18 Giugno 2020 19:33

Annecy WIP 2: oltre il confine (del pregiudizio), gli Italiani che fecero l’impresa

Mio zio Renè nacque a La Condamine di Montecarlo il 2 maggio 1916. Suo padre, Vincenzo Guglielmo Mattalia era di Roccabruna di Dronero, in Valle Maira, nel Cuneese. A 13 anni, attraversando il colle del Sautron – su cui, molto anni dopo, io e mio padre ci incontrammo arrivando l’uno dal versante francese e l’altro da quello italiano, per omaggiare con la fatica delle gambe il (bis)nonno e i tanti, che percorsero lo stesso impervio cammino – era emigrato in Francia, impiegando tre giorni e tre notti per raggiungere Vallauris (Valàuria in occitano), nell’attuale regione della Provenza-Alpi-Costa Azzurra.Era partito con un amico, Alberto Stelli, suo ‘fratello di balia’ di un anno più anziano. Il bisnonno aveva rubato cinque conigli alla madre e li aveva venduti per ottenere qualche soldo per il viaggio.

Trovarono subito lavoro in una fornace specializzata in tegole, e grazie alla sua robusta costituzione – la stessa che consentirà a suo figlio René di sopravvivere nell’inferno di Mauthausen per più di un anno – Guglielmo, detto Iemu, riuscì a mettere insieme a suon di fatica un discreto gruzzolo (relativamente alla situazione). Poi trovò un posto da garzone di panetteria a Nizza: consegne a domicilio, pulizie, lavori umili e via via sempre più specializzati, lo portarono in breve a diventare prima capo reparto e infine responsabile del negozio.

Qui conobbe colei che diventerà sua moglie, Antonietta Prevosto, originaria di Molini di Triora, in provincia di Imperia, Liguria, adottata a 7 anni da una sua zia e poi, per quegli imperscrutabili percorsi che piacciono alla vita, “dama di compagnia” della principessa russa Galitzine. Nonna Antonietta cantava ai propri figli delle ninne nanne in russo, e questa è un’altra bellissima storia da raccontare un’altra volta.

Nel frattempo, Iemu era andato a lavorare nella più grande panetteria di Monaco e, dopo il matrimonio con Antonietta, decise di tentare il salto mettendosi in proprio, anche grazie al prestito di un conterraneo dronerese. La coppia aprì una panetteria proprio di fronte al municipio di Béaulieu. Era già nata mia nonna paterna, Nelly Ezia Francesca, e sette anni dopo sarebbe arrivato anche René. Iemu e Antonietta vendettero il primo esercizio e ne aprirono un altro a Beausoleil, al confine tra Monaco e la Francia, proprio sull’Avenue de la Rèpublique. Iemu ampliò l’attività, facendo anche installare uno dei primi forni a gasolio della Costa Azzurra, fornendo pane agli alberghi, assumendo un pasticcere dall’Italia e acquisendo sempre più prestigio nel contesto locale, caratterizzato da un’identità prettamente turistica.

La Guerra, come suo costume, mandò tutto all’aria: nessuno della famiglia aveva preso la nazionalità francese, e a inizio ottobre del ’39 i Mattalia-Prevosto scesero dal treno a Cuneo con ciò che era stato possibile portar via da una Francia ormai “nemica”, in cui avevano lasciato praticamente tutto ciò che si erano costruiti in anni e anni di durissimo lavoro e sacrificio. Ventitré anni dopo, Vincenzo Guglielmo era tornato nella sua Dronero, nella casa avita, per un nuovo inizio che si preannunciava incerto e cupo come i venti di guerra che soffiavano impetuosi sulla Nazione.

Mattalia è un cognome tipico del Piemonte occidentale, del cuneese in particolare: qualcuno sostiene sia di origini ebraiche, ma potrebbe derivare da toponimi come la Borgata Mattalia di Elva (CN) o di Celle Macra (CN), ed è pure possibile derivi dalla contaminazione occitana di un diminutivo del nome Mattheus.

Perché vi ho raccontato questa storia?

Perché mi è tornata subito in mente nel vedere, sulla piattaforma on line del Festival di Annecy 2020, il work in progress del lungometraggio in animazione stop motion “Interdit aux chien et aux Italiens” (Vietato l’accesso ai cani e agli italiani), scritto e diretto (insieme ad Alexis Galmot e Anne Paschetta) dal cineasta francese Alain Ughetto, già candidato agli European Film Awards nel 2013 con lo splendido corto “Jasmine” e vincitore  nel 1985 di un BAFTA e un César per “La Boule”.

Prima di morire, il padre del regista gli parlò di un villaggio del Piemonte italiano in cui tutti gli abitanti avevano il loro stesso nome. Incuriosito dal conoscere qualcosa di più sull’origine di questo nome, Alain si recò sul posto, dall’altra parte delle Alpi, a Ughettera, “la terra degli Ughetto” (dovrebbe trattarsi della borgata Ughettera in provincia di Giaveno, nel torinese), da cui il nonno Luigi era partito insieme ai suoi fratelli, attraversando con grande rischio il confine nel pieno del delirio espansionista mussoliniano nel tentativo di raggiungere “La Merica“, quella landa dell’Abbondanza “dove i dollari crescono sugli alberi”. Per Luigi la “terra promessa” sarà invece la Provenza, dove unirà il suo destino con Cesira e insieme costruiranno una famiglia “all’ombra del Tour de France e dell’accordéon di Yvette Horner”.

Storie di persone, di individui sballottati nel vortice della Storia, i quali, mentre tronfi condottieri dalla voce stentorea incitavano in patria all’odio e alla divisione, tessevano, attraverso i loro viaggi, fatiche e relazioni, una rete inestricabile tra popoli costretti loro malgrado alla guerra. Una rete che permise di andare oltre i reciproci pregiudizi, oltre gli odiosi cartelli in cui esseri umani venivano accomunati alle bestie a causa di un disprezzo eterodiretto che serviva a mantenere il povero contro il povero a favore di chi da sempre si approfitta di entrambi i contendenti.

Chi erano queste persone? Come sono vissuti? Cosa li ha fatti scappare e dove sono andati? Grazie alle testimonianze di contadini piemontesi nati alla fine del XIX secolo, Ughetto ha ripercorso il viaggio di suo nonno, nato nello stesso luogo, allo stesso tempo, emigrato come centinaia di migliaia di altri oltreconfine in cerca di una vita migliore. Lo ha fatto grazie alla sua sopraffina arte di animatore, ridando vita, nel suo laboratorio, a questo mondo sommerso, a questa civiltà contadina che era quella dei suoi, dei miei, dei nostri nonni, a questo mondo dei “vinti” e degli “anelli forti”, come lo chiamerebbe lo scrittore Nuto Revelli, che ne raccolse le ultime testimonianze prima della tabula rasa tra Guerra e Dopoguerra. Ughetto celebra col proprio (alto) artigianato l’immane lavoro, la fatica costante e quotidiana, la fame “che non si dimentica più”, fa rivivere i loro gesti, le pratiche di sopravvivenza, realizza una sorta di monumento “vivente” al loro e al proprio lavoro manuale.

Cosa rimane di loro – si chiede/ci chiediamo – delle loro conoscenze, delle loro abilità, dei loro paesaggi, della loro lingua, della loro immaginazione? Dei loro sogni? Chi continua a vivere in lui, in noi, parlandoci dalle profondità di questo mondo sommerso?

Soprattutto: siamo ancora in grado di sentirli?

Un film prezioso, da portare assolutamente in Italia.

Produttore delegato: Alexandre Cornu
Coproduzione: Vivement lundi ! – Foliascope – Graffiti Film – Nadasdy Film – Lux Fugit Film – Umedia – Ufund – Région Avergne Rhône Alpes Cinéma
Distribuzione: Gebeka Films, Distribution France – Indie Sales, Ventes internationales

Trailer: