Il 2 aprile, in concomitanza con la Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo, su Rai YoYo è andato in onda il cortometraggio animato “Lo specchio di Lorenzo”, progetto tutto italiano che vede alla regia Angela Conigliaro, classe 1989, uno dei numerosi talenti sfornati dal CSC Animazione, il dipartimento torinese del Centro Sperimentale di Cinematografia diretto da Chiara Magri.
Incuriosito dallo stile grafico e narrativo del film, il Gatto ha provato a contattare Angela, cogliendola mentre si sta apprestando a (ri)portare in Italia la produzione dei suoi progetti più personali, e lei si è prestata di buon grado alla piccola intervista che qui vi proponiamo.
GZ: Qualche parola sulla tua formazione artistica e professionale.
La mia formazione artistica inizia nell’infanzia, con mia mamma che disegnava le faccine sulle confezioni di cartone del detersivo per la lavatrice e imprimeva gli ormai proverbiali sorrisi sui Sofficini con la forchetta, proseguendo poi con il liceo artistico, il teatro e l’esperienza del CSC Animazione a Torino.
Ma la parte più importante del mio percorso rimane senz’altro quella “non ufficiale”. Sono cresciuta circondata dalle storie dei miei nonni e degli zii, i quali avevano tutti il proprio peculiare modo di raccontare una storia o un aneddoto (di solito contenenti una morale subliminale): era come ritrovarsi stretta nella morsa letale di una mano che ti strizzava l’avambraccio, sotto lo sguardo intenso di due occhi che ti fissavano e, silenziosamente, intimavano: – “Vieni ‘cca, assiettati” (vieni qua, siediti). Perchè nessuno di quei racconti poteva essere ascoltata in piedi: dovevi sederti e assorbire tutto con molta attenzione.
In che modo tutto ciò avrebbe contribuito alla mia formazione artistica? Mi avrebbe fatto capire l’importanza del raccontare, dell’ascoltare e del sapersi gustare una bella storia. Anche perché tali storie parlavano delle mie radici, e senza conoscere queste non si potrà mai capire appieno il presente e immaginare il futuro.
GZ: Le origini del tuo interesse per l’Animazione: ad esso hanno contribuito anche le tue esperienze nel campo della recitazione?
Avevo davanti a me due strade: una era il teatro e la recitazione, l’altra il disegno. A un certo punto ho scoperto che potevo far recitare dei disegni, e questa consapevolezza ha sciolto ogni indecisione. L’esperienza teatrale è stata fondamentale nella mia formazione da regista sotto molti punti di vista: l’apprendimento del timing, dei tempi della narrazione, sia “seria” che comica; e poi la presenza scenica, la tensione drammatica, quali sono le pose più leggibili e comunicative; e poi: come relazionarsi con gli attori e come dirigere un doppiaggio, l’uso corretto delle luci per indicare cosa è importante mettere in risalto e “far vedere”.
GZ: Qualche considerazione sul tuo percorso al CSC-Centro Sperimentale di Cinematografia, Dipartimento Animazione di Torino e sulla lavorazione di “Piricantaturi”, il corto di diploma che realizzasti insieme a Alice Buscaldi: cosa ti ha permesso di capire dal punto di vista artistico e professionale?
Il CSC ha rappresentato il mio primo sguardo concreto sul mondo dell’animazione, con una serie di “prime volte” assai significative per la mia formazione professionale e artistica: la prima animazione “brutta”, il primo festival di Annecy, il primo lavoro su commissione, la prima vera consapevolezza che lo strumento del disegno animato possiede una potenza peculiare e tramite esso avrei potuto raccontare davvero qualunque cosa.
“Piricantaturi” è stato importante perché prima di allora non avevo mai pensato seriamente di voler fare la regista. Nella mia testa potevo figurarmi come un buon tecnico in grado di aiutare altri autori fornendo loro il meglio delle mie capacità. Ma, ritrovandomi concretamente in mezzo alle difficoltà di produzione, non sapendo come gestire un team, le emergenze, lo stress, ho capito che invece era proprio quel tipo di sfida quella che stavo cercando. Non mi bastava più fare il “bravo esecutore”, anch’io sentivo di avere tantissime cose da dire. E proprio da quell’esperienza ho capito quanto mi piaccia lavorare in team. Per me è come essere a un grande pranzo estivo, dove ognuno porta qualcosa di buono: se uniamo le nostre capacità e contribuiamo l’un con l’altro a colmare le nostre lacune, possiamo raggiungere un grande risultato, e sarà più bello condividere tutti insieme la gioia per l’esito finale.
Il corto Piricantaturi (realizzato con Alice Buscaldi e Lorenzo Fresta):
GZ: Successivamente al CSC, come si è sviluppato il tuo percorso artistico? Hai dei modelli precisi di riferimento, o questi si sono sviluppati anche in base alle tue esperienze professionali?
Subito dopo il CSC ho fatto alcune brevi esperienze a Londra e a Milano, dove ho avuto la conferma che non avevo la pazienza di rimanere a lavorare soltanto sui progetti degli altri. Ricordo di aver incontrato in stazione a Torino la mia carissima amica (ed ex docente) Stefania Gallo, e di averle confessato di avere un enorme sogno relativo a un lungometraggio animato che avrei voluto realizzare “entro i 90 anni”. Lei mi sorrise, replicando: – “Perchè aspettare i 90? Fallo adesso! Buttati!” Fu così che iniziai a scrivere e disegnare “La Bambina di Sale” (di cui parleremo dopo, n.d.G.)
A farmi capire quale stile narrativo volevo adottare è stato, in primis, il corto “Father and daughter” di Michael Dudok De Wit, (premio Oscar nel 2001, approfittiamo della citazione per consigliare il saggio sul regista olandese di Andrijana Ruzic appena uscito, in inglese, per CRC Press, n.d.G.), soprattutto per la magia che riusciva a creare senza l’uso di dialoghi o immagini didascaliche ma tramite una poetica narrazione a base di simboli, metafore, un timing e una musica perfetti che mi stregarono all’istante. Per quanto riguarda la parte grafica, sicuramente le pellicole di Cartoon Saloon (Secrets of Kells, La Canzone del Mare, I racconti di Parvana-The Breadwinner, Wolfwalkers) hanno avuto una parte importante nella mia ricerca di identità come artista.
GZ: Con “Da lontano” hai vinto il contest “Animiamoci”: due parole su questa esperienza.
“Da Lontano” è nato per caso durante il primo lockdown. Io e il mio co-autore Matteo Raimondi abbiamo trovato il bando on line ed eravamo indecisi se partecipare o meno. A due settimane dalla scadenza ci siamo decisi e abbiamo lavorato furiosamente a distanza (io a Torino, lui a Roma, con Eleonora Trapani, miglior storyboard artist e miglior amica, collegata da Kilkenny, dove lavora proprio per Cartoon Saloon). Ci siamo immedesimati un po’ tutti in questa piccola storia in cui due volpi molto amiche riescono a trovare il modo di giocare insieme seppur separate da una valanga che impedisce loro di incontrarsi “in presenza”. Anche noi abbiamo imparato a giocare da lontano, anche perché il team di animazione si trovava a Firenze – i grandissimi Animago! – ed è stato bello ritrovarsi tutti insieme a fine lockdown per condividere la gioia del nostro corto più “corto” di sempre (dura appena 1 minuto!).
Un’intervista di Asifa Italia ai vincitori del contest #Animiamoci, con Angela e Matteo Raimondi:
Il corto “Da lontano” è disponibile su Rai Play.
GZ: Torniamo a “La bambina di sale“: si tratta del tuo primo progetto di lungometraggio, in cui – dopo “Piricantaturi” – sembri riconnetterti con le tue radici siciliane: puoi parlarci un po’ di più di questo nuovo lavoro?
“La Bambina di Sale” parla di me, della mia famiglia, di tutte le nostre storie, della mia terra. Racconta la Sicilia nel modo più intimo possibile, con i nostri modi di dire, i nostri colori, i suoni, il rumore del vento e delle onde, e lo fa con i suoi dialoghi in un italiano sgrammaticato, rimasticato e “fuso” col dialetto. Dentro al film ci sono anche i miei primi brutti fidanzati, mio nonno, il mio saggio quanto bizzarro zio, quasi centenario, e la forza di un popolo che da sempre vive in mare aperto, scrutando l’orizzonte.
Ed è proprio questo il cuore del film.
“Chi siamo? Dove stiamo andando? Cosa c’è dietro quell’orizzonte?”
Ho iniziato questo grande percorso nel 2016, e poco dopo Matteo Raimondi si è unito all’avventura per la fase cruciale della scrittura. Il progetto si è fatto notare prima al Cartoon Springboard e poi in Danimarca all’Open Workshop, la residenza per artisti dell’Animation Workshop. Lì, accompagnati dal tutoraggio di Jericca Cleland – tra l’altro assistente alla sceneggiatura in “Wolfwalkers” di Tomm Moore – abbiamo lavorato assiduamente alla storia e alla sua struttura. Il lavoro di scrittura e ricerca grafica è poi continuato presso lo studio di Copenaghen Nørlum, che ci ha prodotto anche il teaser.
La collaborazione con la Danimarca è durata circa un anno, accompagnandoci nella fase di pre-sviluppo del progetto, fino ad arrivare ai Mifa Pitches di Annecy 2019.
Oggi stiamo per inaugurare Ddraunara, la nostra società di produzione, che sarà basata in Italia, e ci apprestiamo a riportare “La Bambina di Sale” a casa, per realizzarla qui pur continuando a collaborare produttivamente con la Danimarca.
Il trailer de “La bambina di sale”:
GZ: Per la campagna #Animodacasa indetta da Asifa Italia hai realizzato un divertente video in stop motion: hai in cantiere progetti da realizzare con questa tecnica?
Penso che ogni storia vada raccontata nel modo migliore possibile, quindi bisogna sempre attribuirle la giusta tecnica espressiva. Pertanto, sì: qualora dovesse arrivare il progetto giusto verrà anche il turno della stop motion.
Il video di Angela per #Animodacasa:
GZ: “Lo specchio di Lorenzo” in qualche modo mi ha ricordato “Da lontano”: come è nato il progetto e come si è sviluppato intorno a un tema difficile e “rischioso” come l’autismo? L’Animazione viene sempre più utilizzata per veicolare messaggi “forti”, seppur attraverso immagini poetiche e “subliminali”: è il segno che ci si sta finalmente rendendo conto che non è affatto un linguaggio “infantile” (nel senso più riduttivo del termine)?
Il progetto de “Lo specchio di Lorenzo” è nato da un’idea di Sauro Tronconi, che ha immaginato come un bambino autistico potesse riuscire ad aprirsi al mondo attraverso il “filtro” del riflesso in uno specchio. Da lì, una volta ottenuta l’approvazione del comitato scientifico, abbiamo iniziato ad elaborare la storia contenuta in questo special prodotto da beQ Entertainment e Rai Ragazzi. La sfida più grande era proprio quella di spiegare ai bambini un argomento complesso e delicato come quello dell’autismo. Abbiamo quindi lavorato su un linguaggio simbolico, utilizzando animali, colori e suoni che potessero non solo spiegare, ma anche far avvicinare i bambini ai loro compagni di scuola chiusi nella “bolla” creata da questa condizione. É un film che vorrebbe sensibilizzare il pubblico e contribuire ad alleviare la solitudine dei bambini autistici, per dare forza alle famiglie e aiutarle a non perdere la speranza.
Sono convinta che i bambini siano in grado di capire anche i messaggi più complessi, così come le emozioni considerate più “cattive”, e dunque di elaborarle, e che l’unica vera barriera sia nella mente dei cosiddetti “grandi”. Se forniamo ai bambini gli strumenti per la comprensione, invece di imporre loro una censura emotiva, riusciremo a crescere persone adulte più consapevoli.
Penso che sia ancora presto per riuscire a far capire davvero che l’animazione non è un linguaggio “infantile”, ma stiamo iniziando a muoverci in tal senso. Il mio sogno è quello di far diventare “La Bambina di Sale” una sorta di “favola per adulti”, ma è una questione molto complessa, dai risvolti economici oltre che culturali, in quanto coinvolgerà soprattutto il sempre difficile ambito della distribuzione.
Il corto “Lo specchio di Lorenzo è disponibile su Rai Play.
GZ: Come tanti giovani professionisti del settore ti sei da subito adattata a un’esistenza da globe trotter per poter lavorare e crescere professionalmente, anche a causa di oggettive carenze nel sistema produttivo nazionale. Pensi che la situazione in Italia stia oggi sostanzialmente cambiando? Si stanno realizzando le condizioni per “richiamare” in patria i nostri talenti oppure la strada è ancora lunga?
Il mio percorso è iniziato a Londra, giusto per imparare l’inglese e fare esperienza in modalità più rapide. Dopo sono stata un anno in Danimarca, che è stata la vera pietra miliare della mia attuale carriera: oltre a tutte le nuove competenze di scrittura e produzione ho soprattutto appreso il rispetto verso il lavoro altrui. Ho imparato l’importanza di dire “grazie”, dei propri spazi personali e del tempo libero, del saper mantenere vivi al contempo la passione verso il proprio lavoro e l’amore verso se stessi.
Adesso che ritorno a casa, iniziando da Torino e col sogno di “espandermi” anche su una collina in Sicilia con vista mare, vorrei riuscire a trasferire questa piccola rivoluzione anche qui.
Vedo che le cose nel nostro sistema produttivo stanno sicuramente cambiando, anche se non alla velocità che tutti desidereremmo. La strada tracciata è quella giusta, e questo è già un enorme cambiamento rispetto all’immobilismo del passato. Mi sento dunque molto fiduciosa se guardo avanti, perché malgrado la strada sia lunga siamo in tanti a volerla percorrere.
GZ: Le registe di lungometraggi animati sono ancora molto poche rispetto a quelle che si dedicano ai corti, seppur tale trend negativo si stia pian piano modificando: cosa ne pensi, sempre in base alla tua esperienza?
Per la mia esperienza, si naviga ancora molto a vista. Tutto varia a seconda del trend politico vigente: se in quel momento fa comodo aiutare le donne, o se ci sono realtà capaci di “fare rumore”, ecco che si moltiplicano attenzione e iniziative a favore dell’uguaglianza di genere e della parità tra i sessi; ma appena il vento cala, o prende a soffiare in altra direzione, ecco che si rischia addirittura di mettere in discussione i traguardi già raggiunti…
Dirigere un lungometraggio non è solo una questione artistica, poiché l’investimento economico richiesto da un progetto del genere è enorme, e quasi sempre comporta una decisione, appunto, “politica”.
La meraviglia nel realizzare cortometraggi d’autore è anche data da una maggiore libertà da vincoli economici e ‘diplomatici’, indipendenza che normalmente un’industria vera e propria, come l’animazione di fatto è, a certi livelli produttivi non può concedere a nessuno (a parte rare eccezioni quali, forse, “La tartaruga rossa” dello stesso Dudok De Wit).
Personalmente, ho assunto il ruolo di regista donna di un lungometraggio animato con l’handicap principale della mia scarsissima esperienza, ben consapevole della guerra che avrei dovuto combattere, ma felice per la prospettiva che, affrontando mille battaglie, un giorno avrei conquistato l’opportunità di raccontare la mia storia.
Ho realizzato che se non mi fossi fatta ossessionare troppo dai “muri di gomma” e dai “soffitti di vetro” che mi sarei trovata a fronteggiare, combattendoli a testa bassa senza permettere loro di fermarmi, avrei raggiunto il mio obbiettivo.
E quindi eccomi qui, finalmente in grado di sussurrarvi, a mia volta: – “Vieni ‘cca, assiettati”.