Proseguendo nel nostro ciclo di interviste di approfondimento sulla “MILA Family“; ovvero il team di professionisti dietro alla lavorazione dell’ormai assai noto, e atteso, cortometraggio in CG diretto da Cinzia Angelini, abbiamo il piacere di ospitare questa volta una delle autentiche “punte di diamante” di questa poliedrica produzione, ovvero Francesco Giroldini. Ennesima eccellenza “fuggita” dal nostro ingrato Belpaese, Francesco è, tra le tante altre cose, il talentuoso Lighting Supervisor del progetto “MILA”, ma soprattutto un artista a tutto tondo che non si riconosce in una singola definizione e, pur dedicandosi con passione alla sua attuale specializzazione “tecnica”, non rinuncia a una visione “autoriale” del proprio lavoro; avremo modo di conoscerne le idee, l’arte e il percorso professionale attraverso una interessante ed articolata “chiacchierata” di cui oggi vi proponiamo la prima parte:
Sin da bambino ho sempre avuto la passione per il disegno al punto da guadagnarmi il soprannome di “talebano”(!) dalla bidella perché ogni giorno le lasciavo il banco pieno di disegni e scarabocchi da pulire. Alle superiori scelsi l’ITSOS di Milano, semplicemente perche volevo evitare a tutti i costi di studiare latino, ma per pura coincidenza feci una delle scelte migliori della mia vita: all’ITSOS fui introdotto al mondo della grafica, della fotografia e del cinema. Una delle memorie più vivide dei miei anni all’ITSOS riguarda una delle mie classi di cinema, quando il professore ci mostrò un film di Roman Polanski, e mentre noi eravamo completamente immersi nel film, lui, al buio, e senza che nessuno se ne accorgesse, tracciò sulla lavagna per oltre un’ora una mappa della struttura del film. Non capita spesso di incontrare professori tanto appassionati, e penso che il suo modo di insegnare e far amare il cinema agli studenti abbia avuto una grande influenza su di me.
Allo stesso tempo fui introdotto al mondo della Computer Graphic, grazie al mio interesse, o forse sarebbe meglio dire ”dipendenza” dai videogiochi, sui quali riversai buona parte della mia gioventu’. Due di questi che in particolare ebbero un effetto profondo su di me furono le serie di “Final Fantasy“ e “Metal Gear solid”. Entrambe mi lasciarono a bocca aperta per via della qualita delle loro storie, la complessità della loro resa cinematografica, e in particolare l’efficacia grafica delle loro sequenze animate. Fu cosi che decisi di imbarcarmi da autodidatta nello studio della CG . Senza neanche possedere un computer, acquistai un paio di guide su programmi quali Lightwave, Maya e 3Dsmax e incominciai a leggerle ogni giorno durante il tragitto per andare a scuola. Alle fine delle superiori avevo già completato un corto animato per metà in Flash e per metà in Maya nonché accumulato un certo grado di esperienza lavorativa con un paio di progetti multimediali da libero professionista.
Dopo il diploma, trascorsi un anno in Italia a lavorare presso un paio di piccoli studi televisivi ma una volta ricevuta la lettera di ammissione alla Ringling College of Art and Design, presentai le dimissioni e mi trasferii negli USA (dove risiedo tuttora) per continuare i miei studi. Dopo tre anni di fatiche, e molte notti insonni, ottenni un impiego in Pixar per uno stage sull’illuminazione, dove venni reso edotto sull’arte della cinematografia digitale. Una volta tornato a scuola per il mio ultimo anno di studi realizzai un corto chiamato “The Monk and The Monkey” insiema ad un amico, Brendan Carroll, e poi, una volta laureato, fui assunto dalla Dreamworks Animation di San Francisco, in qualità di Lighting e Compositing Artist. Dopo tre anni in California, e la produzione di un altro corto animato, “Animation Tag Attack“, accettai infine un’ offerta di Blue Sky Studios, a New York, città in cui vivo ormai da quasi tre anni.
(Animation Tag Attack; Francesco ha diretto il segmento 11: )
Studiare arte e cinematografia all’estero: i pro e contro di una scelta.
L’educazione negli Stati Uniti è un’esperienza fantastica, e la consiglio vivamente a chiunque se lo possa permettere dal punto di vista finanziario. Il vantaggio più grande di studiare in America, secondo me, non sta semplicemente nella qualità dell’educazione, ma soprattutto nell’opportunità per uno studente straniero di rimanere qui a lavorare dopo essersi laureato. Personalmente, la ragione per cui scelsi di studiare negli Stati Uniti, piuttosto che in Francia o Inghilterra, furono la grande scelta e varietà delle opportunità lavorative nel campo dell’intrattenimento disponibili in questo contesto, e l’altissimo livello della formazione che si riscontrava di conseguenza nei lavori degli studenti delle scuole di animazione Americane.
La maggior parte degli studi di animazione più grandi al mondo (Disney, Pixar, Dreamworks, Blue Sky, ILM, Laika, e Reel FX) hanno sede qui negli Stati Uniti e tendono ad assumere artisti che non necessitano di complicati permessi di soggiorno per poter iniziare a lavorare. Fortunatamente, il permesso di soggiorno da studente permette a un neo laureato straniero di lavorare in America per un intero anno dopo aver conseguito la laurea, senza dover coinvolgere il governo o il dipartimento dell’immigrazione. Questa opportunità permette a un artista estero di competere alla pari con artisti Americani, fungendo anche da “ponte”, successivamente, tra un permesso di soggiorno da studente e uno lavorativo.
Onestamente, quando decisi di studiare Computer Animation non avevo idea che ci fosse una differenza tanto profonda tra film animati del tipo di “Toy Story” e quelli live action con personaggi animati, genere “Avatar“. L’unica cosa che mi importava, era imparare tutti gli aspetti tecnici ed artistici su come si creano animazioni al computer, per poter dare vita alle mie storie in autonomia, senza il bisogno di dover assumere un esercito di attori e assistenti di produzione. Una volta arrivato al Ringling College of Art and Design fui molto sorpreso quando realizzai di essere circondato da gente quasi “ossessionata” dai film di animazione con protagonisti animali parlanti, invece che da appassionati di cinema tradizionale. Una volta superato il “trauma” iniziale, impiegai un paio d’anni prima di trovare la mia voce dal punto di vista artistico e stilistico. Dopo l’esperienza in Pixar, decisi che specializzarmi nel campo della cinematografia fosse la scelta più saggia, e mi dedicai pertanto alla produzione di un corto in animazione che potesse dimostrare la mia abilita nel campo. Il risultato di questa scelta fu il già citato “The Monk and The Monkey”, realizzato con Brendan Carroll.
Per questa ragione, tendo ad avere un grande numero di modelli professionali di riferimento, sia nel mondo del cinema tradizionale che in quello dell’animazione. I nomi che mi vengono in mente appartengono a registi del calibro di Stanley Kubrick, Steven Spielberg, Christopher Nolan, David Fincher, Paolo Sorrentino, Pete Docter, Brad Bird e Hayao Miyazaki, ma anche eccellenti direttori di fotografia come Roger Deakins, Hoyte van Hoytema, Janusz Kamiński, Jeff Cronenweth, e Robert Elswit. Dedico di norma alcune ore a studiare le loro tecniche di illuminazione, o pittoriche, e le loro scelte narrative. Alcuni degli illustratori che hanno un influenza importante sul mio stile sono Ken Pak, Dice Tsutsumi, Tim Lamb, Guillermo Real, e Kevin Dart.
Dalla tua esperienza e opinione, pensi che il progetto di Women in Animation di raggiungere la parità di diritti professionali uomo/donna entro il 2025 sia fattibile? Il mondo dell’animazione è effettivamente maschilista come molti lo dipingono oppure le cose stanno diversamente?
La mia esperienza personale conferma lo scenario suggerito dalle statistiche che appaiono sul sito di Women In Animation, ovvero che la maggior parte degli studenti nelle scuole di animazione sono sì di sesso femminile ma una volta laureate la maggior parte di queste potenziali artiste scompaiono dai radar e l’ambiente lavorativo si caratterizza fortemente “al maschile”. In generale, siamo ancora lontani dall’obbiettivo WIA dei 50/50, ma sono ottimista che la situazione possa solo migliorare considerando che fino a pochi anni fa era impensabile anche solo provare a proporre un film animato con una ragazza come protagonista, mentre da qualche anno sembra che le eroine siano quasi diventate una prassi, in cinema come in tv. Alcuni dipartimenti, come le Risorse Umane, sono tendenzialmente composti da donne, ma ci sono anche sezioni più “artistiche” in cui la percentuale delle donne non è irrilevante; di contro, altri dipartimenti, tradizionalmente considerati “tecnici” (Rigging, Effetti Speciali, Simulazione Di Tessuti, Ricerca e Sviluppo) risultano pressoché “dominati” dagli uomini. Io penso di essere fortunato perché tutti gli studios dove ho lavorato sino ad ora qui in America si sono dimostrati consapevoli dell’importanza di mantenere una sorta di equilibrio tra i due sessi, mentre realtà produttive più piccole sembrano avere maggiori difficolta a riconoscere, e ad affrontare, questo tipo di discriminazione.
La dicotomia 2D/3D è effettiva, secondo te, oppure costituisce un pretesto per non investire su un tipo di animazione più autoriale?
La separazione tradizionale tra animazione tradizionale “bidimensionale” e quella cosiddetta “in 3D” non è più evidente come lo era anni fa, e al giorno d’oggi è considerato uno standard avere produzioni animate che incorporano elementi di animazione tradizionale, 3D e stop-motion tutti nella stessa pellicola. Il progresso tecnologico finalmente permette la creazione di film digitali che sembrano animati in maniera tradizionale (per esempio “Snoopy & Friends“, “Paperman“, “Feast”) e viceversa (“Klaus”), in un mix di tecniche di animazione tradizionale, stop-motion e 3D (“Coraline”, “Boxtrolls”, “Il Piccolo Principe“). In generale credo che la tecnologia dietro i film di animazione sia progredita più velocemente dell’abilità del pubblico di comprenderne e apprezzarne il processo, al punto che la maggior parte di esso crede ancora che tutto venga o disegnato a mano o generato al computer senza il bisogno di alcuna regia o direzione artistica. Con l’avvento della Virtual Reality, sono sicuro che arriveranno anche nuovi metodi di animazione, ibridi tra 2D, 3D e stop motion, ma ho i miei dubbi che il pubblico finalmente comincerà a comprendere il carico di tempo, fatica e competenza che sono necessari per realizzare questo tipo di di lavoro.
D’altra parte, per tutti noi che ci stiamo dentro, è di certo assai eccitante vivere e sperimentare in tempo reale i vari mutamenti “sismici” che avvertiamo prepararsi sotto i nostri piedi.
Progetti tuoi attualmente in cantiere?
Al momento lavoro a piccole illustrazioni, a un paio di fumetti, e forse a un corto indipendente ma senza scadenze precise visto che tra il lavoro in Blue Sky Studios e il ruolo da supervisore dell’Illuminazione su Mila, non mi rimane molto tempo libero. Di solito, una volta uscito da lavoro, mi trovo a mio agio a disegnare e pitturare a mano libera, piuttosto che stare ancora di fronte allo schermo di un computer!
[1- continua]