Durante la Prima Guerra Mondiale, più di 100.000 persone vennero costrette a lasciare le proprie abitazioni e a trasferirsi nell’interno di quello che era all’epoca l’Impero austro-ungarico e anche verso il Regno d’Italia.
La popolazione censita nel 1910 ammontava a 393.111 abitanti, di cui 173.026 dovettero abbandonare il Trentino. Oltre 60.000 finirono arruolati nell’esercito asburgico e spediti a combattere l’impero russo sul fronte orientale: di questi, gli ultimi prigionieri di guerra fecero ritorno in patria solo negli anni Venti.
Circa 75.000 civili vennero invece evacuati e deportati in campi profughi austro-ungarici in Boemia, Moravia, in Alta e Bassa Austria e in Stiria, molto lontani da casa. I trentini di classe sociale più elevata trovarono alloggio in Nord Tirolo e nei dintorni di Salisburgo. Le manovre di sgombero della cosiddetta “zona nera” (Rovereto, Ala, Avio, Brentonico, Riva del Garda), teatro delle più cruente attività belliche, furono avviate concedendo appena due giorni di preavviso. I profughi vennero accolti nelle famigerate “città di legno” (tra le maggiori quelle di Braunau e Mitterndorf), composte da baracche-dormitorio e caratterizzate da precarie condizioni igienico-sanitarie e da un’alimentazione precaria e debilitante. Molti bambini non sopravvissero alla fame, al freddo e alle malattie: dei 1.931 trentini deceduti nel campo di Mitterndorf dal giugno 1915 al dicembre del 1918, 875 (pari al 45,7%) erano di età inferiore ai 10 anni.
Essere sospettati di irredentismo comportava l’internamento nel campo di Katzenau, che accolse però anche minori e disabili mentali.
Un numero rilevante di Trentini venne evacuato nel Regno d’Italia: dopo l’entrata in guerra del Regno il 24 maggio 1915 e dopo la tragica Strafexpedition, la “spedizione punitiva” del 1916 nota anche con il più “aulico” appellativo di “Offensiva di Primavera” (Frühjahrsoffensive) o anche “Offensiva del Sud Tirolo” (Südtiroloffensive) .
Oltre 30.000 profughi non furono semplici da gestire per le autorità italiane. La loro diaspora interessò tutto lo Stivale, Meridione e isole compresi, con conseguente smembramento di numerosi gruppi famigliari. 757 furono i fuorusciti, cittadini austro-ungarici di nazionalità italiana, che, per evitare persecuzioni politiche, lasciarono il Trentino per l’Italia, nei casi più fortunati riuscendo a inserirsi nelle comunità ospiti, anche grazie a sussidi governativi. In questo modo l’esodo contribuì a rinforzare il legame con la nuova patria italiana.
I profughi furono però anche “osservati speciali” da parte delle autorità governative italiane: i parenti di amministratori, di gendarmi e di soldati asburgici erano sottoposti a particolari controlli in quanto sospettati di sentimenti e propaganda filo-austriaca. Possedere anche solo un cognome austriaco poteva costituire un pretesto per subire una denuncia e il conseguente internamento (soprattutto nel Sud del Regno).
L’assistenza ai profughi (ieri come oggi) fu in gran parte affidata alle amministrazioni locali: nelle città del centro-nord i Trentini riuscirono a trovare maggiori possibilità di inserimento e occupazione, mentre nelle regioni meridionali soprattutto donne e bambini incontrarono maggiori disagi e la mortalità fu elevata, anche per l’imperversare di malattie.
La fine dell’internamento dei trentini in Italia fu dichiarata e comunicata, con una Circolare del Ministero dell’Interno, il 19 gennaio 1919, e l’effettivo rimpatrio degli internati trentini avvenne nell’agosto dello stesso anno.
A questa drammatica (e spesso dimenticata) odissea è dedicato il saggio in due volumi “Gli spostati. Profughi, Flüchtlinge, Uprchlíci 1914-1919″, edito nel 2015 a cura del Laboratorio di storia di Rovereto con il contributo della Presidenza del Consiglio provinciale, e risultato della ricerca di numerosi collaboratori che hanno permesso di recuperare i frammenti di memoria di quell’esperienza sparsi da un capo all’altro dell’Europa. Il Laboratorio di storia di Rovereto ha riordinato questi tasselli la cui valenza possiede un valore pubblico e collettivo; l’architetto Giovanni Marzari e il grafico Giancarlo Stefanati hanno infine trasformato il racconto in una suggestiva mostra dalla quale proviene la maggior parte delle immagini inserite in questa sede .
Fra tutti gli oggetti che accompagnarono i trentini nei loro viaggi di andata e ritorno verso e dall’esilio, uno si mostra più degli altri: il baule.
Quanti poterono averlo con sé vi sistemarono i propri scarsi beni, conservandolo come un tesoro nel viaggio sui treni e durante la permanenza in terra straniera, per poi ricondurlo in patria, a guerra conclusa, tornando nei paesi natali ormai ridotti a “cumuli di sassi e calce”, e conservandolo infine come cimelio e testimonianza concreta quell’esperienza.
Quel baule, quei bauli, proprio per questo, assurgono oggi a simbolo dei nostri profughi, impronte del loro essere e del loro andare; così come gli zainetti che attraversano il mare assieme a chi li porta sono il simbolo dei migranti di oggi.
Dentro furono conservate, e oggi possiamo ritrovare, le altre tracce degli “spostati” di quella prima guerra mondiale: numerose, indelebili, forti, nemiche di retoriche e strumentalizzazioni. Sono, esse, ancora oggetti d’uso quotidiano, ma soprattutto fotografie e scritture, grazie alle quali quel “popolo scomparso” tentò di darsi ragione di un evento irragionevole che lo trascinava via dalle proprie terre e case e lo mescolava ad altri milioni di fuggiaschi da altre terre, ad altri popoli, ad altre culture, altre fedi, altre lingue, altri palati.
Se ci pensiamo bene: quante volte, abbandonati in solaio o in cantina, ci è capitato di imbatterci in uno di questi “forzieri di storie”, che attendevano pazientemente di schiudersi per costituire un ponte tra noi e quel passato, così lontano e così vicino al tempo stesso? I più fortunati hanno avuto ancora l’opportunità di ascoltare i racconti dalla viva voce di chi aveva vissuto tali vicende; per tutti gli altri c’è stato il benemerito lavoro di studiosi, ricercatori ed appassionati che ha potuto restituire, tra le altre, anche la storia che parlava di- e, soprattutto, “a” loro.
“Allora come oggi, uomini e donne e bambini trascinati dal flusso circolare di quella Storia che lì ebbe inizio e che non ha mai smesso di generare, Madre-Matrigna, guerre, distruzioni e lutti; esili, fughe e migrazioni … Frammenti di memoria, segni di esistenza e resistenza, recuperati pazientemente e in ogni dove – dall’Italia all’Austria alla Boemia, in archivi pubblici e familiari – dalle mani di decine e decine di collaboratori e ricercatori; ricomposti e restituiti sotto forma di grande racconto visivo alla Comunità che li ha prima prodotti e poi custoditi. Mostra e libro ad ammonire, anche, che fra gli “spostati” di ieri e quelli di oggi c’è un filo di ricordo e di dolore che li accomuna.”
L’esposizione è stata in origine realizzata con la collaborazione del Comune di Rovereto, della Fondazione Museo Civico di Rovereto e del Museo Storico Italiano della Guerra, e con il contributo della Provincia autonoma di Trento e del Progetto Centenario Grande Guerra, arricchendosi poi della collaborazione con la Fondazione Museo storico del Trentino, che ha partecipato alla realizzazione del nuovo allestimento e che l’ha ospitata nello spazio espositivo de Le Gallerie di Piedicastello, a Trento.

Trento, Piazza del Duomo (con il suo Nettuno), il quartiere di Piedicastello dove il tempo oggi pare essersi fermato… sono i luoghi in cui la piccola Mila, protagonista del corto animato di Cinzia Angelini, anni dopo vivrà un altro dramma, quello dei bombardamenti alleati del ’43 su Trento. Uomini, donne e bambini ritratti nelle foto, e raccontati nei documenti della mostra, potrebbero essere i suoi nonni, i suoi cugini, amici di famiglia o semplici concittadini incontrati per strada da sola o in compagnia dei genitori: destini e storie che attendevano di essere raccontate, per rivelarsi universali e vicine a noi più di quanto noi stessi potremmo (e vorremmo) aspettarci.
Guardando negli occhi uno a caso tra i giovanissimi soggetti di queste fotografie, immaginandolo cresciuto, invecchiato e alle prese con l’inesorabile oblìo del tempo e delle nuove generazioni, tornano in mente le parole del vate di Pavana nella sua bellissima “Van Loon“:
“… sembra però che non sia mai entrato nella storia,
ma sono cose che si sanno sempre dopo,
d’altra parte nessuno ha mai chiesto di scegliere
neanche all’aquila o al topo;
poi un certo giorno timbra tutto un avvenire
od una guerra spacca come una sassata,
ma ho visto a volte che anche un topo sa ruggire
ed anche un’ aquila precipitata…”
La sorte di questi esuli è a conti fatti la sorte di chiunque si ritrovi a dover lasciare la propria casa, i propri cari, la propria vita, per affrontare un “viaggio inaspettato” che nella mente e nel cuore può sembrare transoceanico anche se non si è lasciata la terraferma…
“… e sun chi affacciòu
a sta bàule da mainà
e sun che a mia
trèi camixe de velluu
duì cuverte u mandurlìn
e ‘n caima de legnu duu
e ‘nte ‘na beretta neigra
a teu fotu da fantin-a
pe puèi baxa acùn Zena
‘nscià teu bucca in naftalin-a” (Da a me riva, Fabrizio De André)
Gli spostati: profughi, Flüchtlinge, Uprchlici, 1914-1919
Luogo: Trento – Le Gallerie
Date: 24/03/2017 – 03/12/2017 (conclusa)