18 Settembre 2018 17:09

Le radici e i fiori dello Steampunk: intervista con la scrittrice Elettra Dafne Infante

Elettra Dafne Infante, originaria di Roma ma “cittadina del mondo” per vocazione, è una persona di svariati talenti: ballerina jazz perfezionatasi in prestigiose scuole di New York, diplomata in cinema e tv all’Istituto Rossellini di Roma, lunga e onorata militanza tecnica in Rai, e poi scrittrice, sceneggiatrice e regista; come se non bastasse, una laurea con lode in Letteratura Anglo–Americana presso la facoltà di Lingue e Culture Straniere di Roma Tre.

La sua prima fatica letteraria, Tra Suono e Immagini”, trattava dello stretto legame tra musica e cinema, a cui è seguito in modo quasi consequenziale un contributo al Grande dizionario della Canzone Italiana Rizzoli, e soprattutto, nel 2012, “Vita da Cartoni” (libro +dvd). Fu proprio in occasione della presentazione di quest’ultimo, in una lontana edizione del festival dell’animazione RAI Cartoons on the Bay tenutasi a Rapallo e Santa Margherita Ligure, che lo scrivente ebbe il piacere di conoscere lei e il suo lavoro.

Per la recensione di “Vita da cartoni” vi rimando a quella redatta all’epoca, che è sempre valida, mentre in questa sede ci concentreremo sull’ultima fatica letteraria di Elettra Dafne, ovvero Vapori, ingranaggi e sogni meccanici: lo Steampunk e i Nuovi Vittoriani”. Un libro in cui la Londra di epoca vittoriana si staglia di prepotenza, quale palcoscenico ma anche come personaggio, tratteggiata come in un quadro di Turner a forti quanto nebbiose pennellate. Da questo scenario, man mano, nella narrazione appassionata e competente dell’Autrice, vediamo emergere tutto ciò che, quasi senza accorgercene, nel tempo abbiamo imparato ad associare indissolubilmente al termine “steampunk“.

Ecco la zona di Whitechapel, con i suoi antichi quartieri fatiscenti e popolosi, su cui planiamo radendo, come in una panoramica di Peter Jackson, con lo sguardo che si solleva dal brulicante strame umano, fino a rivolgere una disperata implorazione alla bianca silhouette di Santa Maria Matfelon, miraggio e monito per le anime erranti che dipanano le loro storie nel labirinto di quei vicoli…

Ed ecco là, Jack lo Squartatore e l’Uomo Elefante (alias Joseph Merrick), poli opposti di un’analoga tragedia umana, e dietro di loro allungarsi l’ombra allampanata del detective di Baker Street che si aggira in cerca di indizi, tra lerciume e abiezione che di colpo i lampioni illuminati dal progresso tecnologico sottraggono alle tenebre complici.

“E la luce sia! – disse un giorno l’Uomo – ritrovandosi con le proprie vergogne in piazza. Non a tutti piace il progresso, perché ci sottrae all’alibi di essere soltanto degli animali rivestiti dominati dall’istinto. Dopotutto, deridiamo i cosiddetti “freaks” per fugare il sospetto di esserlo a nostra volta, e molto spesso siamo grati agli Squartatori perché si prendono la briga di dar libero sfogo alla nostra ferocia, “ripulendo” la società come noi, sotto sotto, la intendiamo…

Quante suggestioni, quante immagini si susseguono senza tregua nelle pagine del (bel) saggio di Elettra Dafne, capace di coniugare armoniosamente la propria evidente passione per l’argomento con un’attendibilità bibliografica e argomentativa che si intuisce avere alla radice studi, verifiche sul campo e tanto, tanto lavoro di cesello.

E quale stupore, mentre sostiamo sui tetti della città fumosa, nello scorgere sotto di noi non il Tamigi, ma il Mississippi, il mitologico fiume “spina dorsale” degli States, anima fluente della Grande Nazione, su cui un ragazzino bianco con un grande cappello di paglia e un giovane uomo di colore stanno manovrando una zattera di fortuna tra alligatori e battelli a vapore carichi di individui poco raccomandabili!

Chi potrebbe immaginare che un genere all’apparenza tanto connotato, almeno a livello estetico, i cui alfieri si fanno chiamare “Nuovi Vittoriani” e immaginiamo vestiti come protagonisti del manga “Black Butler” di Yana Toboso – tutti redingote, cilindro, guanti bianchi, ghette e cipollotto, puntuali all’appuntamento con il tè delle cinque – abbia in realtà le proprie origini nella fantasia di un autentico campione della scrittura, non britannico ma made in USA, come il Maestro Mark Twain, cantore e protagonista per eccellenza dell’epopea del Padre delle Acque?

“Un americano alla corte di re Artù” diventa, nell’argomentata tesi di Elettra Dafne, la bussola di riferimento per comprendere e seguire i Nuovi Vittoriani nei loro viaggi nel tempo, tra tecnologie al tempo stesso antiquate e rivoluzionarie – come in fondo lo fu la Rivoluzione Industriale, quella che segnò effettivamente il passaggio dal Vecchio al Nuovo Mondo. In queste scorribande saremo accompagnati e guidati da coloro – Twain, Charles Dickens, H.G.Wells, Jules Verne, Arthur Conan Doyle, “Tusitala” Stevenson, George Melies, George Pal, Orson Welles, i loro eredi Martin Scorsese, Tim Burton, Steven Spielberg e Robert Zemeckis – i quali trovarono, coniugando scienza e immaginazione, tecnica e fantasia, sogno e realtà, la via per sfuggire all’appiattimento che il presente, immancabilmente, porta con sé, per vincere l’immobilismo che è metafora della morte, e per sfruttare le forze imperscrutabili della Natura (le avveniristiche sperimentazioni elettriche di Nikola Tesla), allo scopo di condurre chi ne ha il coraggio “dove nessun uomo è mai giunto prima”.

Ma a questo punto Elettra Dafne mi interromperebbe per puntualizzare che “lo Steampunk non è fantascienza!”.

In effetti, ciò che si prefigge nella sua opera, è anzitutto di chiarire questa premessa, tramite alcuni punti chiave:

  • Non un sottogenere della fantascienza, bensì una celebrazione della Londra vittoriana post rivoluzione industriale.
  • Niente alieni, dunque, ma il trionfo della meccanica e dell’elettronica.
  • Promiscuità di ricchezza e povertà, di stile perfetto e abiezione: simbolizzato dal tè delle 5 imposto proprio dalla regina Vittoria.
  • Punto di partenza: Londra Vittoriana e Rivoluzione Industriale
  • Poesia e distopia
  • Macchine a vapore
  • Incontro con personaggi storici
  • Uso della fisica quantistica pre teoria della relatività (1905)
  • Sguardo retro-futuristico, una riflessione più che un’anticipazione
  • Anacronismo
  • Realtà parallela
  • Ucronia / Distopia
  • Desiderio di conoscenza
  • Recupero di dati noti
  • Perdersi nella scoperta invece di dominarla

Nello steampunk ci si interroga su ciò che potrebbe (sarebbe potuto) avvenire in quel secolo, ponendosi la domanda fondamentale:

WHAT IF? WHAT MIGHT HAVE BEEN IF?

Per i suoi “seguaci” non si tratta di una moda, quanto piuttosto di un “sentire” (introdotto sul piano estetico dai cosplayers), un’affermazione del sé, di fronte ad una, perlomeno percepita, invasione mediatica, e alla minaccia della cancellazione dell’io – nello steampunk, il disagio del contemporaneo viene espresso tornando “fisicamente” indietro nel tempo, come con la “fantastica invenzione” di Wells, o in quella, altrettanto meravigliosa, di Hugo Cabret: e se quei valori non si fossero persi? L’ottica di base è  di una critica sempre costruttiva.

Un viaggio appassionante e appassionato, un giro turistico nel tempo e nello spazio in compagnia di una guida affascinante e partecipe, un coinvolgente pellegrinaggio tra luoghi di antiche e talvolta dimenticate memorie e divertenti incontri con amici (e nemici) tornati di recente a essere i protagonisti della nostra fantasia grazie alle numerose attualizzazioni televisive di personaggi celebri come Sherlock Holmes e i membri della Casa Regnante d’Inghilterra.

E poi, ci sono i “cartoni”.
Da Miyazaki a Otomo (autore di un film dal titolo “Steamboy”) fino all’immancabile Galaxy 999 di Matsumoto, passando per l’indimenticabile “Sherlock Holmes” targato Ghibli/Pagot.
E i “fumetti”: Alan Moore e Bonelli.
Ma a noi piace assolutamente ricordare “Quei temerari sulle macchine volanti”, con anche il nostro Alberto Sordi, e soprattutto l’indimenticabile parodia bonviana di “Marzolino Tarantola”.

Ce n’è per tutti, con l’invito ad aggiungerci del proprio.

Che altro pretendere, da un libro?

Per conoscere meglio questo argomento, anzi, questo mondo, non vi resta che leggere il libro di Elettra Dafne Infante, e magari andare a salutarla a Roma, martedì 25 settembre alla Libreria I Trapezisti di via Mantegazza 37, dove presenterà il libro, alle ore 18.

Nel frattempo, vi proponiamo una piccola intervista per conoscerla meglio.

GZ: Buongiorno e benvenuta, Elettra Dafne, per prima cosa parlaci un po’ di te.

ED: Considero scrivere molto di più che un mestiere, è parte di me; scrivo generi diversi, dai romanzi alle sceneggiature di film, ai saggi come Vita da Cartoni, Tra Suono e Immagini, e quest’ultima fatica; sono lavori in cui generalmente approfondisco i temi che mi hanno più emozionato e aiutato nella mia formazione professionale e umana; in ognuno dei miei libri, non inserisco soltanto informazioni documentate, ma ci sono proprio io, con le mie emozioni, non soltanto i fatti storici o le conseguenti costruzioni intellettuali. Ci sono la mia sincerità e la mia onestà nei confronti di chi legge, e tutta l’esperienza che ho maturato grazie ai miei studi e le mie attività. Credo che in fondo un libro serva anche a questo, a condividere. Spero davvero che tutte queste cose arrivino al lettore. Ho studiato tanto e mi sono impegnata altrettanto per riuscire a fare nella vita un lavoro che mi permettesse di unire questo mio bisogno di scrivere e documentare con la mia voglia di viaggiare e conoscere il mondo. Ho iniziato come ballerina studiando danza classica prima all’Accademia Nazionale di Roma e poi a New York, ma già avevo iniziato a scrivere e allora, piano piano, specializzandomi sempre più, sono diventata filmmaker, quindi aiuto regista, approdando alla regia e arrivando a lavorare in Rai. Spesso nei miei viaggi mi trovo ad attraversare da sola il Paese da una parte all’altra, a bordo di un treno o una corriera, arrivando un po’ ovunque, solo con uno zaino in spalla, la macchina fotografica e la telecamera: in sintesi, sono una viaggiatrice. Dotata di molto senso pratico, per fortuna, ma di fondo una gran sognatrice.

GZ: Come ti è venuta l’ispirazione per quest’ultimo libro?

ED: L’Ottocento è un secolo, un periodo storico che mi ha conquistata sin da bambina, sia per quanto riguarda l’evoluzione tecnica e le vicende, che per il movimento del Romanticismo, soprattutto in letteratura; considera che i racconti di cui parlo nel libro mi hanno affascinato dall’età di dieci-dodici anni! Ero piccolissima quando ho cominciato a leggere Edgar Allan Poe, “Il gatto nero”, e sono sempre stata affascinata dal mistero, dal soprannaturale ma anche dalla Storia in sé, scoprendo via via i vari Dickens, Conan Doyle, Stevenson e Scott, i quali sono entrati nella mia vita a quell’età senza mai più uscirne… Come non amare Sherlock Holmes, o i personaggi di Agatha Christie? E poi oggi ci sono i nuovi racconti su Sherlock Holmes, apocrifi rispetto al canone, scritti da autori contemporanei dopo che sono decaduti i diritti sul personaggio; questo è stato un ulteriore stimolo, un fenomeno editoriale che mi ha incuriosito e che ho voluto approfondire. Perché mai, a Nuovo Millennio inoltrato, si sente la necessità di ripercorrere certi vicoli bui, o, ancora meglio, di tornare indietro?

Nel 2012 al Teatro Eliseo di Roma, è andata in scena una rock opera gotica su Poe scritta da me, pertanto non si tratta di argomenti presi a prestito solo per la redazione di un saggio estemporaneo; come detto, ho studiato a New York e trascorro molto tempo a Londra (questa assiduità mi ha permesso di unire i due mondi), anzi la conosco anche meglio di Roma, e le cose di cui parlo le ho “investigate” in prima persona, dopo averle lette sui libri. Ho esplorato in lungo e in largo Whitechapel e le strade in cui ha operato Jack lo Squartatore; Spietalfields e il museo dell’ospedale che ospita la replica dello scheletro del celebre e sfortunato Uomo Elefante, il museo del vapore di Kew, l’incredibile museo della scienza dove ho potuto vedere l’automa originale di Maillardet, il lavoro di Watt e uno dei calcolatori di Babbage, lo Strand e Fleet Street (a tal proposito, ecco un piccolo “scoop”: sto scrivendo un fantasy in cui la capitale inglese gioca un ruolo fondamentale). Dal punto di vista storico poi, questo è un periodo incredibile, e io sono appassionata anche di fisica e di tutte quelle scoperte tecnologiche che hanno caratterizzato un secolo pieno di contraddizioni, sì, ma eccezionale sul piano della ricerca e dell’innovazione. Quindi, per sintetizzare, a ispirarmi, come sempre, sono state le atmosfere di cui mi nutro ogni giorno, senza dimenticare ovviamente tutte quelle recenti serie tv, bellissime, quali Victoria, Whitechapel, Sherlock e The Man in the High Castle. E poi, ancora, le Esposizioni Universali, le fiere, la macchina a vapore; come detto, amo molto il concetto stesso di “invenzione”, proprio come gli autori steampunk, e le notti spese a lavorare su un progetto, nel senso più pieno del termine, ovvero qualcosa che possa davvero migliorare la vita.

GZ: L’opera appare molto ben strutturata sul piano delle fonti e dei riferimenti bibliografici: quanto tempo e quanto lavoro preparatorio hai impiegato solo per le basi teoriche?

ED: Parecchio, almeno due anni da quando ho deciso di farne un libro, nonostante fossi già abbastanza preparata. Per dirti, mi sono recata anche a Edimburgo per capire meglio la vita di Conan Doyle. Città fantastica, ci sono tornata quest’anno per la terza volta, in occasione del Fringe Festival; inoltre, ho riletto con altri occhi racconti che già conoscevo, rivisto più volte le stesse puntate di Sherlock ed Elementary in parallelo con la lettura dei testi originali per poter scrivere i capitoli che trovi in appendice…

GZ: Proprio le descrizioni costituiscono un elemento altamente suggestivo del libro, come se avessi visitato non solo i luoghi ma fossi presente tu stessa agli eventi descritti: dimostri di possedere uno sguardo “cinematografico” che probabilmente hai affinato anche grazie alla tua professione…

ED: Questa è una delle cose più belle che potessi dirmi, grazie. Perché in realtà è proprio così: io amo quei vicoli, quelle strade e poi, ispirata anche dalla passione per il genere, mi soffermo a fantasticare tra quegli angoli e anfratti semi illuminati. E’ un’epoca meravigliosa, davvero, e in questo lo steampunk ci aiuta, perché – come dico sempre – lo steampunk è un mondo dove tutto è possibile, e, soprattutto, non giudicante. Pensa solo ai cosplayer steampunk e a quelli più legati al fumetto e all’animazione: è un modo per essere se stessi in totale libertà. Una declinazione diversa legata a quella letteratura con cui ci siamo sempre confrontati, dalle scuole medie in poi. Ed è per questo che alla fine ho voluto fare un confronto con lo Strutturalismo: perché lo steampunk, secondo me, è la voce di molte persone, una diversa reazione ai disagi e alle paure che proviamo in un oggi che, in parte, secondo alcuni, ha portato alla “morte della letteratura” a causa del dilagare di internet e di una realtà sempre più virtuale. In sintesi: si tratta di una reazione, positiva, alle medesime angosce. Per quanto riguarda lo “sguardo cinematografico”, forse è qualcosa che in effetti mi contraddistingue anche per via del mio lavoro, come hai detto tu; sono abituata ai set sia cinematografici che televisivi, come quelli utilizzati per i lavori che ho fatto con Piero Angela per conto della Rai ad esempio – siamo andati a filmare anche in Giappone – ma in realtà mi sono accorta che un po’ tutti i miei viaggi, anche solo per le vacanze, sono pensati immancabilmente come percorsi di documentazione e arricchimento … L’immaginario è quello usato in molti racconti steampunk e nel mistery in generale, quindi vicoli, vapori, ingranaggi… sono affascinata dalla robotica e dalla meccanica, ma anche dal thriller e dalla possibilità di esplorare realtà e mondi paralleli; l’architettura della Londra Vittoriana, il passaggio dai lumi a gas alla luce elettrica fino al genio “controverso” di Tesla, l’illusionismo, le stazioni fumose… Un film di Christopher Nolan, “The Prestige“, è l’esempio perfetto di queste suggestioni… però se mi chiedi tre film di riferimento, rispondo di getto “Profondo Rosso” e “The Outsiders”, e tutti i film del Brat Pack, Breakfast club, St. Elmo’s Fire, etc…. Tante cose, diverse e complementari!

GZ: Dopo il documentario “Vita da cartoni“, un’opera che è, appunto, diversa e complementare, dato che parli anche di anime e televisione, hai già in mente la meta del prossimo viaggio?

ED: Sì, sto già scrivendo una trilogia fantasy in cui Londra avrà un ruolo da assoluta protagonista.

GB: In un’eventuale nuova edizione, pensi di ampliare la parte dedicata all’animazione, magari inserendo anche produzioni europee, ad esempio “Avril et le monde truqué”, il lungometraggio animato di Franck Ekinci e Christian Desmares tratto dalle bd di Jacques Tardi?

ED: Assolutamente sì, i film di animazione sono belli da vedere, godibili nella visione e sempre con molte cose importanti da dire.

Grazie mille, a presto!

Una risposta a “Le radici e i fiori dello Steampunk: intervista con la scrittrice Elettra Dafne Infante”

  1. Grazie Eric, sei un giornalista dotato di talento ma anche di grande sensibilità. Hai colto ogni intenzione di questo libro e hai saputo restituirla con grande intensità. Una volta mi hai detto che la descrizione della Londra Vittoriana era suggestiva al punto che mentre leggevi sembrava di trovarsi lì, ti assicuro che anche la tua recensione porta con sè una grande atmosfera! Grazie mille di cuore anche per l’intervista alla fine, aiuta a far sapere a chi mi legge qualcosa in più su di me

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