Coltivatore di utopie. Così si considerava Alessandro Caligaris, mancato al mondo del fumetto l’altro giorno. Un grande artista torinese che sapeva vedere attraverso il buio della nostra esistenza, scoprendo destini umani inconcepibili, spesso inquietanti, dove però l’ironia irridente era la cifra, il sottofondo, di un talento straordinario.
La sua prima graphic novel “Hoarders”, racconta di un manipolo di pazzi che vagano in una sorta di landa coperta di rifiuti ed è stata pubblicata dalla editrice eris, così come il suo secondo lavoro, “Revolushow”, un freakshow spietato, scorretto e dissacrante.
Ma il mondo di Alessandro era più ricco, più curioso, più incontenibile del suo stesso lavoro. Era un impegno psichico sfibrante, una febbre creativa, una sfida con sè stesso, senza fine, senza riposo.
Oggi che riposa per sempre, anche il suo universo si spegne con lui, lasciandoci frammenti sparsi nel vuoto.
Avevo conosciuto Alessandro l’anno scorso, dopo aver letto l’esperienza che aveva realizzato come responsabile dei Laboratori didattico-espressivi presso i locali della Pinacoteca Albertina di Torino con utenza di vario genere con disabili lievi e medio-gravi in carico ai Servizi Territoriali della Cooperativa Valdocco.
Avevo trovato straordinario che un artista, un fumettista fosse anche impegnato professionalmente in percorsi educativi-riabilitativi, attraverso l’arteterapia, nei confronti di soggetti affetti da disturbo dello spettro autistico.
Gli proposi, come Anonima Fumetti, un contratto per la realizzazione di un fumetto sulla sua esperienza. Così nacque “Blue Boy”, dove racconta, come protagonista, le sue giornate di operatore sociale incaricato di seguire i suoi ragazzi affetti da quei disturbi durante le loro attività creative.
Lavorammo per mesi, anche solo per scegliere, tra i suoi numerosi “casi”, i tre più adatti ad essere trasformati in disegni. E che disegni mi regalò! Un’ immersione in un oceano di blù dove i personaggi apparivano da specchi incantati (Il Catalogatore; Il Licantropo; L’Ossessionato dalla stereotipia grafica). Per ognuno di essi Alessandro trovava una soluzione, una cura, un’idea geniale. Il fumetto si agitava, spesso si divincolava, trovava alla fine forza estetica ma, soprattutto, morale. C’era in lui amore per i più sfortunati, compassione, sintonia con l’intimità dei suoi ragazzi, impresa difficoltosa, ma la sola in grado di spalancare nuovi universi relazionali, trasponibili spesso, anche nella sua vita. Solo qualche settimana fa, avevamo presenziato all’ennesima presentazione di “Blue Boy” a Baldissero e vi allego qualche foto. Avevamo nuovi progetti, nuove sfide per il futuro. E la parola “sfida” con Alessandro non era mai casuale, era un impegno formidabile dove la professionalità era solo la premessa per un percorso in mondi pericolosi, dove muoversi con attenzione, con coraggio. Con lui è stata portata via la chiave per accedervi e non la troverò mai più.
Se volete leggere il suo fumetto su questo giornale, andate al link:
[Articolo di Nico Vassallo – Anonima Fumetti]
Articolo su Repubblica: repubblica.it