di affari miliardario, con libri, videocassette e oggetti vari venduti in tutto il mondo. E questo, per una famiglia di incapaci come i Simpson, è un bel successo. (Articolo di Carlo Scaringi)

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sabato 19 dicembre 2009

Il Corriere dei Ragazzi, che bel giornalino

annicdr Storici e critici del fumetto hanno più volte studiato, analizzato e raccontato la storia del Corriere dei Piccoli, per molti decenni lettura preferita di tanti ragazzi del Novecento. Negli ultimi anni della sua esistenza il celebre settimanale ha avuto varie trasformazioni, diventando per quattro anni, dal 1972 al 1976, il Corriere dei Ragazzi. Un esperimento breve ma intenso e significativo, con molte storie a fumetti, rubriche culturali e informazioni di attualità, il tutto proposto senza pedanteria e senza cadere nell’evasione più facile, quella per esempio offerta dai periodici più popolari, di modesto spessore. In un momento abbastanza felice per il fumetto italiano, questo settimanale rinnovò sensibilmente il piccolo mondo delle nuvolette, dando ampio spazio e visibilità agli autori italiani, sia famosi che esordienti. Non è esagerato affermare che il Corriere dei Ragazzi fu una vera rivista d’autore, quasi alla pari dell’intellettuale e raffinato Linus e del nazionalpopolare Eureka, che comunque si rivolgevano a un pubblico più adulto e in parte politicizzato. Al Corriere dei Ragazzi è dedicato un grosso e illustrato volume edito dalla Rizzoli – “Gli anni del CdR, ovvero quando il Corriere dei Piccoli diventò grande” –  in cui i curatori Gianni Bono e Alfredo Castelli, che vissero in redazione quell’esperienza, rievocano i quattro anni quasi indimenticabili. Alfredo Castelli li aveva in parte già ricordati tempo fa in un numero monografico di IF di Gianni Bono, raccontando non tanto il bello di quell’esperienza quanto il rovescio della medaglia, ovvero il modo con cui la “proprietà” e i redattori del Corriere della Sera trattavanoimamginazionepotere i giovani colleghi del settimanale (tra cui c’era anche Ferruccio de Bortoli, ora direttore del CdS) indicati “come quelli che si divertivano e facevano i pupazzetti”. Tra questi, ha scritto il futuro papà di Martin Mystère, c’era anche chi veniva definito “il giovane promettente Castelli”, mentre adesso è solo il BVZM, ovvero il Buon Vecchio Zio Martin. Mettendo da parte la nostalgia, fra i tanti pregi di questo giornalino c’è soprattutto quello di aver ospitato il meglio, o quasi, del fumetto italiano, dai quasi esordienti Bonvi, Silver, lo stesso Castelli (presente con gli Aristocratici e Zio Boris) ad alcuni dei migliori disegnatori di quegli anni, da Hugo Pratt a Sergio Toppi, da Guido Buzzelli a Mario Uggeri, da Aldo Di Gennaro a Ferdinando Tacconi, da Jacovitti allo scrittore Mino Milani, sceneggiatore di storie western o poliziesche e di rubriche culturali come Inviato nel tempo o Cronaca disegnata che proponevano a fumetti personaggi ed eventi storici, perché il CdR non ha mai trascurato l’aspetto educativo dei fumetti. Negli stessi anni Linus – come ci ricorda un altro volume della Rizzoli, L’immaginazione e il potere a cura di Sergio Rossi – si apriva invece alla satira politica, anche qui con i migliori vignettisti italiani, dalla coppia Pericoli-Pirella a Chiappori, da Altan a Staino, ecc. Erano gli anni delle scelte e della grande giornococco tensione politica, e un giornalino piccolo e ambizioso come Linus non poteva restarne fuori, magari rischiando di perdere, come poi è avvenuto, qualche lettore. Ma prima di questi periodici c’era stato, tra la fine degli anni Cinquanta e i Sessanta, il Giorno dei Ragazzi, reso celebre dal Cocco Bill di Jacovitti e dall’inglese Dan Dare, proiettato già nel Duemila. Offerto insieme al quotidiano milanese, il Giorno dei Ragazzi forse preparò la strada alle novità degli anni futuri, come ricordano Luca Raffaelli e Gianni Brunoro che hanno curato un bel volume dedicato appunto a quel giornalino e naturalmente a Cocco Bill. (Articolo di Carlo Scaringi)

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mercoledì 9 dicembre 2009

Buzzelli, un autore da (ri)scoprire

buzzellicharlieDa qualche tempo quotidiani e periodici offrono ai lettori una serie di prodotti, soprattutto CD musicali e film in DVD, forse per combattere la crisi di vendite. Adesso l’offerta si è allargata anche ai fumetti, offerti a prezzi non proprio economici, seppure in edizioni di qualità. In queste settimane il Corriere della Sera propone una collana dedicata ai 100 anni del fumetto italiano, con abbondanza di eroi popolari, come i bonelliani Zagor, Nathan Never, Dylan Dog, e altri altrettanto celebri. Un settimanale importante come Panorama ha risposto con una serie dedicata ai maestri del fumetto, italiano e straniero. Accanto ai molti autori proposti, da Will Eisner a Giardino, da Toppi a Pratt, da Pazienza a Crumb e così via, c’è anche Guido Buzzelli, un vero “maestro del fumetto” forse ingiustamente trascurato o addirittura ignorato in Italia, mentre è ancora apprezzato in Francia. Buzzelli, nato a Roma nel 1927 e buzzellirevolte scomparso nel 1992, è balzato alla ribalta – un termine che non gli sarebbe certo piaciuto, schivo com’era – nel 1967 con La rivolta dei Racchi, un vero romanzo disegnato che era una chiara condanna della nascente società dell’immagine e dell’apparire. In seguito Buzzelli ha realizzato una serie di storie che affrontavano in un modo quasi profetico situazioni di un futuro prossimo venturo come il dopobomba e la crisi energetica (in HP) o l’invasione della TV (nella Guerra videologica), e così via. Ovviamente non si è fermato qui, ma ha prodotto un’infinità di storie, talvolta sceneggiate da altri, che evocavano momenti significativi del costume e della società, raccontati con un preciso e incisivo disegno in bianco e nero che faceva meglio risaltare le scene, ayeshabuzzellii volti, i corpi, e anche il Male, un tema ricorrente nelle sue storie più grottesche, o più realistiche. Una conferma ci arriva dalla rilettura di Ayesha, un racconto di una ventina di puntate apparso sul Corriere di Piccoli nel 1976, e praticamente inedito. La storia, sceneggiata dallo scrittore Mino Milani, parla di una donna – forse vera, forse solo immaginaria – di cui s’è invaghito un giovane, Leo, che vuole ritrovarla a ogni costo. Insieme al suo amico Holly, piccolo e nero come Buzzelli che amava raffigurarsi ironicamente nelle storie che disegnava, partono per l’India e l’Himalaya alla ricerca di questa visione. Troveranno bengalabuzzellidue donne, regine di opposte tribù in guerra fra loro, che s’innamoreranno di Leo, quasi conteso fra il Bene e il Male, in uno scenario a tratti fiabesco, fra l’India e il Tibet, fra monaci pacifici e guerrieri indomiti, e sullo sfondo la Donna Eterna – anzi due donne – al centro di questa realistica fiaba. Sostenuto da un testo d’un certo spessore, Ayesha costituisce una delle più valide prove di Buzzelli, di cui, nello stesso volume, possiamo apprezzare la forte carica espressiva dell’Uomo del Bengala, una storia edita da Bonelli nella collana “Un uomo, un’avventura” del 1979. Forse fu quel racconto drammatico e verosimile a convincere Sergio Bonelli che Guido Buzzelli sarebbe stato il disegnatore ideale per inaugurare la collana dei Texoni, illustrata in seguito da tanti altri maestri del fumetto.(Articolo di Carlo Scaringi)

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giovedì 3 dicembre 2009

Pecos Bill, un eroe leggendario

Almanacco Pecos Bill Il piccolo mondo del West all’italiana era già affollato di eroi di carta più o meno famosi, da Tex al Piccolo Sceriffo, quando – il 3 dicembre 1949 – arrivò Pecos Bill, un cow boy che lo sceneggiatore Guido Martina aveva ricavato dalle leggende del folklore americano. Quelle antiche storie evocavano personaggi che prendevano al lazo le stelle o cavalcavano i cicloni, ma nei fumetti di Pecos Bill non c’era traccia, perché Guido Martina preferiva il realismo condito con un pizzico di ironia. Il ciclo di Pecos Bill durò fino al 31 marzo 1955, forse troppo poco per la popolarità del personaggio, perché la Mondadori aveva deciso di puntare soprattutto sull’umorismo distensivo delle storie di Topolino e compagni anzichè sulla tensione dell’avventura. Eppure in quegli anni il filone western si era affermato grazie al lavoro di uno straordinario gruppo di autori, dagli sceneggiatori Gianluigi Bonelli e Andrea Lavezzolo, ai molti disegnatori di valore come Galleppini, Dell’Acqua, il gruppo EsseGesse, ecc. Pecos Bill venne disegnato, nel corso degli anni, da una dozzina di ottimi professionisti (Raffaele Paparella e Pier Lorenzo De Vita che curarono i primi Guido Martinanumeri, e poi Dino Battaglia, Antonio Canale, Roy D’Ami, Leo Cimpellin e altri) che proposero con preciso realismo il colorito universo della Frontiera. Le storie erano quelle classiche di tutti i western, arricchite di manciate di fantasia e di sottile umorismo che si ritrova, per esempio, nella figura di Davy Crockett, forse distante dalla realtà storica e trasformato quasi in una “spalla” di Pecos Bill, al pari dell’indiano apache Penna Bianca che sposando Altamaha, regina dei Sioux, assicurerà a Pecos Bill l’amicizia delle due tribù. I suoi nemici sono invece banditi messicani, indiani traditori, fuorilegge d’ogni risma, sceriffi corrotti e trafficanti di alcool e armi. Non mancano le presenze femminili, come Sue, delicata, dolce e profondamente innamorata del cow boy. E’ la classica fidanzata dei fumetti, talvolta anche un peso per il nostro eroe, per cui esce di scena dopo alcuni episodi. Pecos Bill si consolerà con Calamity Jane, che ricorda la vera Jane, fuorilegge pentita del vecchio West. Ma albo oro pecos bill la morale di sessant’anni fa non tollerava la presenza di una poco di buono, per cui anche Calamity Jane scompare. Ritornerà invece Sue che, come scopriremo nell’ultimo episodio, si era segretamente sposata con Pecos Bill dandogli anche un figlio. Al termine della lunga saga Pecos Bill affida il figlio a un branco di coyotes nella speranza, vana, che la dinastia possa continuare (anche lui infatti era stato allevato dai coyotes). Tra i meriti di questo fumetto c’è quello di aver portato nel brutto, sporco e cattivo mondo del West un po’ di eleganza, se non altro nel “look” di Pecos Bill, longilineo, biondo, atletico e con i pantaloni pieni di frange svolazzanti. Tra le mani stringe sempre un lazo che usa con maestria e sostituisce la pistola, presente invece tra i molti oggetti che l’industria dei giocattoli aveva messo in vendita sulla scia del successo di questo fumetto, ancora vivo nel ricordo di molti vecchi lettori. (Articolo di Carlo Scaringi)

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domenica 22 novembre 2009

Gli anni Settanta con Valentina e Stefi

Da diversi anni ormai il Corriere dei Piccoli vive solo nel ricordo di quanti furono bambini durante tutto il Novecento e si sono divertiti con le birichinate infantili di Bibì e Bibò, con le fortunate disavventure del Signor Bonaventura, con le vicende poco eroiche di Marmittone e con le peripezie del Sor Pampurio, alle prese con i problemi della famiglia e dell’alloggio sempre insoddisfacente. Questi personaggi di carta, e altri, hanno in pratica scandito il cammino dei piccoli lettori, con storielle legate all’infanzia, alla vita militare e alla maturità. Sarebbero trascorsi diversi decenni prima che apparisse un personaggio femminile, chiaramente rivolto alle bambine, ma letto e apprezzato anche dai maschietti e magari dai loro padri. Si chiamava Valentina Mela Verde ed era stato creato da Grazia Nidasio, autrice di fumetti e valida illustratrice. Forse era nato sulla scia del Sessantotto, ma non aveva le asprezze e le violenze di quel fenomeno. Valentina infatti è un’adolescente solare, sincera, curiosa e attenta alle novità di una società in evoluzione. Nelle sue piccole avventure s’incontrano situazioni legate al costume, alla scuola, ai rapporti con i genitori e con i coetanei, episodi spesso leggeri raccontati e disegnati con grazia dall’autrice. Rilette adesso tutte insieme, grazie all’iniziativa di Coniglio Editore che si propone di raccogliere in quattro corposi volumi le tavole più belle, le storie di Valentina offrono un preciso ma non polemico ritratto di un decennio difficile come gli anni Settanta. Il primo volume è dedicato agli anni 1969, 70 e 71, gli altri ci porteranno fino al 1978 quando Valentina era ormai cresciuta e poteva lasciare il posto alla sorellina minore, Stefi, che la stessa Grazia Nidasio ha disegnato per diversi anni. Rispetto a Valentina, Stefi è forse più petulante, polemica, allegra, sembra quasi (anche graficamente) una citazione di Mafalda. In tempi recenti è approdata nei cortometraggi animati, e ora si trova anche in libreria in un volume antologico edito da Rizzoli, che permette di completare quel viaggio nella memoria e nel costume degli ultimi decenni del Novecento, col sorriso sulle labbra. (Articolo di Carlo Scaringi)

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domenica 8 novembre 2009

Venezia nei fumetti

Johnny Hazard Nella primavera del 1971 Johnny Hazard, il pilota dell’aviazione americana protagonista di un lungo ciclo di guerra e spionaggio, disegnato dal 1944 da Frank Robbins, arriva a Venezia per proteggere un’attrice in pericolo. A bordo di un piccolo motoscafo a elica salva la ragazza, e poi lo seguiamo per molte vignette in volo sulla città lagunare: ecco piazza San Marco, il ponte di Rialto, le gondole, i luoghi classici e più conosciuti nel mondo. Circa vent’anni prima, nel 1954, Johnny Hazard era già stato a Venezia, anzi era addirittura giunto in macchina a un passo da piazza San Marco, grazie alla fantasia del disegnatore. E’ inutile dire che anche questa storia si conclude con la vittoria del nostro eroe, peraltro scaraventato dai nemici dentro un canale ma salvato da una provvidenziale ragazza. Quella proposta dal disegnatore è una Venezia da cartolina, riconoscibile per i suoi monumenti, i suoi ponti, i su oi canali, ma in tutto simile – nella sua cruda freddezza – a qualsiasi altra città. Ben diversa è la Buster BrownVenezia di Hugo Pratt, disegnatore veneziano padre di Corto Maltese, marinaio e avventuriero cosmopolita legato alla città veneta quanto il suo autore. La Venezia di Pratt è misteriosa, arcana, affascinante e inquietante, con le calli, i ponti, i campielli, la magia dei luoghi: una città che diventa essa stessa protagonista della storia. Venezia ha sempre suscitato una particolare suggestione: cinema, letteratura, teatro sono ricchi di riferimenti alla città, e anche il fumetto ne ha immortalato il fascino in molte occasioni. Già all’inizio del Novecento troviamo Venezia e le sue gondole in una tavola di Buster Brown, il bambino ricco ideato da Richard Felton Outcault per contrapporlo al suo primo e più famoso personaggio, quel monello giallo di Yellow Kid. E’ quasi impossibile elencare tutti gli eroi di carta transitati per Venezia, quasi un omaggio degli autori X9alla città spesso scenario ideale per storie piene di sentimento (cullate dal tranquillo ondeggiare delle gondole) o ricche di tensione e di mistero (con il suo passato, i suoi vicoli, i suoi canali, luoghi propizi per mortali agguati). A Venezia ogni tanto arrivavano Valentina e i suoi amici stranieri, nelle storie di Guido Crepax, milanese di sangue veneziano, a Venezia sono stati in anni lontani Mandrake e Narda, c’è passato l’Agente X-9 forse senza apprezzarne le bellezze, e c’è stata pure Tiffany Jones, fotomodella di storie giallo-rosa che invece ha trovato tutto meraviglioso. Anche Jane, famosa per i suoi spogliarelli involontari, non ha potuto evitare un giro in gondola, come la dinamica Modesty Blaise del resto, che si destreggiava abilmente anche pilotando un motoscafo. In Rip Kirby c’è addirittura un inseguimento in gondola, mentre in un storia di Garth – eroe fantascientifico inglese – scopriamo una Venezia di tempi lontani, quando la città dominava sui mari. Quella Venezia dei Dogi e di grandi condottieri, rievocata negli anni Trenta in vere e proprie saghe patriottiche, dalla Galea dalle vele d’argento a La regina di Cipro, apparse su Topolino e l’Avventuroso. Forse c’era qualche esagerazione e qualche forzatura, Mickey Mousema erano storie che trasformavano la città lagunare in qualcosa di vivo, con passioni, odii, sentimenti che non sempre ritroviamo nella Venezia degli stranieri, tranne forse in quella proposta da Robin Wood e Alberto Salinas nelle prime tavole della storia infinita di Dago presente da oltre vent’anni negli albi dell’Eura Editoriale. Il protagonista è Cesare Renzi, un nobile veneziano del Cinquecento, vittima innocente d’un complotto che lo renderà schiavo dei Saraceni. Trasformatosi poi in Dago per ricordare la daga che lo aveva quasi ucciso in un canale di Venezia, Cesare Renzi diventerà un giannizzero del Sultano e combatterà ovunque, dal bacino del Mediterraneo all’Europa del Rinascimento, con la segreta speranza di tornare nella sua città per vendicarsi. (Articolo di Carlo Scaringi)

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domenica 25 ottobre 2009

Asterix combatte da cinquant’anni
Il generale De Gaulle è scomparso da molti anni, la “grandeur” è ormai un ricordo sbiadito e il nazionalismo si è stemperato nell’Europa unita. Resta solo Asterix a tener alta la bandiera dello sciovinismo francese, con le sue eterne lotte contro i Romani. In questi giorni compie mezzo secolo, essendo apparso per la prima volta – sulle pagine di “Pilote” – il 29 ottobre del 1959. Il suo è un successo universale, concretizzatosi in centinaia di milioni di copie vendute e in decine di cartonati, l’ultimo dei quali è in uscita in Francia, e poi in altri Paesi, Italia compresa. E’ realizzato da Albert Uderzo, francese di origini friulane, che sin dall’inizio ha fatto coppia con lo sceneggiatore Renè Goscinny che ha ideato Asterix e gli altri personaggi, Obelix soprattutto, pensando forse a Topolino, Pippo e compagnia. Goscinny infatti aveva fatto esperienza negli Stati Uniti dove aveva tentato inutilmente di entrare negli studios della Disney. Quel parziale fallimento segnò il successo suo e di Uderzo, perchè Asterix divenne subito popolare, soprattutto perché riusciva a incarnare perfettamente i sogni dei francesi, nazionalisti al massimo e sempre in cerca di occasioni per riscattare i colpi mancini della storia, a partire dalle sconfitte subite già dai tempi dei Romani. Asterix in sostanza viene visto come un vendicatore, reso quasi invincibile dalla pozione del druido Panoramix, quella stessa che aveva trasformato il grosso e un po’ ottuso Obelix, caduto da piccolo nel paiolo dello stesso stregone, in una montagna di muscoli, eternamente affamato di cinghiali. Asterix accanto a Obelix sembra un moscerino, quasi schiacciato dall’elmo alato e dai baffoni spioventi. Quando gli salta la mosca al naso (e capita spesso) il piccolo Gallo Guardate il video!fa scattare i suoi nervi e la sua astuzia, e sconfigge tutti, anche i Romani, magari qualche volta stravolgendo la verità storica. Ma questo è un aspetto in fondo marginale, perché in effetti in tutte le storie di Asterix e compagni sia Goscinny (scomparso a 51 anni il 5 dicembre 1977) che Uderzo, oggi ottantunenne, hanno rispettato fedelmente la realtà, perfino l’urbanistica delle città, riproposte con minuzia di particolari nei disegni di Uderzo. In mezzo secolo di storie Asterix ha compiuto in pratica il giro del mondo allora conosciuto, passando dalla Spagna all’Egitto di Cleopatra, dai Normanni ai Goti, arrivando perfino nello spazio perché nel 1985 il primo satellite francese fu chiamato Asterix. E’ approdato più volte anche al cinema, in kolossal con grandi attori, da Gerard Depardieu a Roberto Benigni, a Monica Bellucci, e in molti lungometraggi animati, che alimentano periodicamente il mito di questo piccolo Gallo, che resta uno dei personaggi più riusciti del fumetto mondiale. (Articolo di Carlo Scaringi)

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martedì 20 ottobre 2009

Terry e i pirati, un capolavoro d’annata
In un’ipotetica classifica dei migliori fumetti di tutti i tempi, non c’è dubbio che Terry e i pirati debba figurare ai primi posti, alla pari, o quasi, delle avventure di Dick Tracy o Flash Gordon, o, passando a tempi più recenti, delle saghe dell’Eternauta o di Corto Maltese. Sono molti i motivi che fanno di Terry e i pirati un capolavoro, disegnato e sceneggiato per una dozzina di anni – dal 22 ottobre 1934 al 29 dicembre l946 – da uno dei massimi autori del fumetto mondiale, l’americano Milton Caniff, un maestro nei racconti di ambiente bellico. Caniff ha iniziato a disegnare la saga di Terry dopo una storia minore, quella di Dickie Dare, a mezza strada tra il fantastico e il realistico. La vicenda di Terry è ambientata in Cina dove il giovanissimo protagonista arriva con un baldo giovanotto, Pat Ryan, che gli fa da tutore, con la graziosa Dale Scott e un buffo cuoco cinese, George Webster Confucius, che tutti chiamano Connie. Il quartetto è in cerca di una misteriosa miniera d’oro, segnalata in modo approssimativo su una mappa che il nonno aveva donato al giovane Terry. E’ inutile dire che la miniera non si troverà, ma in compenso il simpatico quartetto incontrerà una serie infinita di rocambolesche e anche drammatiche avventure, scontrandosi con banditi di ogni genere, pirati, avventurieri, rapinatori, e finendo poi in mezzo alle complesse vicende belliche nella Cina degli ultimi anni Trenta, con nazionalisti, comunisti e invasori giapponesi, che ne mettono a rischio l’incoluminità. Col passar degli anni, le figure di Pat e Dale svaniscono, mentre si affacciano alla ribalta un’infinità di belle donne, affascinanti e spesso malvage, dalla Dragon Lady a Burma, da Normandie Sandhurst ad April Kane. Qualcuna è ingenua e buona, altre cattive e perfide, ma Terry non si fa abbindolare, anche perché la guerra – quella mondiale – si avvicina, e il ragazzo ormai cresciuto deve rispondere al richiamo della patria, accogliendo l’invito del colonnello Phil Corkin che gli chiede di entrare in Aviazione e combattere nelle giungle asiatiche. Qui la storia, che prima poteva avere anche un taglio salgariano, cambia registro e diventa una precisa cronaca di guerra, che Milton Caniff racconta con realismo e partecipazione fino a quando – conclusa la guerra e con la prospettiva di una lunga parentesi di tranquillità – cede il suo personaggio a George Wunder, che lo disegnerà fino al 25 febbraio 1973, dopo averlo trasformato in un ufficiale impegnato in tutti i focolai della guerra fredda, dalla Corea al Medio Oriente, dall’Europa al Sud America. Dopo Terry, Milton Caniff non è rimasto con le mani in mano, ma ha subito ideato un altro americano in divisa, Steve Canyon, protagonista – come il Terry di Wunder – delle vicende belliche di quegli anni. Con le sue imprese ha contribuito ulteriormente a costruire l’immagine, un po’ forzata, degli “USA gendarmi del mondo”. In mezzo a tanti uomini in divisa, Milton Caniff ha disegnato, nel pieno del secondo conflitto mondiale, le umoristiche avventure di una bella ragazza, Male Call, che allieta la dura vita dei soldati. Male Call, o Miss Merletto come è stata chiamata in Italia, è una sorta di Betty Boop, meno spregiudicata e più vestita, ma sempre bella a vedersi, come tutti i personaggi femminili disegnati da Caniff. (Articolo di Carlo Scaringi).

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domenica 18 ottobre 2009

Kirk, un sergente amico dei pellerossa
Nell’autunno del 1949 un gruppo di giovani di belle speranze che a Venezia nell’immediato dopoguerra avevano creato l’Asso di Picche e altri personaggi a fumetti, lasciò l’Italia diretto in Argentina dove li attendeva l’editore Civita che aveva abbandonato la Penisola dopo le famigerate leggi razziali. Sulla nave c’erano Hugo Pratt, Mario Faustinelli e Alberto Ongaro, che già studiava da romanziere e intanto scriveva storie a fumetti. In Italia erano rimasti Dino Battaglia, Bellavitis e il futuro regista Damiano Damiani, nucleo storico – insieme agli altri –della scuola veneziana di fumetto (arricchita nel corso degli anni da Romano Scarpa, Giorgio Cavazzano e altri) che si sarebbe contrapposta a quella genovese di Luciano Bottaro, Carlo Chendi, Renzo Calegari e tanti altri. In Argentina intanto “esplodeva” il genio di Hugo Pratt che in quegli anni ideò, insieme allo sceneggiatore German H. Oesterheld, indimenticabili personaggi, dal Sergente Kirk a Ernie Pike, cronista di guerra che tentava di rendere umano, con le sue corrispondenze, un dramma immane come il secondo conflitto mondiale. Nel corso del decennio abbondante vissuto nel Sud America, Pratt disegnò anche le storie di Ticonderoga, Wheeling, Anna della Giungla, ecc., ma il suo personaggio più riuscito è stato indubbiamente Kirk, apparso per la prima volta il 9 gennaio del 1953 sulla rivista Misterix. All’inizio Kirk è un sergente dell’esercito nordista, che tuttavia sopporta faticosamente la disciplina militare e l’ottusità di certi ufficiali. Lo dice apertamente a un giovane tenente: “Capisco che lei cerca un combattimento dove potersi guadagnare un paio di galloni in più”, e lo ribadisce a un medico che approva i massacri di pellerossa: “Non trattarli con così tanto poco rispetto, dottore, perché fra loro ci sono dei capi che sono dei veri statisti”. Un giorno, disgustato dall’ennesimo, inutile massacro, Kirk diserta l’esercito e da allora diverrà amico di molti pellerossa, tra cui Maha, e spesso combatterà con loro per difendere la loro terra. Per l’esercito è un rinnegato, per gli indiani un prezioso amico e Kirk ripercorrerà un po’ lo stesso tragitto di Tex, un altro mito della “frontiera”, nato negli stessi anni ma a migliaia di chilometri di distanza. Meno popolare del Ranger di Bonelli, Kirk sarebbe approdato in Italia solo nel 1967 sulle pagine dell’omonima rivista, e poi in vari periodici. Adesso ritorna in libreria edito dalla Lizard-Rizzoli in un volume che permette di scoprire – al di là dell’umanità e del realismo del protagonista – i punti di contatto fra il disegno di Pratt e quello di Milton Caniff (soprattutto in alcuni volti), ma anche fra Kirk e il futuro Corto Maltese. Non è un caso, forse, che un personaggio della saga di Kirk si chiami appunto Corto. (Articolo di Carlo Scaringi)

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giovedì 15 ottobre 2009

Le “folli” invenzioni di Greystorm
Da circa vent’anni ormai le edizioni di Sergio Bonelli hanno aperto i loro mensili al mondo della fantascienza, con qualche risvolto anche nel “fantasy”. Nathan Never proiettato in un inquietante futuro arido e ultratecnologico propone insoliti e inediti, seppur suggestivi, scenari, al pari delle storie di Legs Weaver e degli altri personaggi inventati in questi anni da Michele Medda, Antonio Serra e Bepi Vigna. Il terzetto, pur senza sciogliersi, ha imboccato da qualche tempo la strada di una certa autonomia, cimentandosi singolarmente con storie e personaggi originali, e in qualche modo distanti da quelli del ciclo di Nathan Never. Così in questi mesi Michele Medda ci sta narrando l’odissea di Caravan, con gli abitanti di una cittadina americana in fuga da una misteriosa nuvola. E’ una storia dei nostri giorni, fantascientifica quanto basta e con risvolti quasi sociologici. Antonio Serra invece con “Greystorm” – una miniserie di 12 albi in edicola da pochi giorni – ci fa compiere un deciso balzo indietro nel tempo, alla fine dell’Ottocento, un secolo ricco di straordinari fermenti scientifici. Il protagonista è Robert Greystorm, uno studente inglese che forse passa più tempo sui libri di Jules Verne che sui testi scolastici. Seguendo le intuizioni del grande scrittore francese, sogna uno straordinario mondo futuro, con macchine volanti, città sottomarine e gigantesche serre da usare in agricoltura. I suoi obiettivi sono talora condivisi ma più spesso ostacolati da un compagno di “college”, destinato comunque a diventare il finanziatore dei suoi progetti. Il primo episodio – disegnato da Simona Denna con Francesca Palomba alle chine - ci propone, con un attenta ricostruzione del mondo fine Ottocento, personaggi e situazioni destinati a crescere e svilupparsi negli albi successivi, a cominciare dal dirigibile che già campeggia sulla copertina del secondo numero in uscita all’inizio di novembre, e col quale il bizzarro inventore sogna di raggiungere il Polo Sud, una dozzina di anni prima delle grandi esplorazioni polari. Ma c’è anche chi forse trama nell’ombra, il che aggiunge un pizzico di mistero e magari di “horror” in una vicenda in fondo abbastanza plausibile, al di là di qualche esagerazione, indispensabile in ogni storia dell’immaginario. (Articolo di Carlo Scaringi).

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giovedì 8 ottobre 2009

Il Pioniere e il fumetto di sinistra
Moise il Pioniere - photo GoriaAdesso il problema non si pone perché gli editori di fumetti non si fanno condizionare da scelte politiche. Ma nel passato, per esempio durante il Ventennio, il regime tentò di impoe le sue scelte anche nel nascente mondo delle nuvolette. Dal primo Novecento il Corriere dei Piccoli era, in un certo senso, la lettura preferita (anche perché non c’era ancora la concorrenza) dei figli della buona borghesia laica e benpensante. Poi, nel 1924, arrivò il Giornalino, settimanale delle edizioni Paoline, e anche i bambini cattolici ebbero il loro fumetto. Mancava, scoprirono i gerarchi del regime, un periodico che esprimesse gli ideali e i modelli di vita che propugnava il fascismo. Nacque così nel 1923 il Giornale dei Balilla, poi trasformato nel più semplice e immediato titolo di Balilla. Sulle sue pagine e con i suoi racconti a fumetti (senza nuvolette e naturalmente italiani) si sarebbero formati i ragazzi d’Italia, e anche le bambine, che poco dopo ebbero il loro giornalino, intitolato il Pioniere - photo Goriala Giovane Italiana. Il Balilla ospitava i fumetti di alcuni ottimi disegnatori, come Mussino, Angoletta, Rubino, De Seta e altri, che alternavano storie avventurose con altre di propaganda. Il successo non premiò gli sforzi del regime, anche perché negli anni Trenta ci fu un’esplosione di giornalini, dall’Avventuroso all’Audace, da Jumbo a Topolino, dall’Intrepido al Vittorioso, che fecero salire a oltre un milione di copie settimanali le vendite dei giornalini per ragazzi, lasciando agli ultimi posti quelli più chiaramente ideologizzati. Nel dopoguerra il PCI, e la sinistra in genere, tentarono un’operazione del genere, pubblicando, dall’inizio dell’ottobre 1949, il Pioniere, un settimanale che voleva soprattutto arginare il successo del Vittorioso, il giornalino cattolico che per qualche tempo raccolse i migliori autori italiani, da Chiletto a Caesar, da Caprioli a Craveri, fino al grande Jacovitti che sul Vittorioso esordì nei primi anni Quaranta. La struttura del Pioniere non aveva la forza per reggere la concorrenza, ma la sua esperienza – durata fino al 1964 quando il giornaletto divenne un piccolo inserto dell’Unità – è stata interessante e originale, anche perché ha fatto DSCN1178 il Pioniere - photo Goriaconoscere alcuni autori come lo sceneggiatore Marcello Argilli e lo scrittore Gianni Rodari e i disegnatori Raoul Verdini, Vinicio Berti e altri di ottima qualità. Accanto a storie che rievocavano il mondo del West americano, le vicende risorgimentali o personaggi significativi della storia contemporanea come Di Vittorio, ce n’erano altri chiaramente umoristici, come Cipollino, Atomino o Chiodino. Quest’ultimo era una sorta di Pinocchio di oggi, un ragazzo fatto di ferro ma con un buon cuore, costruito da uno strano scienziato, che forse voleva cambiare il mondo. Atomino invece, come dice il suo nome, era un piccolo atomo, con un vero cuore al posto del nucleo. Anche lui era portato a compiere buone azioni per aiutare l’umanità. In un momento in cui regnava l’incubo atomico, questa era una chiara prospettiva che faceva intravedere le possibilità di un uso pacifico dell’energia atomica. Tutti buoni propositi, che tuttavia non trovarono l’accoglienza sperata, per cui il Pioniere, dopo i primi successi visse stancamente per alcuni anni, facendo poi tramontare un’inedita e interessante esperienza. (Articolo di Carlo Scaringi).

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lunedì 28 settembre 2009

Dov’è finita la nube di Caravan?
All’inizio di ottobre sarà in edicola il quinto albo dell’ultima (per ora) miniserie bonelliana, “Caravan”, che in una dozzina di episodi narra la storia un po’ misteriosa di un nube nera, minacciosa e inquietante, che ha oscurato il cielo di Nest Point costringendo i cittadini ad abbandonare le loro abitazioni. E’ una fuga ordinata, con camper, roulotte, caravan e station wagon, sotto il severo controllo dell’esercito. Da quattro numeri questa piccola carovana di Nest Point è in viaggio verso una meta sconosciuta. Non accade nulla, o quasi, eppure al termine di ogni albo al lettore resta la curiosità di scoprire cosa accadrà fra un mese. Il merito è quasi esclusivamente di Michele Medda – uno dei tre “padri” di Nathan Never – che ha saputo costruire e sceneggiare una storia che se da un lato è priva di azione (almeno quella classica delle storie di Tex o Zagor, per restare nei confini degli albi editi da Bonelli), dall’altro propone una tensione interiore, che scaturisce soprattutto dagli attenti dialoghi e dalle situazioni umane che racconta. Se la struttura della storia (sempre ben illustrata da alcuni bravi disegnatori del gruppo Bonelli) è fornita dalla fuga degli abitanti di Nest Point, al suo interno – praticamente in ogni albo – compaiono altri elementi e molti personaggi non estranei alla vicenda, che arricchiscono il racconto con riflessioni, ricordi, sentimenti, passioni che portano alla ribalta amori, contrasti, litigi, speranze e delusioni di questa variegata umanità che la misteriosa nube costringe a vivere fianco a fianco in un forzoso clima di amicizia, di sospetto, magari anche di odio. La sceneggiatura porta in evidenza i sentimenti più segreti, e talora anche inconfessabili, che si nascondono in questo piccolo mondo moderno, denunciando anche i mali eterni del nostro tempo, dall’alcolismo all’incomprensione fra i coniugi, dai sogni di gloria dei giovani, spesso attratti da effimeri successi, alle delusioni degli adulti che talora, dopo una vita di duro lavoro, si ritrovano con un pugno di mosche in mano. “Caravan” è una storia proiettata in un futuro possibile, con molti agganci con la realtà di oggi, e forse per questo affascina e coinvolge il lettore, che quasi dimentica la minacciosa presenza dell’inquietante nuvola che ogni tanto compare in qualche vignetta, forse solo per controllare che il viaggio prosegua tranquillo e senza intoppi, almeno fino al colpo di scena che – ne siamo sicuri – arriverà all’ultimo episodio. (Articolo di Carlo Scaringi).

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sabato 19 settembre 2009

La stagione dei fumetti neri al cinema
La storia del cinema è punteggiata da una serie di filoni che di volta in volta hanno scandito l’evoluzione del costume. Così dai ”telefoni bianchi” degli anni Trenta, che proponevano una società quasi spensierata in un’epoca buia, si è passati al neorealismo che raccontava speranze e problemi di un’Italia uscita dalla guerra. In tempi successivi abbiamo avuto la commedia all’italiana, poi gli spaghetti western, quindi la stagione delle infermiere o delle supplenti, e magari l’horror in salsa d’argento, e così via. In mezzo a tutti questi film, non sempre degni di passare alla storia, c’è stata anche la moda, tra gli anni Sessanta e Settanta, dei film “neri” ispirati ai protagonisti di una serie infinita di fumetti – quasi tutti da dimenticare – infarciti di criminali in calzamaglia nera, di belle ragazze nel ruolo di vittime sacrificali, di violenza e di un pizzico di trasgressione, allora giudicata da eccessiva dai soliti moralisti. I loro nomi erano imbottiti di esotiche lettere “k”, da Diabolik – il più famoso e il migliore di tutti – a Kriminal, da Satanik a Sadik, a Demoniak e altri, tutti nomi che denotavano la scarsa fantasia degli autori. La moda non sarebbe durata a lungo, e il solo Diabolik è arrivato ai giorni nostri, mentre gli altri si sono persi quasi subito per strada, uccisi anche dalla ripetitività di situazioni, sempre più scontate. Ma quei personaggi suscitarono anche l’interesse del mondo del cinema, a cominciare da Diabolik trasferito sullo schermo da un bravo regista come Mario Bava. Ma il film non ebbe il successo del fumetto, come ci ricorda un illustratissmo volume (Cinefumetto), edito dalla fiorentina Glittering Images, una casa editrice attenta ai vari aspetti dell’immagine, dal fumetto al cinema, alla fotografia. Il volume è in pratica un completo e preciso dizionario di film che nella maggior parte dei casi non hanno lasciato alcun ricordo, o quasi. Ecco allora Kriminal di Umberto Lenzi o Satanik di Piero Vivarelli mescolati ad altri più chiaramente erotici come Isabella di Bruno Corbucci o Baba Yaga, quasi un film d’autore che Corrado Farina ha tratto da un fumetto di Guido Crepax. Il filone comunque non è stato molto ricco, perché non è facile ricreare nei film le atmosfere delle “nuvolette”, come la storia di molti insuccessi dimostra. Adesso il matrimonio tra cinema e fumetti si celebra a Hollywood all’insegna del “kolossal”, con supereroi famosi, da Batman all’Uomo Ragno, e con effetti speciali, impossibili per gli artigiani del cinema italiano di quarant’anni fa. (Articolo di Carlo Scaringi).

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venerdì 18 settembre 2009

Il Futurismo secondo Pablo Echaurren
L’anno centenario del Futurismo si avvia verso la conclusione, dopo una ricca serie di eventi artistici e culturali, ospitati soprattutto a Roma nella scorsa primavera. Nel febbraio del 1909 un bizzarro intellettuale come Filippo Tommaso Marinetti pubblicò in Francia un “manifesto” in cui proponeva una serie di idee, alcune decisamente balzane, altre più condivisibili e ancor oggi valide sotto il profilo estetico e artistico, che avrebbero dovuto rinnovare il sonnolento mondo della cultura ufficiale. Il suo programma fu seguito, almeno in parte, in Francia o, in modo molto isolato, nella Russia del comunismo nascente, e in forma più massiccia in Italia, soprattutto da alcune tendenze pittoriche. In qualche misura nelle idee di Marinetti c’era forse un’anticipazione dei temi che poi il fascismo avrebbe sviluppato, con i negativi esiti a tutti noti. Ma a distanza di decenni, forse è possibile avvicinarsi all’ideologia futurista con un certo distacco e magari con un’adesione critica. E’ quanto ha fatto, per esempio, Pablo Echaurren, geniale artista del fumetto (e non solo), che già nel 1983 aveva pubblicato una biografia di Marinetti, “Caffeina d’Europa”, passata quasi inosservata, forse perché in anticipo sui tempi. Ora quella graphic novel, col sottotitolo “Vita di Marinetti”, viene riproposta dall’editore Gallucci di Roma. In poche decine di tavole, Pablo Echaurren ripercorre fedelmente l’itinerario artistico di Marinetti, offrendo anche una sua personale visione delle opere che molti artisti e pittori hanno realizzato sulla scia del dinamismo e della velocità, così profondamente esaltati dal padre del Futurismo. Il disegno di Echaurren, con quelle immagini spigolose, squadrate, anche anticonvenzionali e i colori vivaci, carichi, magari anche contrastanti, sembrano quasi l’interpretazione sostanzialmente fedele dei canoni futuristici. Come disse una volta Hugo Pratt, Echaurren ha mangiato e digerito il colorato mondo disneyano e l’ha riproposto, quasi scomposto, con bravura e originalità. (Articolo di Carlo Scaringi).

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giovedì 17 settembre 2009

Il grande salto di Geronimo Stilton
L’universo dei disegni animati si è arricchito in questi giorni di un nuovo personaggio, un simpatico topo come topi sono stati molti dei protagonisti del passato. Si chiama Geronimo Stilton e, malgrado il nome che ricorda un famoso formaggio inglese, è italianissimo. E’ scaturito dalla fantasia di Elisabetta Dami e del suo socio Pietro Marietti e dall’inizio del millennio passa da un successo all’altro, protagonista di decine di storie edite dalla Piemme e pubblicate in oltre 35 milioni di copie tradotte in almeno 37 lingue e diffuse in tutto il mondo. In Italia il suo successo sfiora i 20 milioni di copie e certamente aumenterà ora che Stilton è sbarcato in televisione, su Raidue, in una serie di 26 episodi di mezz’ora, coprodotti con gruppi francesi e americani. Geronimo si distacca notevolmente dai suoi confratelli dell’animazione, anche perché, in fondo, è il più umano di tutti. Fa il giornalista, edita e dirige “L’eco del Roditore” e si trova spesso immerso in rocambolesche avventure che non intaccano il suo sangue freddo e il suo aplomb di topo elegante, in completo verdolino, panciotto e occhialini sulla punta del naso, un abbigliamento quasi fuori moda, che nella versione animata è stato semplificato e modernizzato: via gli occhiali, il panciotto e soprattutto un portamento più giovanile e un aspetto più snello. Le storie televisive ricalcano un po’ quelle narrate e illustrate nei molti libri riccamente disegnati, soprattutto in quelli destinati ai lettori più piccoli. Il passaggio dalla staticità del libro al movimento dell’animazione ha forse migliorato sia il personaggio che le sue avventure, anche perché l’animazione è stata realizzata secondo i canoni classici, con milioni di tavole disegnate da centinaia di professionisti. Nell’era del computer e dei manga, questa serie sembra quasi un balzo indietro nel tempo, certamente non negativo. Il successo ottenuto in varie manifestazioni internazionali ne ha permesso la vendita già in una dozzina di Paesi e ha spinto i realizzatori a tentare un’impresa impossibile, o quasi, come quella di sfidare la Walt Disney in casa propria. Certo il confronto tra lo storico Topolino e il giovane Geronimo è impari, ma in ogni caso servirà a dimostrare che l’animazione italiana non ha solo Bruno Bozzetto, il gruppo Alcuni, Enzo D’Alò e qualche bravo e isolato artigiano, ma può contare su una ricca riserva di talenti. Gli Stati Uniti sono la patria del topo Ignazio (quello che prende a mattonate Krazy Kat), di Jerry, il classico nemico di Tom, o del velocissimo Speedy Gonzales e altri, con una lunga tradizione di topolini animati. Tra questi, curiosamente, mancano i miseri topini che un artista come Art Spiegelman ha usato per narrare la tragica vicenda degli ebrei, polacchi ed europei in genere, perseguitati da perfidi gattacci in divisa nazista. In un momento in cui il cinema d’animazione sta offrendo prodotti di qualità e d’impegno civile, come dimostrano alcuni film israeliani o lo stesso Persepolis tratto dai fumetti dell’iraniana Satrapi, forse sarebbe tempo di pensare ai topolini di Maus. (Articolo di Carlo Scaringi).

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sabato 15 agosto 2009

Felice l’incontro tra fumetto e pittura
Echauren Manara Grifo - photo GoriaSarà perché entrambi i generi lanciano i loro messaggi attraverso le immagini, ma è certo che spesso gli autori di fumetti hanno inserito nelle loro storie vicende legate in qualche modo a celebri pittori del passato o a dipinti importanti inseriti in momenti significativi della storia. Recentemente le edizioni Bonelli hanno varato una miniserie, realizzata da un Carlo Ambrosini in gran forma, che ha come protagonista Jan Dix, uno storico dell’arte impegnato a fare luce su alcuni aspetti inquietanti che coinvolgono quadri e pittori di mezzo mondo. Molti celebri artisti sono comparsi anche in diverse indagini di Martin Mystère, alle prese, spesso più volte, con personaggi famosi, da Leonardo a Paolo Uccello, da Bosch a Escher, particolarmente intrigante con le sue prospettive geometriche. C’è anche Caravaggio, in questa piccola galleria, con i molti “mysteri” della sua vita avventurosa. Un pittore grandissimo quanto inquietante, come dimostra “L’ombra di Caravaggio”, ultimo episodio di Martin Hel, il popolare investigatore del soprannaturale, ideato qualche decennio fa da Robin Wood, e vissuto a lungo sia sulle pagine di Lanciostory che di Skorpio e da una quindicina di anni protagonista di una collana a lui dedicata, che adesso l’Eura Editoriale ha deciso di interrompere, un po’ per i troppi impegni degli autori, e un po’ per qualche calo di vendite e di tensione nelle storie, ora Pablo Echaurren e Vittorio Giardino come Piero della Francesca - photo Goriascritte da Nestor Barron e disegnate con bravura da Angel “Lito” Fernandez. Le avventure di Martin Hel continueranno comunque a cadenza settimanale su Skorpio, mentre gli autori sono già al lavoro per un’altra serie, con personaggi altrettanto stimolanti. Su Skorpio approderanno anche, dal prossimo ottobre, le indagini dei carabinieri di “Unità speciale”, la serie mensile ideata dalla coppia Tani-Guglielmi che si concluderà a fine agosto, con il numero 15. Al pari di Martin Hel, i carabinieri di questa singolare ma realistica “unità speciale” hanno portato i lettori a fare una sorta di giro del mondo sulle tracce di una criminalità organizzata sempre più globalizzata e agguerrita. [Articolo di Carlo Scaringi]

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mercoledì 12 agosto 2009

Diabolik in mostra, aspettando il cinquantenario
photo GoriaAl giubileo del mezzo secolo di vita mancano oltre tre anni (cadrà nel novembre 2012), ma c’è chi gioca d’anticipo e ha organizzato a Roma una grande mostra dedicata al celebre bandito in maschera e alla sua fedele compagna: “Diabolik-Eva Kant, una vita vissuta diabolikamente”. La rassegna è aperta fino al 13 settembre al palazzo “Incontro” al centro di photo GoriaRoma, ed è stata allestita dall’organizzazione “Civita” in collaborazione con la casa editrice Astorina che da quasi mezzo secolo ne pubblica le storie. Vincenzo Mollica, curatore dell’evento, ha suddiviso la mostra in sei sezioni che illustrano i vari momenti di un successo che dura quasi da mezzo secolo. Ci sono manifesti, tavole originali, gadgets vari, calendari, albi storici e quanto altro stimola la curiosità dei lettori, sempre sorpresi dalla genialità degli autori (le sorelle Giussani che hanno ideato Diabolik, poi Patricia Martinelli, Alfredo Castelli, Mario Gomboli e i molti altri che hanno sceneggiato queste sorprendenti storie) e dai trucchi inventati dalla “diabolika” coppia per compiere i loro colpi e soprattutto lasciare con un palmo di naso Ginko, l’ispettore eternamente ridicolizzato dal ladro in maschera. Un posto d’onore è riservato a 10 tavole originali del primo numero, esposte per la seconda volta in 46 anni. E’ una vera rarità, soprattutto photo Goriaperché il suo autore è rimasto misterioso. All’Astorina ricordano appena il suo nome, Zarcone, che molti avevano soprannominato “il tedesco”, per il suo aspetto nordico, alto e biondo. Disegnò le poche decine di tavole del primo numero e scomparve, forse non venne neppure pagato. Il secondo numero fu disegnato dalla signora Giacobini, un’amica di Angela Giussani, che firmò con lo pseudonimo di Kalissa. Gli altri furono disegnati da Luigi Marchese, un grafico che già lavorava nella casa editrice, mentre dal numero 10 la serie fu affidata a un vero professionista, Enzo Facciolo, che la disegnò per una ventina di anni. Ma il successo di Diabolik è merito quasi esclusivo dei testi, anche se molti validi disegnatori (Zaniboni, Paludetti, ecc.) hanno in seguito ben illustrato le criminali e divertenti gesta di Diabolik e della sua compagna Eva Kant, comparsa per la prima volta sul n. 3, nelle vesti dell’elegante vedova di un ricco ambasciatore ucciso da una pantera nera. Diabolik l’incontra nella hall dell’albergo, tenterà di sottrarle un prezioso gioiello, ma sarà invece Eva a rubargli il cuore. [Articolo di Carlo Scaringi]

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martedì 4 agosto 2009

La satira di Li’l Abner
Al Capp - Li'l Abner 12 ottobre 1947Con le avventure di Li’l Abner – tipico contadino, tutto scarpe grosse e cervello fino – Al Capp ha raccontato per oltre quarant’anni (dal 13 agosto 1934, quando apparve la prima striscia, alla sua morte, alla fine del 1979) la società e il costume americani visti con la lente deformante della satira. Al Capp era nato giusto un secolo fa, nel 1909, e si chiamava Alfred Gerald Caplin, un nome forse troppo lungo da ricordare. Meglio Al Capp, breve e soprattutto incisivo come uno schiaffo. Nel corso degli anni Al Capp ha spesso colpito, con bonaria cattiveria, gli aspetti deteriori del costume americano, con un’indipendenza che gli è talora valsa accuse da destra e da sinistra, ma anche elogi, come quello dello scrittore John Steinbeck che nei primi anni Cinquanta giudicò questo autore degno del Nobel. Qualche volta Al Capp è scivolato anche nella politica internazionale, come negli anni della guerra fredda quando ha inviato Li’l Abner in missione in Slobbovia, terra gelida, desolata, dimenticata da Dio, che ricordava tanto l’URSS di quel periodo. Ma normalmente Al Capp ha preferito occuparsi, con pungente ironia, del suo Paese, facendo anche affiorare – nelle storie di Li’l Abner e degli abitanti di quel piccolo mondo antico che è Dogpatch – un senso di nazionalismo e di grande fiducia, malgrado tutto, in quel Paese più grande che sono Al Capp - Li'l Abner 1938gli Stati Uniti. In qualche storia Li’l Abner è visto come un campione dell’”homo amerikanus” che supplisce alle sue carenze intellettuali (ma non di furbizia) con la forza fisica, la bellezza virile e la sanità della vita contadina. Una delle storie in cui più chiaramente emergono tutti questi motivi è la saga raccolta sotto il titolo “Alla ricerca della bella fiola” pubblicata sui quotidiani americani tra il 18 gennaio 1950 e l’11 gennaio successivo. E’ un pirotecnico susseguirsi di eventi che trasportano Li’l Abner alla ricerca della ragazza che aveva intravisto su un albo di Fearless Fosdick, altro personaggio di Al Capp, caricatura dei poliziotti americani. Non mancano, in questo lungo viaggio di carta, aspetti di politica internazionale, ma gli strali si appuntano soprattutto sul suo Paese, come avviene in molte altre storie, per esempio quelle del ciclo del “Sadie Hawsink Day”, una festa di lontane origini scozzesi che vede, un giorno all’anno, le zitelle di Dogpatch scatenarsi alla caccia degli scapoli del villaggio. Le storie migliori sono quelle ambientate a Dogpatch, patria di quei “buzzurri” – vecchie sdentate come Mamma Yokum, uomini sfaticati, fanciulle vogliose e tanti maiali sparsi qua e là come i salami di Jacovitti – protagonisti di vicende ora idilliache, ora amare, ora divertenti, ora cattive, ma sempre specchi fedeli di quella provincia rurale americana da “profondo Sud”. A tratti sembra che anche Li’l Abner ne sia risucchiato. Ma riesce sempre a venirne fuori, con la sua furbizia e con l’aiuto di Daisy Mae, una delle tante belle “fiole” che Al Capp ha sparpagliato nelle sue strisce. [Articolo di Carlo Scaringi]

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domenica 2 agosto 2009

Zorro, famoso giustiziere in maschera
Tra il 9 agosto e il 6 settembre 1919 il settimanale “All Story Weekly” pubblicò un romanzo breve di Johnston McCulley (1883-1958), cronista di “nera” con l’hobby dello scrittore d’avventura. Protagonista della storia – intitolata La maledizione di Capistrano - era un misterioso giustiziere che nascondeva gli occhi con una mascherina e manovrava la spada con l’abilità di un campione. Era sempre impegnato a combattere contro i prepotenti e i malvagi che nella California di due secoli fa, ancora occupata dagli spagnoli, di certo non mancavano. Il suo nome diciamo così, d’arte era Zorro, che in lingua spagnola vuol dire volpe. E il nostro eroe infatti era furbo come il celebre predatore di galline, ma era anche un po’ beffardo, al punto di tracciare sul volto, o altre parti meno nobili dei suoi avversari, una “Z” ben incisa con la punta della spada. Dopo quel primo romanzo, McCulley ne scrisse molti altri, che però non diedero a Zorro quella popolarità che avrebbe ben presto raggiunto con il cinema. Dal 1920, quando Douglas Fairbanks impersonò il primo Zorro in un film di Fred Niblo, a oggi il celebre vendicatore in maschera ha avuto numerosi e bravi interpreti, che ne hanno alimentato la leggenda, accresciuta ulteriormente negli anni Cinquanta da una serie infinita di telefilm con Guy Williams. Il percorso di Zorro in un certo senso ricalca quello di Tarzan, altro campione dell’immaginario, nato nel 1912 nei romanzi di Edgar Rice Burroughs, reso popolare in decine di film e infine approdato nel mondo delle nuvolette, proprio come Zorro. Ma mentre Tarzan è stato disegnato da ottimi maestri del fumetto, da Hal Foster (che fu il primo nel 1929) a Burne Hogarth (che è stato il più bravo), Zorro è stato disegnato da bravi artigiani, se si esclude Alex Toth, che fu il primo. Per anni è stato realizzato da Warren Tufts, spesso su sceneggiature ispirate ai telefilm. Data la sua popolarità, Zorro a fumetti è apparso in quasi tutto il mondo, molto spesso disegnato da autori locali. La prima, sporadica apparizione italiana risale al 1940, quando sull’Audace n. 317 del 25 gennaio (uno degli ultimi numeri dello storico settimanale che attraversò tutti gli anni Trenta) comparve una breve storia con il misterioso spadaccino, che una ventina di anni dopo ebbe, anche in Italia, il suo momento di gloria, grazie ai telefilm e ai molti albi a fumetti editi nel periodo di maggior popolarità del filone western. [Articolo di Carlo Scaringi]

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domenica 26 luglio 2009

I fumetti in tempo di crisi
Che la crisi ci sia è innegabile, anche se le sue dimensioni non sono quelle pronosticate da qualche catastrofista. Ma la disoccupazione diffusa e molte aziende costrette alla chiusura, dimostrano che c’è poco da scherzare. Lo sanno bene gli editori di fumetti che non solo devono fare i conti con la disaffezione dei lettori più giovani, distratti dai nuovi strumenti tecnologici, ma anche con i crescenti costi di produzione. Perfino una casa editrice solida e ben amministrata come quella di Sergio Bonelli è costretta a rivedere i programmi, riducendo la periodicità di alcune serie o chiudendone altre. In questi ultimi anni diversi personaggi sono scomparsi, come Nick Raider, tanto per citarne uno vissuto per 200 numeri, o Mister No, ancora più antico, poi confinato in “speciali” che adesso, con il numero n. 20, hanno concluso il loro ciclo. E non finisce qui, perché un altro eroe, come Magico Vento, ben costruito da Gianfranco Manfredi e gradito da migliaia di lettori, sta per lasciare le edicole. C’è ancora un anno di tempo, perché la serie si concluderà con il numero 130, ma intanto Manfredi e Bonelli hanno annunciato la prossima chiusura, per non sorprendere i lettori più affezionati. Certo non è facile portare avanti per decenni personaggi di successo (i casi di Tex, Zagor o anche Diabolik sono la classica eccezione) con storie che sappiano sempre coinvolgere i lettori. Il problema – come ha scritto Sergio Bonelli nella posta dell’ultimo Zagor in edicola – deriva principalmente dal pubblico, sempre meno attratto dai fumetti e da quei personaggi che invece continuano a piacere quasi solo ai meno giovani, che sfogliando un albo di Tex o Zagor forse si illudono di tornare indietro nel tempo. Questo fenomeno, le edizioni di Bonelli lo combattono aumentando il numero delle miniserie, ovvero collane che si esauriscono nell’arco di un anno e poco più, con personaggi spesso indovinati (come Jan Dix o quelli del ciclo di “Caravan”) e con avventure che però quando finiscono lasciano un po’ di delusione. La strada indicata da Bonelli è in qualche misura battuta anche dall’Eura Editoriale, che da qualche tempo affianca ai suoi settimanali storici come Lanciostory e Skorpio, serie più o meno lunghe, con eroi classici come Dago o Martin Hel, e altre che seguono nuove strade, come “Unità speciale” (quasi un omaggio all’Arma dei Carabinieri) o Phantom che da qualche mese ripropone, in versione moderna e inedita, le avventure del celebre Uomo Mascherato degli anni Trenta, praticamene sconosciuto ai lettori di oggi. E’ una scommessa difficile, che l’Eura vuole vincere, anche per lanciare, prossimamente, qualche altra novità in preparazione. La crisi, e qui torniamo al discorso iniziale, colpisce sensibilmente le case editrici più piccole, quelle che spesso hanno il merito di far conoscere il fumetto di qualità, con autori per lo più giovani o stranieri, che hanno qualcosa da dire. La crisi, infine, colpisce di meno gli editori di Diabolik, perché il celebre ladro in maschera ha un pubblico di affezionati lettori, e la Walt Disney, perché fa sentire il peso di un impero mondiale, che in Italia ruota intorno a Topolino, e soprattutto alle infinite ristampe di vecchie storie, sempre fresche e divertenti. [Articolo di Carlo Scaringi]

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giovedì 23 luglio 2009

Un lungo sogno con Betty Boop
Betty Boop, creata dal disegnatore e animatore Miron “Grim” Natwick - scomparso centenario il 7 ottobre 1990, sgambettava già da tre anni quando, il 23 luglio del 1934, uscì la prima striscia a fumetti, disegnata da Bud Counihan. Ma la staticità dell’immagine e il ridotto formato delle vignette facevano perdere alla bella protagonista quasi tutto il fascino, la bellezza, anche la giovanile esuberanza che esprimeva nei cortometraggi animati realizzati da Max e Dave Fleischer, due maestri dell’animazione che davano non pochi fastidi alla nascente fortuna di Walt Disney. Se sulla carta stampata Betty Boop è vissuta solo pochi mesi (fino al 23 marzo 1935, con un’appendice domenicale fino al 27 novembre ’37), sugli schermi ha attraversato l’intero arco degli anni Trenta, fino al 1939 quando le critiche dei soliti bacchettoni moralisti spinsero la censura americana a vietare le proiezioni. Finiva così la vita artistica di questo grazioso personaggio, importante nella storia del fumetto e del costume, ma per Betty Boop sarebbe subito iniziata l’immortalità, utilizzata a lungo, ancor oggi, nel mondo della moda e Betty Boop - photo Goria - clickdell’oggettistica di consumo, in borse, scarpette, perfino giarrettiere e orecchini. Quando è nata, Max Fleischer si era ispirato alle dive del momento, come Clara Bow, Helen Kane, Jean Harlow, forse anche Marlène Dietrich e Greta Garbo. In anni più recenti, a lei si sono ispirate Marilyn Monroe e altre attricette, solitamente catalogate come “oche giulive”. Ma la nostra Betty era tutt’altro che stupida o ingenua, e in un universo fino allora dominato da animali più o meno divertenti come Felix the Cat, o benpensanti come Topolino, e da pochi personaggi umani (Arcibaldo e Petronilla, Blondie e Dagoberto), tutti rigorosamente sposati e senza troppi grilli per la testa, Betty Boop ha portato, con la sua minigonna in anticipo sui tempi, un pizzico di malizia, quasi peccaminosa e proibita, sia pure a “luce rosa”. Per questo è entrata nella storia, per niente cancellata da altre eroine più svestite, del cinema o dei fumetti, che non hanno lasciato un profondo segno nella memoria. [Articolo di Carlo Scaringi].

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venerdì 17 luglio 2009

Un Palazzo Reale per Forattini
Può sembrare una contraddizione, una delle tante che hanno costellato il cammino artistico di Giorgio Forattini. Il principe della satira disegnata, quello che ha sempre combattuto contro tutti i Palazzi del potere, è adesso ospite del Palazzo Reale di Milano per una grande mostra voluta dal Comune e ospitata appunto – fino al prossimo 27 settembre – nelle sale del celebre monumento milanese. E’ dai primi anni Settanta – in pratica dal referendum sul divorzio che festeggiò con la celebre vignetta sul “tappo” Fanfani – che Forattini disegna e commenta con originale cattiveria fatti e misfatti della politica italiana, e non solo. Saranno almeno diecimila le vignette di questo autore, ospitate a lungo sui maggiori quotidiani italiani e su Panorama, dove ogni settimana propone un’irriverente “mascalzonata”. Il titolo della mostra milanese è: “Forattini, coraggio, libertà e sberleffo” e racchiude sinteticamente tutta la storia civile di questo vignettista, potremmo definirlo così, se il termine non fosse riduttivo. Più che vignettista, Forattini è un editorialista, un giornalista di quelli che fanno opinione. Questi usano la parola scritta, Forattini, molto più sbrigativamente, usa il pennarello o la matita, ottenendo lo stesso risultato, senza troppi giri di parole e senza annoiare. La mostra milanese propone il “meglio” di Forattini: centinaia di vignette, oggetti, giochi, gigantografie, in una sorta di campionario della storia e dei personaggi dell’Italia degli ultimi trent’anni, che spesso Forattini ha caratterizzato con pochi, indovinati tratti. Se Craxi indossava gli stivali mussoliniani, Berlusconi è stato un moderno Paperone, mentre Veltroni è diventato un bruco e Prodi un parroco di campagna che era pappa e ciccia con il sindaco Peppone. Pochi sono sfuggiti alla sua ironia, dal gobbo Andreotti (il bersaglio preferito, almeno 700 vignette) allo scheletro Fassino, allo Spadolini nudo, e via continuando, in un caleidoscopio cattivo, caustico, graffiante, ma in fondo realistico. In questa mostra c’è forse una lacuna: manca, per esempio, una vignetta di Jacovitti, quando nell’immediato dopoguerra si dedicava alla satira. In quegli anni il futuro papà di Cocco Bill si divertiva a disegnare il simbolo del comunismo sostituendo il martello con la Croce cattolica. Molti anni dopo Forattini disegnava Prodi che inalberava un vessillo con la falce e la croce. Sembrava quasi un involontario e riuscito incontro tra i due maggiori autori della satira disegnata, entrambi sufficientemente cattivi, a loro modo estremisti, ma di centro, come diceva il grande Jac. [Articolo di Carlo Scaringi]

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sabato 11 luglio 2009

Fantascienza: oltre la Luna c’è di più
Buck RogersLa Luna ha ispirato molte storie di fantascienza, cinematografiche e letterarie, e ovviamente a fumetti. Ma il panorama è molto più sfaccettato, e questo originale genere ha sempre offerto un’ infinita varietà di temi. Tutto è iniziato, almeno nei comics, nel 1929, quando Richard Calkins tradusse in suggestive immagini un racconto di Philip Nowlan, ambientato in un apocalittico dopo-bomba nell’America del 2429, con il protagonista Buck Rogers che difende il suo Paese invaso dai Mongoli. Qualche anno dopo (1934) incontriamo Flash Gordon in un altro momento drammatico per la Terra, che rischia la collisione con un asteroide impazzito. Il nostro pianeta evita il terribile scontro e per Flash Gordon inizia un lungo viaggio verso mondi lontani e spesso ostili dominati dal perfido Ming, imperatore di Mongo, invaghito della bella Dale Arden, eterna fidanzata del nostro eroe. Dello stesso periodo sono le avventure di Brick Bradford, ideato da William Ritt e Clarence Grey: aviatore con il gusto dell’ignoto e del mistero, viaggia con una Cronosfera che gli permette di andare avanti e indietro nello spazio e nel tempo, e di penetrare, ridotto a porzioni molecolari, perfino all’interno di una moneta. Il contributo dell’Italia alla conquista dello spazio si chiama “Saturno contro la Terra”, un lungo serial di Zavattini e Pedrocchi con disegni di Giovanni Scolari. Sembra quasi – era il 1938 – la risposta nazionalistica e patriottica agli eroi americani. Nel dopoguerra la fantascienza a fumetti ha proposto altri significativi eroi, come Dan Dare, ideato nel 1950 da Marcus Morris e Frank Hampson, e il già ricordato Jeff Hawke. Entrambi sono piloti spaziali e – quasi anticipando i sogni degli uomini di quegli anni – si proiettano verso fantastici voli ai confini del sistema solare. Negli ultimi decenni, quando la realtà ha superato le fantasie degli autori, il filone si è un po’ inaridito, anche se non sono mancate storie originali, come l’Eternauta di Oesterheld e Solano Lopez, alcuni racconti di Moebius e il ciclo dei Trigani degli inglesi Butterworth e Lawrence. In mezzo a questi, infine, non sfigura un personaggio ideato in Italia, il Nathan Never pubblicato da quasi vent’anni dalle edizioni di Sergio Bonelli. E’ un eroe realistico, credibile e serio, che si muove in un prossimo futuro, con tutti i problemi di oggi. [Articolo di Carlo Scaringi].

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domenica 5 luglio 2009

Sulla Luna con Jeff Hawke, prima di Armstrong
Little Nemo by Winsor McCay - click per ingrandireNel corso degli anni molti autori di fumetti hanno avvertito il fascino della Luna: già all’inizio del Novecento, Little Nemo – il bambino sognatore ideato nel 1905 da Winsor McCay – discese nelle sue scorribande oniriche sul satellite. E quando, nel 1969, Armstrong e Aldrin allunarono, con loro c’era anche Little Nemo, magari solo in un vignetta. Sulla Luna c’è stato anche Jeff Hawke, protagonista dell’omonima striscia di Sydney Jordan, pubblicata dal 15 febbraio 1954 per una ventina di anni dal Daily Express. Nella striscia n. H1760 apparsa sul quotidiano inglese il 21 novembre del 1959, Sydney Jordan ha disegnato una targa collocata sulla superficie lunare in cui si legge: “Il 4 agosto dell’anno terrestre 1969, il primo essere mise piede sulla Luna. Si chiamava Homo Sapiens”. Come è noto, lo sbarco di Neil Armstrong avvenne il 21 luglio 1969: la fantasia dell’autore aveva sbagliato solo di pochi giorni. [NdR: potete leggere le note di Jordan su questa curiosa coincidenza, facendo click qui.] Sono molti gli eroi di carta scesi sulla Luna, dallo Spirit di Will Eisner nel 1952 al Tintin di Hergè nell’anno successivo, senza contare che nel 1964 il figlio di Dick Tracy sposerà una bella “lunatica”. Questi, comunque, sono episodi poco verosimili e decisamente fantastici, mentre la striscia di Jeff Hawke ha un carattere profetico e scientifico, anche perché Sydney Jordan prima di diventare disegnatore aveva fatto esperienza alla scuola tecnica “Miles Aircraft” disegnando aerei su aerei. Quella di Jeff Hawke non è solo una delle migliori storie di fantascienza, ma è anche un racconto che si addentra in una dimensione più ricca dove la presenza di personaggi come Chalcedon, Kolvorok o Sua Eccellenza, capo della Galassia, si alterna con momenti nei quali le vicende, proiettate in un futuro non troppo lontano, si mescolano con individui e situazioni del nostro tempo. [Articolo di Carlo Scaringi].

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martedì 23 giugno 2009

Quel nuvolone su Nest Point
Il mito del viaggio è radicato nello spirito americano sin dal Seicento, quando i Padri Pellegrini sbarcarono sulla costa atlantica del “nuovo mondo” e poi intrapresero quell’eterno cammino verso l’Ovest alla ricerca di nuovi orizzonti e di terre da conquistare. Al viaggio, e alle sue metafore, si sono ispirati famosi romanzieri e importanti registi cinematografici per raccontare quell’ansia di novità che ha sempre spinto gli americani verso nuove frontiere, ultima quella dello spazio. Al mito del viaggio si ispira adesso la nuova miniserie, “Caravan”, che le edizioni di Sergio Bonelli propongono in 12 albi mensili sceneggiati da Michele Medda, uno dei bravi creatori di Nathan Never. Il primo episodio, in edicola in questi giorni, è disegnato da Roberto De Angelis, con un taglio veramente originale, con tavole piene di vignette, piccole ma chiare, e con i personaggi ben caratterizzati. L’inizio della storia sembra evocare il clima di un celebre romanzo di fantascienza, “La nube nera”, ma lo sviluppo – almeno per ora – non ha quella drammaticità, forse perché per decine di pagine Medda racconta vicende quasi normali: lo studente che sbaglia il rigore decisivo nella finale di un torneo scolastico, un urbanista d’origine italiana che si batte per dotare la città di Nest Point di un grande polmone verde, uccelli impazziti, un black out che blocca tutti i motori e getta nel buio la città, contrasti umani, delusioni, speranze. Tutto insomma sembra normale, o quasi. Ma in cielo avanza una grande nube dai contorni minacciosi e misteriosi: è talmente strana e inquietante che le autorità ordinano l’immediata evacuazione della città. L’albo si chiude con un esercito di automobili, caravan, camion in marcia verso una direzione per ora sconosciuta. Questo primo episodio ha chiaramente un taglio introduttivo, perché poi la storia assumerà contorni più netti e forse drammatici nei prossimi mesi. Ma per ora contiene tutti gli elementi per incuriosire e coinvolgere il pubblico, senz’altro attratto da questa novità quasi insolita nelle tematiche consuete delle collane di questo coraggioso editore, che ogni anno propone storie e personaggi del tutto nuovi. Il primo episodio di “Caravan” ha in pratica aperto la stagione estiva delle edizioni di Sergio Bonelli, che anche quest’anno propone una vasta gamma di albi dedicati ai personaggi più popolari, dal classico “Texone” con il celebre ranger impegnato in “trasferta” alla fine del continente, in Patagonia, in una storia disegnata da Pasquale Frisenda, ai consueti “maxi” e “speciali” dedicati a Dylan Dog, Martin Mystère, Zagor, Brendon e, per la prima volta, a Dampyr, con tre storie con vampiri, alchimisti folli e demoni cinesi ambientate in Italia, Brasile e Inghilterra. Tra le novità stagionali c’è anche la ristampa, in un unico albo, dei primi tre episodi di Nathan Never, vecchi ormai di 18 anni che forse saranno una lieta scoperta per i lettori del Duemila. E in autunno, con la nuova stagione, le edizioni Bonelli proporranno un’altra miniserie, “Greystorm”, con protagonista uno scienziato di fine Ottocento forse troppo in anticipo sui tempi. (Articolo di Carlo Scaringi).

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sabato 13 giugno 2009

La stagione dei romanzi disegnati
La Freccia di Ulceda - photo Goria - clickWill Eisner, con le sue storie amaramente realistiche ambientate nell’America povera di qualche decennio fa, e Hugo Pratt, con le fantastiche avventure di Corto Maltese calate entro scenari reali, sono stati i primi, e forse massimi, esponenti di quella “letteratura disegnata” che ha trovato poi ulteriore sviluppo con i capolavori di Frank Miller, Alan Moore e altri maestri del fumetto. Ma nell’Italia degli anni a cavallo del secondo conflitto mondiale si era già avuto un singolare e riuscito incontro tra la letteratura e il fumetto, perché in quel periodo molti romanzi famosi, da Don Chisciotte a Faust, e altri più popolari come quelli di Salgari, hanno avuto precise riduzioni a fumetti a opera di alcuni fra i migliori disegnatori di quel tempo. Il fortunato filone venne aperto nel 1935 dalla storia di Ulceda, la giovane pellerossa protagonista dei romanzi che Salgari aveva dedicato al mito della “frontiera”, disegnata da Guido Moroni Celsi. In seguito, anche per colpa, o per merito, del divieto di pubblicare fumetti e romanzi di autori americani, il fumetto italiano cominciò a produrre storie autarchiche, con situazioni e personaggi che spesso ricordavano quelli dei comics americani, ma anche altre ispirate, come detto, a capolavori della letteratura, insieme ad altre storie di infinite puntate, con un chiaro taglio nazional-popolare e spesso anche patriottico. E’ difficile ricordare tutti i “romanzoni” ospitati in quegli anni sull’Audace o Topolino (i giornalini allora più diffusi), ma dal 1938 in poi ci fu una vera moltiplicazione di fumetti tratti da romanzi, a cominciare da quelli ispirati a romanzi salgariani tradotti in suggestive immagini da Rino Albertarelli, Walter Molino e altri. Accanto a questi va ricordato il Faust (un mito immortale narrato da Goethe, Marlowe, Thomas Mann, ecc.) disegnato all’inizio, luglio l939, da Gustavino sull’Audace e poi proseguito nel 1941 da Albertarelli su Topolino. E ancora: Don Chisciotte disegnato da Angelo Bioletto sull’Audace (ma il romanzo di Cervantes avrebbe avuto altre versioni, di Jacovitti nel 1950 e di Lino Landolfi nel 1968), Sigfrido di Antonio Canale sullo stesso giornale, e poi Saturnino Farandola, una grottesca e avveniristica visione del futuro narrata nel primo Novecento dal francese Albert Rovida e disegnata da Pier Luigi De Vita. Accanto a queste storie di origine letteraria, il fumetto italiano si sarebbe arricchito, negli stessi anni, di alcune straordinarie saghe popolari, piene di tutti quegli ingredienti di facile effetto per catturare per infinite puntate i giovani lettori. Ecco allora il lunghissimo ciclo ospitato sull’Intrepido dal 1939 al periodo post-bellico, di Cuore garibaldino, una storia disegnata all’inizio da Ferdinando Vighi e poi proseguita da Carlo Cossio (con testi di Luciana Peverelli), che trasporta i giovani protagonisti dal Sud America degli anni di Garibaldi all’Italia del Risorgimento e delle guerre del secolo scorso. Ed ecco la storia, altrettanto lunga, del Gentiluomo di 16 anni, una vera agiografia di Casa Savoia realizzata nel 1938 su Topolino da Pedrocchi e Albertarelli, oppure l’inquietante vicenda di Virus, il mago della foresta morta, scritta da Federico Pedrocchi e disegnata da Walter Molino e pubblicata sull’Audace nel 1939 con protagonista uno scienziato folle che vuole dominare il mondo con raggi mortali e morti viventi. Alla stessa coppia di autori si deve anche, sempre nel 1939, Capitan l’Audace (ospitata sull’omonimo settimanale), una vicenda cinquecentesca di cappa e spada, con un coraggioso e generoso cavaliere in lotta contro il perfido Armando di Torrerossa che insidia la contessina Vera di Coldrago, ovviamente amata dal nostro eroe. L’elenco forse è ancora incompleto (come dimenticare Saturno contro la Terra, risposta italiana a Flash Gordon?), ma sufficiente per illustrare il clima dell’epoca che nei fumetti come nel cinema (quello dei telefoni bianchi) o nei romanzi, spesso ambientati in una improbabile Budapest, bandiva ogni riferimento alla realtà. Poi, dopo la guerra arrivarono i comics americani, e gli autori italiani avrebbero scoperto e raccontato altre storie. (Articolo di Carlo Scaringi).

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giovedì 11 giugno 2009

E finalmente arrivò Mandrake
L’11 giugno del 1934 sul New York American Journal comparve la prima striscia di una storia creata da Lee Falk, poi disegnata da Phil Davis. Era dedicata a Mandrake, ma il protagonista sarebbe giunto solo a metà giugno, qualche striscia dopo, introdotto da un gigantesco negro in calzoncini e maglietta di leopardo. Siamo nella residenza di un ambasciatore, vittima di un misterioso furto. La polizia brancola nel buio e nel buio è immersa la casa per un guasto elettrico. L’oscurità viene squarciata dall’ingresso del negrone che dice: “Io sono Lothar, abbassate le armi, vi annuncio l’arrivo del mio padrone”. Ed ecco Mandrake il Mago, che fa il suo ingresso nel mondo degli eroi di carta, per divenire poi protagonista di mille avventure, narrate per decenni da Lee Falk – che due anni dopo ideò anche la saga di Phantom – e disegnate da Phil Davis e poi, dal 1964, da Fred Frederick. Ricordando quel debutto, Mandrake disse, in una storia di molti anni dopo, che “da ragazzo idoltravo i grandi detectives, Sherlock Holmes o Arsenio Lupin, perciò quando due agenti dell’Interpol vennero nel mio camerino a chiedere l’aiuto della mia magia per scoprire un regno segreto popolato da assassini…” accettò subito. “E’ un lavoro – ha ricordato in un’altra storia – che mi ha assorbito sempre di più, facendomi quasi dimenticare le mie origini di mago, ‘l’uomo del mistero’ come mi chiamavano nei cartelloni. Certo in questo modo ho perso contratti importanti e guadagnato di meno, ma non sono mai stato avido di denaro”. Per gli eroi di carta il tempo non passa mai, e adesso Mandrake vive nel suo castello di Xanadu, quasi una fortezza tecnologica, insieme alla principessa Narda (che a differenza della quasi coetanea Diana dell’Uomo Mascherato non è convolata a giuste nozze), in attesa che qualcuno dell’Inter-Intel lo solleciti a intervenire contro i cattivi di turno. Con loro c’è sempre Lothar, non più come servitore ma come prezioso collaboratore, e insieme ricordano gli anni lontani e gli antichi nemici, soprattutto i primi, dice il mago, “perché ricorrevano a trucchi e magie, proprio come me: il Cobra, che usava la magia nera e non è mai riuscito a vincermi, Saki, detto anche “cammello d’argilla”, il ladro più abile del mondo, trasformista e imitatore senza uguali”. Ma ce ne sono stati molti altri, come il gobbo Rawak, la Mummia vivente o l’Uomo Lupo. Sono nemici ben caratterizzati, che restano impressi nel ricordo dei lettori, anche perché ogni tanto ritornano in nuove storie. Nel corso degli anni Mandrake si è trovato spesso immerso in vicende di attualità, con scontri realistici con spie, contrabbandieri, ricattatori, rapinatori e terroristi. In una storia di cinquant’anni ha sconfitto una banda di ignobili personaggi che volevano sabotare i piani americani per la conquista dello spazio. A quell’epoca i sovietici erano in vantaggio, ma Mandrake vigilava, e forse nella conquista americana della Luna un po’ di merito lo ha avuto anche lui. Come nella seconda guerra mondiale quando sbaragliò un gruppo di spie naziste infiltrate negli Stati Uniti. Quella storia venne pubblicata negli anni Quaranta anche in Italia, ma con qualche differenza: Mandrache (come lo scrivevano sugli albi Nerbini) era stato arruolato dal controspionaggio di Berlino per combattere un gruppo di spie inglesi. (Articolo di Carlo Scaringi).

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martedì 9 giugno 2009

Un compleanno anche per Paperino
Photo Goria - clickCome Topolino, anche Paperino ha debuttato prima in un cortometraggio animato e poi è diventato un personaggio di carta, protagonista di infinite strisce e storie più o meno brevi. Il suo debutto risale al 9 giugno del 1934 quando tra le Silly Simphonies comparve il breve filmato “La Gallinella saggia”, The Wise Little Hen, in cui un paperotto un po’ goffo e sgraziato inventava ogni scusa per non aiutare la Gallinella a seminare il grano: “Chi io? Oh, no, ho il mal di pancia” rispondeva per evitare quel lavoretto. In realtà, come ci hanno insegnato ormai 75 anni di fumetti e cortometraggi, Paperino non è mai stato uno scansafatiche di professione. Anzi, per sbarcare il lunario ha fatto almeno un centinaio di lavori, dall’accalappiacani al vetraio, passando per i mestieri di bagnino, cow boy, esattore (ovviamente per conto di Zio Paperone), fornaio, guardiano del faro, incantatore di serpenti, mago della pioggia, pompiere, spazzino, e via continuando. Il merito di averlo fatto lavorare così tanto è di Carl Barks, uno dei maestri della Paperopoli disneyana, che per anni ne ha raccontato e disegnato le Photo Goria - clickbizzarre avventure, e soprattutto i suoi incontri e scontri con quel taccagno di Paperone e con quei pestiferi nipotini che sono Qui, Quo e Qua. Due “spalle” (Paperone e i nipotini) preziose per il successo di questo personaggio, disegnato all’inizio da Al Taliaferro, di chiara origine italiana, e cresciuto – in spessore e umorismo – anche grazie alle molte storie realizzate da qualche decennio da autori italiani, da Luciano Bottaro a Romano Scarpa, da Giovan Battista Carpi a Giorgio Cavazzano e altri ancora. Se Topolino è in un certo senso il simbolo dell’uomo (americano) appagato, rispettoso della legge, buonista e ottimista, Paperino esprime nel modo migliore tutte le nevrosi dell’uomo moderno, eternamente alle prese con piccoli problemi che per lui diventano giganteschi. Certo, per Paperino spesso il problema principale è quello di mettere insieme il pranzo con la cena, oppure l’eterna ricerca di quel cent che manca per fare un dollaro, quel cent che, se trovato, lo rende felice, e che getta nella disperazione Paperone quando teme di averlo smarrito sotto la montagna di dollari della sua smisurata ricchezza. Photo Goria - clickEppure, malgrado la sua cosmica sfortuna, Paperino ha vinto anche un Premio Oscar e ha totalizzato molte altre nomination. L’Oscar lo ha ricevuto negli anni della guerra con un cortometraggio – Il volto del Fuehrer – nel quale sogna di vivere nella Germania nazista. Per fortuna è solo un incubo e quando si sveglia corre a baciare la Statua della Libertà. Con la sua sfortuna quasi leopardiana, Paperino è la vittima predestinata della società intera, del cugino Gastone eternamente baciato dalla fortuna, e dei nipotini, di Zio Paperone e anche di Paperina, e in questa dimensione (dalla quale tenta talvolta di sfuggire indossando i panni di Paperinik, il vendicatore mascherato) assume sempre di più i caratteri dell’uomo di oggi, tartassato da balzelli, disoccupazione, traffico, inquinamento, burocrazia e tutti gli altri mali, che conosciamo bene. Proprio come Paperino. [Articolo di Carlo Scaringi]

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sabato 6 giugno 2009

Torna Phantom con storie originali
Notare la presenza di Jack Mandolino di Jacovitti!Tra i tanti eroi di carta nati negli anni Trenta, Phantom – che l’Avventuroso fece conoscere col nome, subito popolare, di Uomo Mascherato – è senz’altro uno dei più celebri e più longevi, non solo per la leggenda di immortalità che lo circonda. Ideato nel febbraio del 1936 da Lee Falk, Phantom in un certo senso anticipa la fortunata stagione dei supereroi, non solo perché è invincibile, ma per la sua missione diretta a combattere la violenza e la criminalità, come disse una volta Lee Falk, precisando che il suo personaggio “è contro ogni forma di sopraffazione e di dittatura, perché si oppone a ogni forma di violazione dei diritti umani”. Fedele a quest’impegno, Phantom è stato protagonista di mille avventure, tutte vittoriose, che tuttavia non sono riuscite a debellare tutto il male che c’è nel nostro pianeta. Le sue storie sono state a lungo popolari nel nostro Paese e anche sul finire del Novecento sono state spesso riproposte in edizioni fedeli. Ma da una ventina di anni Phantom è scomparso dalle edicole, dopo il tentativo della Comic Art di ristampare in edizioni tascabili le storie più famose. Dall’inizio degli anni Quaranta la versione a strisce quotidiana è stata affiancata, negli Stati Uniti, da alcune collane di comic-books, realizzati da bravi disegnatori come Wallace Wood, Steve Ditko, Jim Aparo e altri. Da oltre mezzo secolo, le storie sono realizzate dal gruppo scandinavo Egmont, che le distribuisce in Australia e molti Paesi europei. Adesso queste storie arrivano anche in Italia, in un collana mensile di comic-books dell’Eura Editoriale che affianca Phantom a quelle dedicate a Dago, John Doe, Unità Speciale, ecc.. Le storie, tutte autoconclusive, sono disegnate da alcuni bravi professionisti, come Dick Giordano, Donne Avenell, Jean-Yves Mitton, Romano Felmang e Norman Workerm che rispecchiano lo spirito e le situazioni dei racconti di Falk. Non tutti hanno la fantasia e l’originalità dei primi storici autori – Ray Moore, che disegnò Phantom dal 1936 al 1946, Winsor McCoy e poi, dal 1961, Sy Barry – ma i risultati sono senz’altro rimarchevoli. Non mancheranno, in alcune storie, i riferimenti a situazioni già presentate nelle strisce degli anni Trenta, come la lotta di Phantom contro i pirati Singh, che diede inizio alla lunga saga. E’ noto, infatti, che le radici di Phantom risalgono a qualche secolo fa, quando il superstite di una strage commessa dai pirati Singh, giurò di dedicare la sua esistenza alla lotta contro la violenza. Da allora la missione è stata tramandata da padre in figlio, dando vita ha alla leggenda dell’immortalità. Non sono mancate, negli anni, le presenze femminili, come le criminali della Banda Aerea, ma la sola donna sempre fedele a Phantom è Diana Palmer, sua eterna fidanzata per quarant’anni. Phantom ha avuto diverse corteggiatrici, tra cui – in una storia degli anni Cinquanta – un’ereditiera che s’inoltra nella giungla in cerca di marito. “La ringrazio dell’attenzione – le dice – ma io sono già fidanzato. Comunque certe scelte preferisco farle a modo mio: il matrimonio è una cosa troppo seria”. In un’altra storia degli stessi anni, Diana sembra invaghita di un cacciatore imbranato. Phantom lo salva, con grande gioia di Diana, da un orso e poi commenta: “Probabilmente – dice – ha deciso che quello è l’uomo giusto per lei, non voglio fare il guastafeste, io sono un uomo della giungla” e se ne va. Ma l’amore non finirà perché nel 1977 Phantom e Diana di sposano, e due anni dopo saranno genitori di una coppia di gemelli, un maschietto per assicurare la discendenza, e una femminuccia, per accontentare le femministe. In questi anni le storie hanno forse perduto un po’ della suggestione iniziale, con Diana divisa fra New York e la giungla, e Phantom che ogni tanto va a trovarla in America, sempre imbacuccato in un pesante cappotto, con occhiali neri e cappello ben calcato in testa. Ogni tanto si ferma in un bar, e ordina: “Una ciotola d’acqua per il cane e un bicchiere di latte per me”, suscitando forse la stessa ilarità che provoca Cocco Bill nei saloon del West quando chiede una camomilla. [Articolo di Carlo Scaringi]

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sabato 23 maggio 2009

Quando Sor Pampurio cercava casa
112 BisiDalla fine di maggio del 1929 alla vigilia della guerra Carlo Bisi – disegnatore e illustratore morto a 91 anni il 27 febbraio 1982 – ha raccontato sul Corriere dei Piccoli le umoristiche vicende del Sor Pampurio, uno dei più celebri personaggi di carta degli anni Trenta. Con la sua faccia a uovo di Pasqua, incorniciata da due gomitoli di capelli sulle orecchie, un cravattone a farfalla e un abbigliamento clownesco, Sor Pampurio divenne subito popolarissimo per la simpatia che suscitavano le sue disavventure. Il suo autore, Carlo Bisi, era di Brescello, il paese della Bassa Padana dove Guareschi avrebbe collocato Peppone e Don Camillo, e le vicende di Sor Pampurio – ambientate in un piccolo mondo antico tutt’altro che avulso dalla realtà – sembrano quasi anticipare l’umorismo di Guareschi, in un clima di perenne insoddisfazione, di eterno scontro, di continua irrequietezza che oggi attribuiamo alle nevrosi della società dei consumi, ma che allora scaturiva da un senso di profonda incertezza. Prima di scalare il successo col Sor Pampurio, Carlo Bisi aveva disegnato altri personaggi di scarso valore, tranne forse quel Dottor Piramidone, inventore ingegnoso, strampalato e sfortunato che quasi anticipa la nascita di Sor Pampurio. Dopo Bonaventura – maldestro, pasticcione ma anche fortunato – ecco un altro borghese piccolo piccolo, 841 Bisirinchiuso in un mondo (la moglie, i figli, il canarino, il tran-tran dell’ufficio) che lo soddisfa solo epidermicamente. Cerca di sfuggire a questa monotonia, cambiando casa in continuazione. All’inizio di ogni avventura – che Carlo Bisi racconta in versi ottonari che scandiscono quasi musicalmente l’ironia del disegno – il Sor Pampurio è sempre “arcicontento del suo nuovo appartamento”: ma poi non sopporta i vicini chiassosi, il pianto d’un neonato, il traffico moderno (degli anni Trenta…) o l’arrivo della suocera, e così “arciscontento cerca un nuovo appartamento”. Quando non ha problemi di alloggio, la moglie alimenta la sua irrequietezza con antipatici confronti con la vicina di casa: “la signora che sta sotto ha un bellissimo salotto” si lamenta la Pampuria, “e quell’altra al piano nobile ha tre serve e l’automobile” aggiunge, prima di esplodere in un “vile, qui mi fai crepar di bile”. Sor Pampurio cerca eternamente casa per i motivi più strani: una volta per salvare il canarino dagli agguati del gatto del vicino, e un’altra perché hanno aperto un cinema sotto casa e la servetta “s’interessa in modo vivo ora a questo, ora a quel divo”, mentre Pampuria “è in attesa di Giovanna con la spesa”. In un’Italia apparentemente tranquilla e appagata, come quella degli anni Trenta, le vicende di Sor Pampurio fanno affiorare una realtà differente, osservata e raccontata con disincantato umorismo. [Articolo di Carlo Scaringi]

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venerdì 22 maggio 2009

In pillole la saggezza di Mafalda
Mafalda - photo Goria - clickNel corso dei decenni i fumetti ci hanno proposto infiniti bambini, alcuni quasi sempre gradevoli o simpatici, altri antipatici o insopportabili come il Buster Brown primo Novecento, altri dispettosi come i celebri Bibì e Bibò e altri saccenti come la Lucy dei Peanuts. Mafalda, invece, è diversa, unica, originale, per la sua carica di contestazione che sembra anticipare il Sessantotto. Disegnata dall’argentino Quino dal 1964 all’autunno del 1973 – quando, come ci disse una volta a Lucca, il golpe di Pinochet e la morte di Allende gli fecero passare la voglia di sorridere – Mafalda è una tipica bambina immersa nel mondo degli adulti e attenta osservatrice del costume e del malcostume di quegli anni. L’intera storia di carta di Mafalda è stata raccontata più volte in vari volumi e raccolta, nel 1994 in un grosso tomo curato da Marcelo Ravoni. Adesso, quindici anni dopo, ritorna in libreria in un volume di 600 pagine edito dai Magazzini Salani, che da un lato risveglia la nostalgia dei vecchi lettori e dall’altro dovrebbe suscitare curiosità e interesse dei giovani verso questa bambina decisamente controcorrente, senza peli sulla lingua, talvolta perfino irriverente, e sempre caustica e amara, sin dalla copertina dove la vediamo giocare con un mappamondo – proprio come Hitler nel famoso film di Chaplin – riflettendo col suo orsacchiotto: “Sai perché è bello questo mondo? Perché è una riproduzione, l’originale è un disastro”. Scorrendo le migliaia di strisce del volume scopriamo un’infinità di battute simili, tante pillole di saggezza proposte fra una striscia comica (ce ne sono ovviamente tante) e una ironica. Si passa dalla sua personale guerra contro la minestra, croce e delizia di ogni bambino, - “La minestra sta all’infanzia come il comunismo alla democrazia” commenta – ai notiziari del Telegiornale: “Ci dovrebbe essere un giorno alla settimana in cui il giornale radio ci inganna con qualche buona notizia”. Un’altra volta si chiede: “Tutti parlano di Paesi dove ci sono scioperi, bombe, assalti, massacri, razzismo. Ma della Norvegia mai una parola: si vede che la violenza ha un indice di gradimento più alto del baccalà”. Ma ci sarà qualcuno buono, si chiede la contestataria, e subito si risponde: “Tutti quelli cui chiedo se sono buoni, rispondono di sì, alla fine risulta che i cattivi non esistono”. Sagge parole, queste e tante altre, di una bambina senza età, per la quale l’età anagrafica non conta: “Quello che conta davvero è capire che l’età migliore della vita è di essere vivi”. Ogni tanto scivola nel pessimismo, o forse diventa ancora più realista, come quando si chiede perché “invece di cambiare le strutture, tutti ci mettono un puntello”. I lettori possono divertirsi a cercare le battute migliori, noi chiudiamo qui, ancora con le parole di Mafalda: “Potrei dire cose molto sottili, ma oggi non ne ho proprio voglia”. [Articolo di Carlo Scaringi]

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martedì 12 maggio 2009

Dago, un successo senza fine
In televisione accade spesso: quando un personaggio dello spettacolo o della cronaca ha successo, subito diventa protagonista di un'infinità di trasmissioni. Lo stesso avviene, in proporzione, nell'editoria dei fumetti, nel senso che un personaggio di successo viene poi ripresentato in infinite ristampe. Sergio Bonelli, per esempio, accanto alle collane mensili ripropone vecchi albi, spesso riveduti e a colori, delle avventure di Tex o Dylan Dog. La Disney affianca al mitico Topolino settimanale infinite storie d'annata, rilette con nostalgia dai più anziani o scoperte dai più giovani. Allo stesso modo si comporta l'Eura Editoriale che da qualche tempo sta sfruttando - sia detto senza cattiveria - la straordinaria prolificità di uno sceneggiatore infaticabile come Robin Wood, un vero mago dell'immaginario per la facilità con cui sa narrare storie di personaggi antichi e recenti, da Nippur a Savarese, da Martin Hel ad Amanda, dal Cosacco a Dago, che è decisamente il suo eroe più riuscito e amato dai lettori. E' quasi un quarto di secolo che Dago compare su Lanciostory o su Skorpio, protagonista di avventure iniziate nella Venezia del primo Cinquecento e, per il momento, giunte all'epoca di Martin Lutero. La vicenda ha portato Dago a fare un piccolo giro del mondo, dal Mediterraneo all'Europa, con puntate nell'America Latina e in Africa. Dago - ideato da Robin Wood e disegnato prima da Alberto Salinas e ora da Carlos Gomez - è il superstite di una famiglia veneziana sterminata dai Saraceni, ma soprattutto tradita da altri nobili della città. Dago è finito schiavo dei Saraceni, è sopravvissuto a mille angherie ed è infine diventato un prezioso collaboratore dei potenti di Costantinopoli e dintorni. Personaggio aspro, di poche parole, solitario, ogni tanto nei testi di Robin Wood si sfoga e mette a nudo il suo carattere. Come Corto Maltese, ha una gran nostalgia di Venezia, dove vuole ritornare per completare la sua vendetta. Nel mio ricordo - dice - "Venezia è una città grigia, in mezzo all'acqua, ma troppo lontana. Ricordo ogni canale, ogni casa, ogni voce, ogni profumo. La mia vita si è interrotta quando l'ho persa, e io riprenderò a vivere solo quando vi tornerò". Forte, robusto e astuto, Dago ha superato tutte le prove più difficili in un ambiente ostile, ha conquistato la fiducia degli Arabi e la stima degli europei, con i quali si è scontrato più volte. Il suo carattere si è forgiato nelle battaglie e non può vivere senza combattere. Ma non è felice perché, dice, "sono un uomo col sangue sulle mani, e in me l'odio ha sostituito l’amore. Sono anni che la gente predice la mia morte, ma sono ancora vivo. Anni di schiavitù fra i Turchi cambiano un uomo. Ho conosciuto il remo, il deserto, la frusta e il fuoco. Ho conosciuto miserie e orrori, sono stato degradato, schiacciato, ucciso e resuscitato mille volte. Ma ho una vendetta da compiere e mi serve solo il tempo per farla". La saga avventurosa di Dago si mescola con vicende e personaggi storici che Robin Wood racconta con grande fedeltà. Il successo di questo ciclo ha spinto l'Eura ha iniziare, sulle pagine di Skorpio, una nuova ristampa, in inserti estraibili dal settimanale, degli episodi di qualche anno fa, mentre dalla fine di aprile è stata avviata la pubblicazione - in dodici volumi cartonati e a colori - della fase iniziale di questa storia, dal primo episodio al Sacco di Roma, che gli autori presentano con precisione grafica e narrativa. Su Lanciostory, infine, continua la serie regolare, con puntate ambientate a Locarno e dintorni, all'epoca delle lotte di religione. Un altro momento coinvolgente di questa fortunata serie, che gli autori propongono con un taglio quasi cinematografico. [Carlo Scaringi]

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sabato 9 maggio 2009

Alan Ford, la risposta italiana all'Agente 007
Jonny Logan - photo Goria - clickNegli anni Sessanta si registrarono i primi successi dei film con James Bond, l'invincibile agente 007 con licenza di uccidere. Il personaggio avrebbe poi ispirato molti fumetti, e anche qualche versione simpaticamente satirica, come il Johnny Logan di Romano Garofalo e soprattutto come Alan Ford, nato nel maggio del 1969 a opera di quella straordinaria coppia di autori che sono stati Luciano Secchi e Roberto Raviola. Insieme, con gli pseudonimi di Max Bunker e Magnus, hanno realizzato le storie di Kriminal, di Satanik e la serie di Maxmagnus, un malvagio re medievale che tartassa, con la complicità di un avido amministratore, i suoi sudditi. Dopo questi personaggi, la coppia ha varato il fortunato ciclo di Alan Ford, incentrato sulle sconclusionate avventure di una singolare e male assortita banda di investigatori, raccolta sotto la sigla TNT, ovvero la formula semplificata di un famoso esplosivo. Alan Ford è un giovane grafico in cerca di lavoro che viene arruolato dal gruppo, dominato da energico vecchietto forse ultracentenario, che tutti chiamano e riconoscono come il Numero Uno. Compagni di lavoro di Alan Ford sono altri strampalati individui in cerca di fortuna, come il Conte Oliver, tipico ladro gentiluomo, Grunt, un militare specializzato nelle più improbabili invenzioni, Bob Rock, irascibile e scarso di statura ma con un grosso naso e la Cariatide, braccio destro del Numero Uno, Gli Aristocratici di Alfredo Castelli e Tacconi - photo Goriama indolente al massimo livello. Lo scenario delle loro avventure è un’improbabile New York e la combriccola prepara i suoi piani nel retrobottega di un negozietto di fiori. Uno dei nemici ricorrenti è Superciuk, un netturbino che odia tutti i cittadini perché sporcano la città. Si consola scolando bottiglie di vino, comprese quelle contaminate da uno scarico radiattivo, che lo trasformano in un supercattivo dall’alito devastante. Come si vede il taglio di queste storie è chiaramente umoristico, non privo di risvolti ironici e satirici, che nel corso degli anni hanno permesso agli autori di inserire in queste improbabili vicende situazioni e personaggi della realtà italiana, vista spesso con lo stesso distacco autoironico che ha spinto i due autori a raffigurarsi in due personaggi del ciclo, ovvero nel Conte Oliver Luciano Secchi e in Bob Rock il disegnatore. Qualche anno dopo Alfredo Castelli e Ferdinando Tacconi si sono forse ispirati ad Alan Ford, ideando il ciclo degli Aristocratici, una banda di ladri eleganti e raffinati che tentano di compiere improbabili colpi a Londra e dintorni. Rispetto ad Alan Ford c'è un indubbio salto di qualità, con più realismo ma con la stessa dose di disincantata ironia. [Carlo Scaringi]

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mercoledì 6 maggio 2009

I 70 anni di Batman, super molto uomo
Batman in fumetteria - photo Goria - clickQuando Batman è nato, settant'anni fa, all'inizio del maggio 1939, in giro c'era un solo supereroe, Superman, che da un anno già volava, più veloce della luce, per i cieli di Metropolis, nascondendo la sua identità con quella di Clark Kent, giornalista un po' pasticcione, ma sempre prontissimo a giungere sulla scena del crimine un attimo prima di Superman, che poi con i suoi superpoteri agguantava i malfattori e riportava la tranquillità a Metropolis. Superman arrivava da un pianeta lontano, era un alieno, un extraterrestre, mentre Batman è un uomo di questa terra, non ha poteri super, ma tanta rabbia in corpo per scalare i grattacieli, compiere balzi giganteschi avvolto in un mantello blu-notte che lo fa sembrare un immenso pipistrello, e agguantare i cattivi ovunque essi siano, e riportare la calma a Gotham City, che è una Metropolis più cupa, più drammatica, più disperata come è spesso New York, che è poi lo scenario - nascosto, ma non troppo - delle imprese di Superman e di Batman. L'Uomo Pipistrello è stato inventato da Bob Kane, scomparso ultraottantenne una decina di anni fa. Ma da tempo aveva ceduto il suo personaggio Superman e Batman - photo Goria - clickad altri disegnatori, primo fra tutti Frank Miller che ne ha in gran parte rinnovati il carattere e l'immagine, trasformandolo in un Cavaliere Oscuro con Bruce Wayne - il miliardario diventato Batman per vendicare la morte dei genitori - diventato un uomo decisamente invecchiato, rancoroso e con una carica di vendetta talora eccessiva, il tutto in una Gotham City decadente e violenta. Molte storie recenti fanno quasi rimpiangere quelle più antiche, anche perché nel Batman di oggi è quasi assente quell'ironia che trasformava le vecchie avventure in vere favole, con nemici grotteschi e cattivi, incisi nel ricordo dei lettori, dal Joker all'Enigmista, da Due Facce al Pinguino, alla Donna Gatto e altri resi popolari dai molti film dedicati a questo personaggio. Sfogliando le vechie storie, troviamo dialoghi e Batman che promuove l'uso del latte per i ragazzini - clickbattute che aiutano a tratteggiare il carattere di Batman, che è stato sempre sfortunato con le donne, al punto di esclamare: "Perché tutte le pupe che incontro sono pazze assassine? Non sarà colpa mia?". Ricordando la sua infanzia, dice che "ogni bambino ha bisogno dei propri genitori, perché è terribile dover crescere da solo". Da giovane, ha detto in un'altra storia, giurai vendetta ai criminali, e "adesso servo la giustizia, uso la violenza per combattere qualcosa di peggio, ma non mi dà alcun piacere". Non ama neppure Gotham City perche, riflette, "certi luoghi hanno un'atmosfera particolare, sembra che le stesse pietre siano contaminate dal male. Droga, prostituzione, racket, corruzione, assassini, questa città è malata, e anche la gente è malata, di paura". Tra Superman e Batman ci sono diversi punti in comune, per esempio entrambi hanno un rifugio segreto: la Fortezza della Solitudine, dove l'Uomo d'Acciaio entra con una gigantesca chiave che solo lui sa manovrare, e la Bat-Caverna, il covo di Batman e del giovane Robin. Entrambi, infine, giunti a una certa età, sono morti, uccisi dagli editori in cerca di clamorose occasioni per risvegliare l'interesse dei lettori distratti da altri richiami. Superman è risorto dopo breve tempo, e lo stesso accadrà a Batman, da poco vittima di una morte improvvisa e ora atteso a una rinascita annunciata. [Carlo Scaringi]

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lunedì 27 aprile 2009

Lupo Alberto in giro per la Lombardia
Silver e Lupo Alberto - photo Goria - clickIl mondo dell'immaginario ha sempre raccontato con simpatia gli animali, fin dai tempi di Esopo. Letteratura, cine-televisione e fumetti hanno spesso offerto ai nostri amici a quattro zampe ruoli da protagonisti, da Lassie a Rex, per citare due cani fin troppo celebri. Passando ai fumetti, l'elenco è decisamente lungo, aperto dalla dispettosa e ostinata mula Maud (la Checca in Italia). Circa un secolo fa, nel 1910, arrivò Krazy Kat, un'originale e poetica striscia di George Herriman, che aveva per protagonisti una gatta innamorata di un topo di nome Ignazio, che la ricambiava con mattonate in testa. Questi scontri amorosi venivano risolti da un burbero cagnone, Offisa Pupp, che chiudeva il topolino in prigione. Qualche anno dopo, nel 1917, Pat Sullivan disegnò per i cartoni animati Felix the Cat (semplicemente Mio Mao in Italia) che sarebbe poi approdato anche nei fumetti. Il cinema d'animazione e i comics sono stati, e restano, il più ricco filone di storie con animali, dall'universo disneyano popolato di topi, paperi, cani, ecc. al cinema di Hanna e Barbera (con i celebri Tom e Jerry, Braccobaldo e l'orso Yoghi) o della Warner Bros, con altri riusciti protagonisti, dal Gatto Silvestro a Bugs Bunny, da Speedy Gonzales a Titti. In pochi anni il mondo dell'immagine in movimento o statica si è popolato di decine di piccoli e simpatici amici, compresi gli abitanti della palude di Okefenokee dove vive l’opossum Pogo con i suoi amici, l'alligatore Albert, il gufo Gustavo e altri, ideati da Walt Kelly. In questa realtà gli italiani sono rimasti quasi sempre assenti almeno fino agli anni Settanta, quando alcuni giovani autori dotati di fantasia e qualità artistiche hanno ideato personaggi che ancor oggi resistono bravamente all'invasione straniera. Ci riferiamo a Lupo Alberto di Silver, alla Pimpa di Altan e Lupo Alberto - photo Goria - clickqualche altro dalla vita più breve, come il coniglietto Pinky di Mattoli, o Ramarro di Palumbo, o il maialino blù Harpo o anche Squeek, il topo sadico di Mattoli. Il più popolare fra questi, al di là della Pimpa amata dai più piccoli, è senz'altro Lupo Alberto, che in questi mesi festeggia i 35 anni di vita (è nato sul primo numero del Corriere dei Ragazzi nel 1974, dopo l'esordio al Salone di Lucca l’anno prima) con una serie di mostre ospitate in varie località della Lombardia. Dopo il debutto, a febbraio a Cesano Maderno, Lupo Alberto, la gallina Marta, Enrico la talpa, il cane Mosè e gli altri protagonisti di questa storia infinita ambientata in una fattoria dove vivono vicende non necessariamente estranee dalla realtà, saranno di scena a Limbiate dall'1 al 10 maggio, a Varedo dall'11 al 24 maggio e a Seregno dal 26 maggio al 20 giugno. La rassegna itinerante proporrà strisce, tavole, disegni preparatori, e tutta una serie di oggetti legati al merchandising di Lupo Alberto, un simpatico amico al quale sono dedicati un mensile, in edicola da circa 25 anni, numerosi cortometraggi animati, e naturalmente volumi editi in Italia e in molti Paesi stranieri, a conferma di un successo nato in modo artigianale nello studio di Bonvi (dove Guidino Silvestri, ovvero Silver, ha imparato a disegnare) e diventato ormai quasi universale. [Carlo Scaringi]

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mercoledì 22 aprile 2009

Il periplo di Pratt fa tappa a Cherbourg
E' riduttivo, ma soprattutto sbagliato, legare il nome di Hugo Pratt a quello di Corto Maltese, il personaggio che ha disegnato per quasi trent'anni. Oltre al popolare marinaio, Pratt ha infatti ideato nel corso della sua lunga attività, storie e personaggi di ogni genere, dall'Asso di Picche degli esordi al Sergente Kirk, dai racconti dell'ultima guerra mondiale di Ernie Pike alle riduzioni di romanzi famosi, come L'isola del tesoro di Stevenson. Pratt, insomma, non è stato solo uno straordinario romanziere per immagini, ma anche un vero artista, come dimostrano gli infiniti lavori (acquarelli, bozzetti preparatori, ritratti, paesaggi, ecc.) che ha lasciato e che adesso le edizioni Lizard stanno raccogliendo in grossi volumi. Il primo, Periplo immaginario, è uscito nel 2005 in occasione di una grande mostra ospitata a Siena. Il secondo, Periplo segreto, è un volume di oltre 400 pagine, edito dalla Rizzoli-Lizard, e raccoglie disegni, illustrazioni, acquarelli e altri lavori spesso inediti, che Pratt ha realizzato in quasi mezzo secolo, tra il 1950 e il 1995, quando è scomparso. Il volume permette di completare il lungo itinerario artistico di questo autore, che è stato non solo uno straordinario narratore, ma anche un attento osservatore della realtà, degli uomini, delle donne, dei soldati, dei paesaggi dei mille luoghi che ha visitato durante il suo vagabondare per il mondo, dalla Patagonia all'Africa, da Venezia che gli è rimasta nel cuore, all'Irlanda delle antiche leggende. Fra le decine di ilustrazioni, quasi tutte a colori, raccolte nel libro ci sono anche i suoi personali e originali ritratti di Marylin Monroe, Marlène Dietrich e Louise Brooks, i suoi ideali femminili, ma anche scene di guerra e di calcio. Insomma, in queste pagine non c'è solo la storia artistica di Pratt, ma anche la cronaca di gran parte del Novecento, vista sia attraverso i suoi eroi di fantasia, ma anche con i volti di molti protagonisti, anche quelli anonimi. Il volume viene pubblicato anche in Francia, dalla casa editrice Casterman - un nome storico per gli appassionati dei fumetti - come catalogo della mostra che Cherbourg, città francese sulla costa della Normandia, dedica al disegnatore veneziano, che in Francia è tuttora molto popolare. La rassegna resterà aperta fino al 20 settembre prossimo, ed è l'ennesimo riconoscimento a un artista che a Parigi è stato già ospitato al Grand Palais e nel 1988 è stato premiato dall’allora ministro della Cultura, Jack Lang. Sono eventi di vent'anni fa, ma ben presenti nel ricordo di quanti hanno apprezzato, e continuano ad apprezzare, la genialità artistica di Hugo Pratt. [Carlo Scaringi]

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lunedì 13 aprile 2009

Con la radio a caccia di banditi
Il 1934 è ricordato, nella storia dei comics, come l'anno in cui nacque il maggior numero di eroi di carta. Ma è stata anche l'annata del fumetto poliziesco, perché 75 anni fa arrivarono l'Agente segreto X-9, Red Barry, il gruppo di Radiopattuglia e infine l'Ispettore Wade, ispirato ai racconti del grande giallista Edgar Wallace. La novità maggiore forse fu Radiopattuglia, un ciclo firmato dallo sceneggiatore Eddie Sullivan e disegnato da Charlie Schmidt. Protagonista delle storie era un gruppo di agenti, quasi tutti di origine irlandese, composto da Pat, sergente dal ciglio severo e dal fisico robusto, da Molly, forse la prima donna poliziotto dei fumetti, da un ragazzo, Pinky, e dal suo fedele cane, Irish, irlandedse anche lui, almeno nel nome. Nella prima avventura Pinky assiste al tentativo di rapimento di Molly, aggredita da due delinquenti. Con coraggio si scaglia, insieme al cane, contro i banditi, permettendo a Pat di intervenire e sventare il sequestro. Come premio, Pat lo invita a trascorrere una giornata a bordo della sua auto per vivere direttamente le emozioni di una pattuglia di agenti impegnata lungo i quartieri cittadini. A bordo dell'auto c'è un radiotrasmittente che fra un sibilo e un gracidio lancia i suoi messaggi agli agenti. Siamo alla metà degli anni Trenta, la radio è ancora una novità quasi misteriosa che suscita stupore e ammirazione a un tempo. Forse è proprio per merito di questa presenza impalpabile che il ciclo ebbe subito successo. Le storie, infatti, seppure ben congegnate, non avevano la carica di quelle dell'Agente X-9 o la violenza di certe sequenze di Dick Tracy, mentre la presenza di una ragazza impegnata in un lavoro finora quasi esclusivamente riservato agli uomini, di un ragazzo intraprendente e curioso e di un cane, ovviamente intelligente, inseriva nel più classico scenario giallo elementi che stemperavano quei miasmi maleodoranti che uscivano dai bassifondi della metropoli dove la radiopattuglia di Pat era costretta ad avventurarsi nella quotidiana caccia al crimine. Il taglio sostanzialmente ottimistico di queste avventure (pubblicate dal 16 aprile 1934 fino agli anni Cinquanta) serviva a infondere nei cittadini una profonda fiducia nella polizia, sempre puntuale, pronta a opporsi anche con le armi alla violenza e alla prepotenza dei banditi (anche in questo ciclo ce n'era una ricca galleria) che minacciavano la sicurezza dei cittadini. Erano gli anni della drammatica stagione del gangsterismo, contro cui si mobilitò l'America migliore, compresi i fumetti, come Radiopattuglia che nel suo piccolo diede il suo contributo. [Carlo Scaringi]

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giovedì 9 aprile 2009

Quello strampalato detective Abbeyard
Pepe SanchezCi sono alcuni argomenti sui quali solitamente non è lecito scherzare, anche se in questi ultimi anni una satira spregiudicata ha sbeffeggiato personaggi e situazioni intoccabili. Ma secondo un diffuso sentire, non è bene ironizzare, per esempio, sull'eterna lotta fra polizia e criminalità, oppure sulle vicende, ormai storiche ma pur sempre drammatiche, della conquista del West, con conseguente genocidio della popolazione pellerossa. Qualche film e alcuni fumetti hanno infranto questo tabù, per esempio con il ciclo della Pantera Rosa, o, nei fumetti, con le storie di Lucky Luke e di Cocco Bill, inventate rispettivamente dalla coppia Goscinny-Morris e dal nostro Jacovitti, al quale si devono anche altri riusciti ritratti di improbabili investigatori, come l'Arcipoliziotto Cip (quello che dice sempre, a cose fatte, lo supponevo) o Tom Ficcanaso, cronista che scoperchia i misteri della mala. In questo filone bisogna inserire anche il Detective Abbeyard, ideato da Viviana Centol e disegnato da Carlos Enrique Vogt, uno dei tanti maestri del fumetto argentino. I dialoghi briosi della Centol hanno trovato in Vogt un disegnatore dal taglio umoristico e talora un po’ caricaturale, che a tratti ricorda alcuni volti di Tardi, e che interpreta bene la storia e i suoi protagonisti. Abbeyard, ospitato in queste settimane su Skorpio con una lunga avventura intitolata Il sospiro della mummia, era all'inizio solo un modesto archivista confinato nell’ultima stanza di Scotland Yard, in mezzo a montagne di casi insoluti. E' talmente insignificante e imbranato che tutti sbagliano il suo nome, ma ha l'hobby del detective e tenterà - come è raccontato in Nebbia rossa, primo episodio della lunga saga appena pubblicato nella collana che l'Eura Editoriale dedica ai Giganti dell’Avventura - di smascherare Jack lo Squartatore, il misterioso assassino di prostitute nella Londra di fine Ottocento. La storia ricorda un po' le vecchie commedie degli equivoci, con i protagonisti che entrano ed escono dalla scena, e si comportano talora in modo strampalato. Abbeyard risolverà il caso, dopo che era stato perfino sospettato di essere il misterioso assassino, anche grazie all'aiuto dello spirito di una sua amica prostituta e di altre sue colleghe uccise nel quartiere di White Chapel. Inutile dire che il solo Abbeyard vede il fantasma, non solo in questa ma anche in altre indagini. Una situazione irreale, al limite del verosimile, che trasforma la storia quasi in una caccia al tesoro, o ai fantasmi, molto divertente, perché Vogt - che ha debuttato con racconti western e poi si è scoperto disegnatore disincantato di storie rarefatte, come Pepe Sanchez o Lei e io, sceneggiate da Robin Wood, al pari del più serio e impegnativo ciclo di Mojado - fa del suo meglio per rispettare le trovate della sceneggiatrice. [Carlo Scaringi]

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sabato 4 aprile 2009

Topolino compie gli anni
Topolino 1949 - photo Goria - clickIl topo più famoso nel mondo, ovvero Mickey Mouse o più familiarmente Topolino, come è conosciuto in Italia, è nato nel 1928 nel cinema d’animazione, poi è rinato nel 1930 nelle strisce a fumetti, e alla fine del 1932 come giornalino settimanale, e potremmo continuare a lungo, perché nella storia di Topolino c’è sempre un compleanno da festeggiare. L'ultimo cade di questi primi giorni di aprile e coincide con i primi 60 anni del celebre settimanale, versione a libretto, o bonelliana visto il successo degli albi di Tex e altri eroi delle edizioni di Sergio Bonelli. La storia del settimanale è in realtà lunga quasi 80 anni, perché nella versione giornale apparve alla fine del 1932, pubblicato a Firenze dall’editore Nerbini, il quale nell’agosto del 1935 lo cedette alla Mondadori, perché affascinato dal successo che in quei mesi ottenevano gli eroi del grande fumetto americano, pubblicati sull'Avventuroso. Così Nerbini fece l'errore della vita e la Mondadori fece un affare. Topolino visse per 738 numeri fino al dopoguerra, malgrado alcuni momenti difficili, che a un certo punto fecero temere il peggio, cioè la chiusura. Il peggio fu evitato perché nell’autunno del 1948 la Mondadori aveva acquistato una moderna rotativa per stampare il mensile L'Inferno di TopolinoSelezione, una rivista che pubblicava articoli tratti da giornali di mezzo mondo, e un romanzo condensato, che piaceva molto ai lettori più pigri. Dopo aver stampato Selezione, la rotativa restava ferma per un paio di settimane, e allora Mondadori decise di utilizzarla per stampare Topolino, usando la stessa carta e lo stesso formato di Selezione, maneggevole, tascabile, che forse sarebbe piaciuto ai piccoli lettori, proprio come piacevano le strisce di Tex e altri eroi dell’avventura. Nacque così, nell'aprile del 1949, il Topolino che conosciamo ancor oggi, formato libretto, con un centinaio di pagine, quasi tutte in bianco e nero, molte rubriche (dalla posta ai francobolli, dai giochi alle curiosità) e naturalmente molti fumetti, tutti rigorosamente anonimi e firmati Walt Disney. Il primo numero era aperto dall’ultima puntata di una storia, Topolino e il cobra bianco, scritta da Guido Martina e disegnata da Angelo Bioletto, una coppia che negli ultimi numeri del 1949 cominciò a pubblicare l'ormai mitico Inferno di Topolino. Sullo stesso primo numero comparivano anche Eta Beta e altri personaggi disneiani, quasi un anticipo di quello che avrebbe offerto ogni mese Topolino. Già perché all’inizio il giornalino aveva cadenza mensile, diventata quindicinale Topolino e il Cobra Bianco, seconda partecon il numero 40 e settimanale solo col numero 236, a metà del 1960. Col passar degli anni le pagine sarebbero aumentate, e la pubblicità anche, il colore fu esteso all'intero giornalino e accanto al nome del direttore, per anni Mario Gentilini, comparvero - dal numero 700 del 22 aprile 1969 - anche quelli degli autori delle storie. Oggi i primi numeri, sia quelli usciti negli anni Trenta sia quelli pubblicati nel 1949, sono l'oggetto del desiderio dei collezionisti, e valgono ancora qualche milione delle vecchie lire. Una piccola follia che testimonia l’amore e la passione che tanti hanno conservato per Topolino, in fondo un giornalino piccolo piccolo per un topo grande così. [Carlo Scaringi]

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venerdì 27 marzo 2009

La Resistenza raccontata a fumetti
Moise il Pioniere - photo Goria - clickIn tanti decenni di vita il fumetto italiano ci ha fatto conoscere tutto, o quasi, della storia del West americano oppure delle imprese criminali dei gangsters delle grandi metropoli degli Stati Uniti. Invece sceneggiatori e disegnatori non hanno quasi mai affrontato alcuni degli aspetti più importanti e significativi della storia italiana. Ogni tanto c’è qualche eccezione, ma si tratta di casi isolati, come quello di Volto Nascosto, il personaggio nato dalla scelta di un editore coraggioso come Sergio Bonelli e dalla bravura di uno scrittore come Gianfranco Manfredi, sempre attento a temi storici e di costume. Con Volto Nascosto è stata narrata - attraverso protagonisti e vicende fantastiche all'interno di una precisa realtà storica - la non esaltante impresa coloniale della conquista dell'Etiopia alla fine dell’Ottocento. Per questa ragione ci sembra interessante e stimolante la mostra - ospitata fino al 30 aprile presso la Casa della Memoria nell'antico quartiere romano di Trastevere - che raccoglie le tavole che otto giovani disegnatori in cerca di editori hanno dedicato ad alcuni aspetti della Resistenza. E' un tema che il DSCN1176 il Pioniere - photo Goria - clickcinema ha affrontato in molti film, ma che il fumetto ha praticamente ignorato da sempre, forse perché più portato verso temi di pura fantasia. Facendo qualche passo indietro, scopriamo infatti che sono state molto poche le storie dedicate agli anni della lotta contro il nazifascismo, sfociata nella vittoria del 25 Aprile. Di Resistenza si è parlato, per esempio, all'interno di Cuore garibaldino, una lunga saga patriottico-risorgimentale iniziata nel 1939 sull'Intrepido e proseguita anche dopo la fine della guerra, con episodi scritti da Luciana Peverelli e disegnati da Vittorio Cossio e dedicati, appunto, alla lotta partigiana. Un tema affrontato anche in molti altri albi dell'Intrepido, ma spesso con ambientazioni nella Francia del 1943 e con un taglio quasi poliziesco. Più frequente il riferimento alla Resistenza in alcuni episodi di Sciuscià, con i piccoli protagonisti che entrano in contatto con partigiani presentati in modo non sempre fedele alla realtà. Negli anni Sessanta hanno ottenuto un certo successo le collane di Eroica e Supereroica, albi realizzati da autori italiani per un editore inglese, che presentavano molti episodi ricavati dalle cronache di guerra, che talvolta coinvolgevano anche partigiani italiani. Quelli stessi che, anni dopo, Oesterheld e Hugo Pratt hanno inserito nelle storie antiretoriche e molto umane di Ernie Pyke, giornalista inviato sui fronti bellici. DSCN1177 Atomino il Pioniere - photo Goria - clickOltre a questa coppia, altri autori di qualità si sono cimentati con storie e personaggi della Resistenza, come Dino Battaglia che nel 1962 ha disegnato per il Messaggero dei Ragazzi una biografia di Padre Kolbe, il frate polacco ucciso ad Auschwitz, oppure come Guido Crepax che, in un flash back sull'infanzia di Valentina, ha rievocato la fuga in Svizzera della sua eroina per sfuggire alla deportazione, dato il nome della famiglia (Rosselli, scelto da Crepax come omaggio ai due fratelli assassinati dai fascisti). La Resistenza è stata spesso ricordata sulle pagine del Pioniere - il giornalino di sinistra nato come alternativa al Corriere dei Piccoli e al Vittorioso - ma anche su quelle dello stesso Corriere dei Piccoli che inserì tra i personaggi storici che periodicamente rievocava, anche l'eroe partigiano Duccio Galimberti in una storia scritta da Alfredo Castelli e disegnata da Mario Uggeri. Il nostro piccolo viaggio termina qui. Probabilmente abbiamo dimenticato qualcosa, ma non molto. [Carlo Scaringi]

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domenica 22 marzo 2009

Il cinema d'animazione in mostra in Riviera
Da qualche tempo il cinema d'animazione si rivolge con sempre maggiore frequenza al pubblico degli adulti, anche se le produzioni più numerose sono ancora destinate ai ragazzi. Ma i recenti successi internazionali di film come Persepolis, sulla storia antica e recente dell'Iran, narrata dai pungenti fumetti di Marjane Satrapi, o alcuni prodotti israeliani dedicati, in chiave pacifista, all'eterno conflitto tra arabi ed ebrei, dimostrano che è possibile affrontare temi difficili anche attraverso l'aiuto di disegni e sceneggiature che spesso derivano dai fumetti, altro genere all'inizio destinato ai più piccoli e col tempo cresciuto e maturato. Dal 2 al 5 aprile prossimi si svolgerà a Rapallo e in altre località della Riviera ligure l'annuale edizione di Cartoons on the Bay, la manifestazione internazionale della RAI dedicata a una rassegna pressocchè completa della produzione del cinema d'animazione di tutto il mondo. Saranno ovviamente i programmi destinati alla televisione a fare la parte del leone, con molte novità, qualche retrospettiva (su Barbapapà, per esempio) e omaggi a maestri dell'animazione. In Italia il cinema d'animazione, malgrado le solite difficoltà, sopravvive grazie soprattutto all'impegno di piccoli gruppi ricchi di inventiva, e magari scarsi di mezzi finanziari, che producono sigle televisive per programmi e spot pubblicitari, e serial - spesso coprodotti con il Giappone e la RAI - destinati al pubblico di quella che una volta era la celebre TV dei ragazzi. Molte cose si vedranno in questa rassegna, come un videogioco ispirato a Diabolik, che forse anticipa un prossimo ciclo animato, o come la nuova rilettura di VIP Superuomo che Bruno Bozzetto ha trasformato in un più attuale PsicoVip, o come il lungometraggio Cuccioli prodotto dal gruppo Alcuni dei fratelli Manfio di Treviso. Altri autori saranno presenti, come il torinese D'Alò che dopo il successo della Gabbianella sta lavorando all'impegnativo progetto di un Pinocchio tutto italiano, che possa competere con quello realizzato nel 1940 da Walt Disney. Finora solo Giuliano Cenci ha prodotto, nel 1972, Un burattino di nome Pinocchio, passato quasi inosservato, mentre maggiore successo avevano ottenuto, molti anni prima, lI fratelli Manfio - photo Goria - clicke versioni a fumetti di Galleppini e di Jacovitti. Tra quello che bolle nell'animazione italiana, ci piace infine segnalare l'impegnativo progetto che sta portando avanti un gruppo di animatori che fa capo allo sceneggiatore Romano Garofalo, e che coinvolge alcuni fra i migliori disegnatori italiani di fumetti. Il programma è decisamente ambizioso ed è stato in parte già realizzato, con cicli di cortometraggi di pochi minuti dedicati a situazioni e personaggi della vita quotidiana, come il vigile, il tifoso, il prete, il vecchio quartiere, ecc., e altri che trasportano nel cinema d'animazione eroi dei fumetti, come il Johnny Logan ideato dallo stesso Garofalo negli anni Settanta, o Mostralfonso, o Slim Norton, disegnato da un grande del Disney made in Italy come Giorgio Cavazzano. Oltre al maestro veneziano, sono coinvolti nell'iniziativa Silver e Clod, Leo Cimpellin, Marzio Lucchesi, Giorgio Trevisan e altri autori, tutti impegnati in questa sorta di scommessa produttiva e artistica, che intende dimostrare la vitalità dello spettacolo disegnato anche in Italia. [Carlo Scaringi]

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lunedì 16 marzo 2009

Red Barry, il poliziotto dai capelli rossi
Gli anni Trenta sono iniziati, negli Stati Uniti, in modo drammatico, con la crisi economica, la disoccupazione diffusa e una criminalità imperante. Ma la reazione del popolo americano, spinto dal new deal di Roosevelt, permise di superare le difficoltà, grazie anche all'impegno del mondo della cultura che con film, romanzi e fumetti denunciò con decisione le connivenze fra la criminalità organizzata e la politica. Nel loro piccolo, i fumetti diedero il loro apporto, con storie e personaggi entrati nell'immaginario collettivo, come Dick Tracy, il primo poliziotto di carta, o l'Agente X-9, ideato da Alex Raymond nel gennaio del 1934. Pochi mesi dopo arrivò Red Barry, conosciuto in Italia come Bob Star, un investigatore creato da Will Gould (nessuna parentela con il Chester di Dick Tracy). La prima storia è iniziata il 19 marzo del 1934, e il suo ciclo si sarebbe concluso appena quattro anni dopo, con un racconto nel quale l'investigatore viene gravemente ferito. Era una soluzione sollecitata dalla King Features Syndacate, l'agenzia che distribuiva le strisce, aspramente criticate dai soliti benpensanti per la loro carica di violenza e la crudezza di alcune scene. Di origine irlandese, massiccio e atletico, mascella squadrata e un ciuffo di capelli rossi, Red Barry è sempre pronto a tirar pugni, e quando serve a usare la pistola. Coraggioso e spregiudicato, s'infiltra spesso nelle bande nemiche, rischiando anche di fare una brutta fine, ma naturalmente tutto si aggiusterà in tempo, talvolta per l'intervento dell’ispettore Scott (Morris, chissà perché, nella traduzione italiana), un arzillo vecchietto, accanito fumatore di sigari, che sa bene utilizzare le conoscenze e l'esperienza acquisite nel mondo della malavita. I cattivi sono quelli classici della realtà americana dell'epoca: criminali spietati, killer professionisti, trafficanti e truffatori, mentre non manca anche qualche riferimento alla corruzione che stava allargandosi in molti settori della vita politica ed economica. In alcune storie scende in campo anche un simpatico monello, che nell'originale si chiama Ouchy Mogouchy e che in Italia è stato ribattezzato Occi Mucci, secondo una moda allora imperante. La sua presenza è una concessione al costume del tempo, che vedeva una massiccia partecipazione (dal cinema ai fumetti) di piccoli protagonisti, che avevano il compito di addolcire gli intrecci e di far divertire i piccoli lettori (se c'erano, perché in quell’epoca i fumetti erano destinati ai quotidiani, letti quasi esclusivamente dagli adulti). Il disegno di Will Gould è incisivo e spigoloso, come il protagonista, ma è soprattutto realistico, anche se non mancano vignette grottesche e perfino umoristiche, ammesso che in queste storie sostanzialmente cupe si possa anche sorridere. [Carlo Scaringi]

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mercoledì 11 marzo 2009

Petrosino e Savarese tra fantasia e realtà
Il sito dell'Associazione dedicata a Joe Petrosino, con il racconto per immagini della sua storia, in stile cantastorieIl 12 marzo del 1909 in una piazza di Palermo veniva ucciso Joe Petrosino, poliziotto italo-americano tornato in Sicilia per indagare sui rapporti tra la mafia e la Mano Nera, come gli americani chiamavano la criminalità organizzata del primo Novecento. Ucciso brutalmente, Petrosino non è tuttavia uscito di scena, ma è entrato nella leggenda, grazie anche alle famose "dispense" che Nerbini e altri editori dedicavano, con successo di vendite, a famosi personaggi della realtà, come Buffalo Bill o Pinkerton, e a molti protagonisti dell'immaginario, da Rocambole ad Arsenio Lupin. Sul finire degli anni Trenta l'Avventuroso pubblicò una serie di fumetti dedicati a Petrosino, proposto come un coraggioso simbolo di un'italianità che si opponeva ai nemici stranieri. Realizzato da Ferdinando Vighi, il fumetto uscì tra la fine del 1938 e l'inizio del 1939, in singolare coincidenza con l'emanazione delle odiose leggi razziali. Le avventure di Petrosino sono spesso violente, dure, quasi sanguinarie, perché il poliziotto doveva combattere contro il malvagio Mont Eastman, un tipico bandito e truffatore ebreo, che Vighi disegnava nello stile della peggiore propaganda antisemita. Più fedele alla realtà storica è stato invece il personaggio di Savarese, ideato nel 1977 da Robin Wood e disegnato da Domingo Mandrafina, autore fra l'altro di altri cicli polizieschi, come Spaghetti Bros. o Cayenna, sempre su testi dello stesso sceneggiatore. Ideando la figura di Savarese - uno dei personaggi di maggior successo, a lungo ospitato su Lanciostory e Skorpio, nonché sui cartonati dell'Eura Editoriale - Robin Wood si è chiaramente ispirato al vero Petrosino, facendone un eroe tutto d’un pezzo, un siciliano emigrato negli Stati Uniti, dopo che la sua famiglia era stata sterminata dalla mafia. "Sono un siciliano che non dimentica - dice Savarese - e dovrei ritornare là per ripagarmi di quello che mi hanno fatto. Ma sono un uomo di legge, un agente federale. Però sono anche un siciliano che non dimentica". Savarese, come Petrosino, diverrà il capo di un corpo speciale, impegnato contro la mafia. "I mafiosi sono ovunque, qui come in Sicilia - dice in un altro episodio -. Controllano tutto, hanno le leggi a loro vantaggio, si arricchiscono sulla miseria degli altri. Sono loro il potere, indipendente da quello degli Stati Uniti". Come ha fatto anche in altri fumetti storici, Robin Wood utilizza il racconto per sottolineare alcune realtà, per denunciare situazioni abnormi, per coinvolgere - in una chiara presa di coscienza - anche il lettore. Insomma, è più vero Savarese del Petrosino di Vighi. Ma erano altri tempi, e altre storie. [Carlo Scaringi] Click qui per vedere il documentario RAI de La Storia siamo Noi dedicato a Joe Petrosino - qundi scegliere i video dalla timeline.

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martedì 3 marzo 2009

La Storia disegnata da Sergio Toppi
Sergio Toppi - photo Goria - clickIlustratore e disegnatore nato a Milano nel 1932, Sergio Toppi ha iniziato la sua carriera negli studi della Pagot Film, realizzando nei primi anni Sessanta decine di Caroselli televisivi. Dopo un'intensa attività come disegnatore, è approdato al mondo dei fumetti dove ha in pratica debuttato nel 1966 con un racconto di Mino Milani su Pietro Micca pubblicato sul Corriere dei Piccoli. La collaborazione fra il disegnatore e lo sceneggiatore sarebbe continuata a lungo con molti fumetti dedicati a personaggi ed eventi della Storia del passato. Forse è stata questa la segreta ragione che ha spinto gli organizzatori di Bilbolbul – un festival di fumetti in programma a Bologna dal 4 all'8 marzo – Far West by Sergio Toppi - photo Goria - clicka dedicare a Sergio Toppi una mostra (aperta fino al 12 aprile) che ripercorrendo il suo lungo itinerario artistico permette di compiere anche un vasto giro d'orizzonte nel rapporto che da sempre esiste fra la Storia e il fumetto Toppi, infatti, pur essendo un autore che solitamente preferisce disegnare le storie che scrive, spesso inserite entro scenari magici e arcani, ha anche realizzato molti racconti che hanno per protagonisti personaggi del vecchio West, protagonisti della Bibbia, conquistadores spagnoli, dignitari arabi usciti dal mondo delle Miille e una notte o anche condottieri e generali, onusti di medaglie non sempre di vera gloria. Accanto a quella di Toppi - di cui si potranno apprezzare le straordinarie e personalissime tavole in un netto bianco e nero - ci sarà anche una mostra dedicata ad Altan, il disegnatore satirico che negli anni passati ha narrato, con disegni caricaturali, le storie di Cristoforo Colombo, di Orzowei - photo Goria - clickCasanova e di Sandokan, personaggio uscito dalla fantasia di Salgari, ma protagonista di vicende inserite nello scenario del colonialismo inglese dell'Ottocento. Volgendo lo sguardo indietro, scopriamo che molti autori sono stati attirati dai protagonisti della Storia più o meno antica. Molti personaggi del West, dal generale Custer a Buffalo Bill, ai politicanti di Washington come li chiama Tex, li troviamo per esempio in tanti fumetti western mentre l'epoca dell'antica Roma è evocata, in chiave umoristica, nelle avventure di Asterix. Nei mesi scorsi le Sergio Toppi - photo Goria - clickedizioni Bonelli con il ciclo di Volto Nascosto hanno proposto - tra fantasia e realtà - la non brillante storia della conquista italiana dell'Etiopia alla fine dell'Ottocento. Il panorama dei fumetti storici è molto ampio, e va dall'epopea cinquecentesca di Dago, sceneggiata da Robin Wood e ambientata nel Mediterraneo e nell'Europa invasa dagli arabi, al ciclo degli Scorpioni del Deserto di Hugo Pratt che narra, con realismo e suggestivi disegni, le vicende della guerra d'Africa nel secondo conflitto mondiale. Potremmo continuare ancora, ma preferiamo concludere con i fumetti disneiani made in Italy, che negli anni scorsi hanno raccontato, quasi sempre su Topolino, eventi importanti, sul piano del costume, del Novecento, da Carosello alla Mostra dei cinema di Venezia, dalla conquista della Luna al Tour de France, dal centenario del cinema - in una storia di Vincenzo Mollica e disegnata da Giorgio Cavazzano - al lontano boom economico raccontato, e non poteva essere altrimenti, da Zio Paperone. [articolo di Carlo Scaringi]

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domenica 1 marzo 2009

Quando Bobo arrivò a Linus
M64 at afnews - click per ingrandireNegli anni Settanta la satira era di casa su Linus, che ospitava le strisce di Chiappori con quell'omino capovolto che contestava tutto e tutti, e le storielle di Pericoli e Pirelli, fustigatori del malcostume politico e culturale dell'epoca. Un bel giorno Oreste del Buono, che di Linus era il direttore, invitò Jacovitti a collaborare al mensile. Il popolare Jac accettò e inventò subito un suo tipico personaggio, un po' strampalato, ma divertente. Si chiamava Gionni Peppe, era un gangster po' maldestro e ricordava Baby Tarallo e Jack Mandolino, altri piccoli e sconclusionati eroi di questo disegnatore. Tra una striscia e l’altra Gionni Peppe scagliava qualche freccia contro gli estremisti della sinistra antisistema, e questo - in un decennio drammatico per la storia italiana, aperto dalle bombe di piazza Fontana e chiuso dall'assassinio di Moro - suscitò le proteste della redazione e dei lettori, che non tolleravano la presenza di un estremista di centro, come Jacovitti si è sempre definito, sulla rivista. La collaborazione s'interruppe, con grande dispiacere per OdB, che di Jacovitti è sempre stato un grande estimatore. Il vuoto sarebbe stato colmato, dai primi mesi del 1979, da Sergio Staino, nato nel 1940 in un paesino dell'Amiata, con un passato nelle file della sinistra filomaoista, e quindi con tutte le carte in regola per disegnare su Linus. Staino inventò il personaggio di Bobo, un comunista tutto d'un pezzo nel quale aveva trasferito molte delle esperienze politiche da lui vissute. Se Altan nello stesso periodo raccontava con ironia le vicende dei metalmeccanici, Staino narrava quelle dei militanti del PCI, divisi tra riformisti e stalinisti, impersonati per l'occasione dal vecchio compagno Molotov. A differenza di altri autori satirici, Staino ha sempre preferito guardare all'interno del maggior partito della sinistra, spesso anche con un critica serrata, ma sempre condividendo le contraddizioni, le delusioni, anche le esaltazioni per successi temporanei. Certo, col passar degli anni la sua satira si è allargata, ha colpito Craxi e Reagan, e poi i Bush padre e figlio, fino ad arrivare a Berlusconi, ovviamente suo bersaglio fisso da qualche anno. Ma personaggi fissi delle sue vignette sono sempre un Bobo un po' invecchiato e deluso dal suo partito, e una bambina, sua figlia, che lo interroga e lo stuzzica, come in quella vignetta ospitata dall'Unità qualche mese fa. La bambina chiede a Bobo: "Se vi accorgete che questo PD è una porcheria, che farete?". La risposta è un po' rassegnata e molto profetica: "Prenderemo la pillola del giorno dopo". [Carlo Scaringi]

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martedì 17 febbraio 2009

Gli immortali nemici di Zagor
Come quasi tutti gli eroi di carta, anche Zagor - il più longevo personaggio bonelliano dopo l’intramontabile Tex, ideato nel 1961 da Sergio Bonelli - si scontra quasi sempre con avversari che periodicamente ritornano. Nell'avventura in corso di pubblicazione in questi mesi, il popolare Spirito con la Scure sta lottando con il diabolico Mortimer che nelle vesti di un improbabile maggiordomo della bella pittrice Sybil, fedele compagna di tante malefatte, sta cercando di coinvolgere Zagor e Cico in un clamoroso furto di oro. La vicenda si svolge per lo più nei Caraibi, soprattutto ad Haiti nei primi anni dell’Ottocento, qualche tempo dopo che quel Paese aveva conquistato l'indipendenza, creando la prima repubblica afro-americana del Nuovo Mondo. La vicenda, scritta da Moreno Burattini e disegnata da Marco Verni, mescola - come spesso accade negli albi bonelliani - storia e avventura ma soprattutto offre una piacevole e coinvolgente lettura, per la riuscita caratterizzazione dei cattivi. E' ovvio che alla fine Mortimer e Sybil usciranno sconfitti, perché, come dice Zagor, i loro piani sono meccanismi così complicati da incepparsi con un granello di sabbia. Nei prossimi mesi torneranno altri nemici di Zagor, al femminile questa volta, e cioè la bella vampira Ylenia e poi Gambit, una pericolosa e spregiudicata avventuriera. Nell'episodio precedente era invece ricomparso Stephan, un sacerdote demoniaco al servizio di una malefica divinità, già sconfitto da Zagor. Sergio Bonelli e gli altri sceneggiatori hanno arricchito il ciclo zagoriano di infiniti personaggi, molti con un taglio umoristico come Bat Batterson, detective che imita maldestramente Sherlock Holmes, Smiling Joe, pescatore fallito, Digging Bill, cercatore di introvabili tesori, Guitar Jim, ladro e menestrello, il Barone La Plume, sfortunato pioniere del volo, o Molti Occhi, il primo pellerossa con gli occhiali, e altri ancora. Altrettanto riusciti sono gli infiniti nemici, come Ramath il Fachiro, il professor Hellingen, il Barone Bela Rakosi, il faccendiere egiziano, e senza gambe, Hammad (presente anche nell’ultima avventura), l'Arciere Rosso, Kandrax il Mago e tanti altri. Se molti sono gli sceneggiatori di Zagor, altrettanto numerosi sono i disegnatori. Il primo, e più famoso di tutti, è stato il genovese Gallieno Ferri, che ha realizzato anche l'episodio col ritorno del prete Stephan. Ferri festeggerà tra poco gli 80 anni, essendo nato il 21 marzo 1929, e celebrerà anche i 60 anni di una felice attività, iniziata nel 1949 col personaggio di Maskar - un giustiziere mascherato sulla scia di Phantom o dell'Asso di Picche - e proseguita con molte storie western, prima di approdare a Zagor. Ha disegnato decine di albi e centinaia di copertine di Zagor, con uno stile preciso e chiaro, come, per esempio, quello di Galleppini, altro celebre maestro del fumetto western, legato alle infinite storie di Tex. [Articolo di Carlo Scaringi]

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venerdì 13 febbraio 2009

Su Lanciostory un Martin Hel a piccole dosi
Definirlo un avventuriero è riduttivo e forse offensivo, definirlo un gentiluomo è eccessivo. Ma chi è veramente Martin Hel? Non è solo uno dei tanti eroi di carta inventati da Robin Wood, autore dalla vulcanica fantasia, ma è un individuo appassionato del mistero, del passato, anche del futuro, ma soprattutto dell'ignoto, che ama scandagliare viaggiando nel tempo e nello spazio. In un certo senso, è un fratello minore di Martin Mystère, il personaggio inventato nel 1982 da Alfredo Castelli. Forse è meno colto, ma è più intraprendente e meno riflessivo. Le sue avventure, iniziate oltre vent’anni fa e ospitate sui settimanali dell'Eura Editoriale, sono disegnate da un maestro del fumetto argentino come Angel Lito Fernandez, e offrono ogni volta momenti emozionanti, pillole di cultura, un po' d'amore e tanta tensione. Martin Hel solitamente vive a Parigi, ma è sempre pronto a partire in giro per il mondo, preferibilmente il Sud America dove si incontra con i resti di antiche culture e con magiche tradizioni, con riti e personaggi insoliti, spesso al limite del plausibile, ma soprattutto con imbroglioni e avventurieri di ogni genere. Talvolta è aiutato da un commissario brontolone o da Nina, intraprendente giornalista parigina, ma di solito preferisce lavorare da solo, perché è essenzialmente un solitario, con rare crisi di malinconia. Per superarle, ha confessato una volta, si compra una rosa bianca: "Mi piacciono - ha detto - sono misteriose e fanno pensare alle sacerdotesse della Luna, tanto sono pure e semplici". A differenza di Martin Mystère che talora si perde in elucubrazioni quasi filosofiche o in incomprensibili dialoghi con Java, Martin Hel preferisce affidarsi alle riflessioni del Conte Dracula, che parla attraverso una testina appesa al muro e il cui spirito aleggia nella casa. La presenza di Dracula, quasi come il coro delle antiche tragedie greche, serve a Robin Wood per commentare alcuni aspetti deteriori del nostro tempo, con giudizi amari e quasi apocalittici sui comportamenti degli uomini. "Non mi sorprende che la cattiveria sia più attraente della bontà - ha detto una volta Dracula. - La bontà mi fa pensare alla ricotta. L'attitudine naturale dell'uomo è quella di uccidere un altro uomo, e la sua intelligenza gli è servita solo per trovare delle giustificazioni del suo comportamento. Per questo ha inventato il patriottismo, le razze, le frontiere, la libertà, la causa giusta. In realtà all’uomo piace uccidere, e a differenza degli animali, uccide quelli della sua razza". Giudizi che forse lasciano senza fiato, ma ai quali è difficile, addirittura impossibile replicare. Meglio seguire Martin Hel nelle sue indagini, scoprire scenari inquietanti qua e là per il mondo, e appassionarsi alle sue infinite avventure, pubblicate spesso su Skorpio e ogni due mesi sull'albo a lui dedicato dall’Eura. Recentemente le storie sono scritte da Nestor Barron, e forse hanno perduto un pizzico di originalità e di credibilità, pur offrendo sempre una piacevole lettura. Tra i tantissimi personaggi inventati da Robin Wood, Martin Hel è fra quelli più graditi dai lettori, secondo forse al solo Dago. Per questo motivo Lanciostory ripropone da questa settimana nell’inserto di 16 pagine che caratterizza i due settimanali dell'Eura, il lunghissimo ciclo di Martin Hel, che terminerà nei primi mesi del prossimo anno. Saranno alla fine almeno un migliaio di pagine da raccogliere, rilegare e conservare, accanto a quelle dedicate, in questi decenni, a moltissimi protagonisti ospitati sui due settimanali contenitori. [Carlo Scaringi]

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martedì 3 febbraio 2009

In mostra la lunga storia del Corriere dei Piccoli
Buster Brown di Outcault sul CdPComunemente si fa coincidere la nascita del fumetto italiano con l’arrivo in edicola del Corriere dei Piccoli [fondato e diretto fino al 1931 dal giornalista Silvio Spaventa Filippi - NdR], uscito per la prima volta il 27 dicembre del 1908. In prima pagina c’era una tavola di Buster Brown, il bambino elegante e raffinato, biondo e dispettoso, che Outcault aveva disegnato quasi fosse pentito di aver ideato quel monello di Yellow Kid, "primo personaggio dei comics". Nell’ultima pagina c’era invece un negretto, Bilbolbul, che cambiava colore secondo i suoi stati d’animo, per cui diventava rosso di vergogna, bianco per la paura, verde d’invidia, e così via. Era disegnato da Attilio Mussino, Corriere dei Piccoli 32 1910 Quadratinouno dei primi illustratori di Pinocchio, che insieme ad Antonio Rubino, divenne subito una “colonna” del Corrierino. L’intero 1909 vide i due disegnatori impegnati a rivaleggiare con i loro colleghi americani, che occupavano quasi tutte le pagine, con storielle qua e là ritoccate, ma soprattutto private delle caratteristiche nuvolette, sostituite da ingenue strofette in rima, quasi filastrocche infantili da imparare a memoria. Nei suoi primi anni di vita, il Corriere dei Piccoli pubblicò soprattutto fumetti americani, molti ghiochini e tanti racconti, spesso scritti da alcuni dei migliori autori italiani. Ma ben presto tutto sarebbe cambiato, grazie soprattutto alla fantasia di Mussino, che nel 1909 aveva fra l’altro inventato il personaggio di Sor Spaccone, e di Antonio Rubino, che fu forse il più prolifico disegnatore dei primi decenni del Novecento. Seppure legato a uno stile floreale, con un tratto il costume di Bonaventura di Sergio Tofanorotondeggiante, quasi barocco, Rubino ideò piccoli personaggi spesso diversi l’uno dall’altro, dalle coppie Pino e Pina e Lola e Lalla, all’originale Quadratino, un bambino figlio di Mamma Geometria, la cui testa quadra assumeva spesso dimensioni insolite, dal triangolo all’esagono, ma sempre rigorosamente geometriche. Altri personaggi di successo, sempre di Rubino, furono Pippotto e il caprone Barbacucco e Italino, un contadinello scarpe grosse e cervello fino, che negli anni di guerra si divertiva a giocare divertenti burle al nemico, impersonato da un impettito Kartoffel Otto. Tra i collaboratori del Corrierino 'era già anche Sergio Tofano, non ancora attore famoso, ma già originale disegnatore, che nel 1917 avrebbe dato inizio alla saga infinita del Signor Bonaventura. Tutti questi, e decine di altri personaggi sala Bonaventura e giochivengono ricordati in una grande mostra, aperta fino al prossimo 17 maggio, alla Rotonda di via Besana a Milano, che permette di ripercorrere, attraverso i materiali del ricco archivio storico del Corriere della Sera, la lunga storia del Corriere dei Piccoli, vissuto fino agli anni Ottanta [e novanta - NdR]. Questo settimanale per ragazzi è stato lo specchio fedele di alcuni decenni di vita italiana, raccontata con umorismo e originalità da quasi tutti i migliori disegnatori e sceneggiatori italiani, compresi Hugo Pratt e Bonvi, da Angoletta a Carlo Bisi, da Giovanni Manca a Mino Milani, e così via. I ragazzi di oggi, che non hanno conosciuto il mitico Corrierino, non sanno cosa si sono persi. Certamente hanno perduto quei momenti di serenità, che non sempre riescono a offrire i fumetti di oggi o gli altri divertimenti tecnologici. [Carlo Scaringi]

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