Perché fare delle interviste “senza capo ne’ coda”? Bah, son fatto così. La curiosità mi spinge a cercare risposte. Le domande arrivano dopo, in fondo, e non sono “in ordine”. Sono come vengono e vengono stimolate dalle risposte, o dal tempo che fa, o da un neurone che vaga. Per cui non cercare un inizio e una fine, nelle mie interviste. Non ci sono ne’ l’uno ne’ l’altra. E come se stessi facendo jazz, o musica classica indiana: mi “aggancio” e scarico in quel momento ciò che muove qualcosa nel mio cervello. Improvvisazione non improvvisata…
Ciò detto, oggi puoi leggere le risposte di Luca Boschi alle mie domande, o, se preferisci, ai miei stimoli. Come far dei buchini in un contenitore e vedere cosa vien fuori. Luca Boschi è un rappresentante significativo del comicdom italiano (e non solo) e la sua scheda su Wikipedia (click qui) è necessariamente sintetica, ma sufficiente per rendersi conto che di cose ne ha viste e fatte in abbondanza, e non in ruoli marginali. Eppure, di solito, è lui che intervista, o presenta, gli altri. Per cui ho deciso che stavolta doveva toccare a “Lucaboschi”, unaparolasola. Questa è la prima parte. Magari ce ne saranno altre.
Le regole delle mie futili “interviste senza capo ne’ coda” , sono queste: – Non hanno un inizio, non hanno una fine. – Si può, ovviamente, rispondere “no comment” alle domande ( o “non lo so”, o “ma che razza di domanda è questa!?”) che possano comportare risposte vaghe, false, imbarazzanti, e che verranno pubblicate così, anche perché, in futuro, sarà possibile inserire un aggiornamento con una eventuale risposta al posto del “no comment” precedente, se l’intervistato avrà cambiato idea. – Man mano, nel tempo, forse arriveranno altre domande. Verranno pubblicate così come sono, a puntate diciamo. Poi, magari, ne farò altre e così via finché non ci si stufa.
Si parte!
Intervista, senza capo ne’ coda, a Luca Boschi – 01
1- Sei nel comicdom da tanti decenni. Ti ci guadagni da vivere, col fumetto? Come? E quando hai cominciato a lavorarci sul serio?
Da sempre questo tipo di attività sono quelle mie professionali. Fumetto, disegni animati, soprattutto cura redazionale di libri e riviste e così via. Possiamo dire che la mia attività professionale sia cominciata nel 1978, tarda estate. Naturalmente non lo sapevo ancora, quando ho spedito al direttore del mensile “Il Mago“, Beppi Zancan, con il quale ci eravamo già scritti, una storia messa insieme durante una sorta di convalescenza. La costrizione forzata in casa era causata dalla brusca interruzione della vacanza di quell’anno, dove tutti avevano litigato con tutti; eravamo una ventina di ragazzi a spasso per l’Italia Meridionale e ogni tanto qualcuno se ne andava per insofferenza di qualcun altro. In una delle prime tappe, a Paestum, ci giunse la notizia della morte di Paolo VI (era il 6 agosto).
Insomma, al ritorno da questa triste esperienza, dovendo stare in casa ho realizzato questa decina di tavole e l’ho spedita a Milano in Mondadori. Zancan mi rispose con una lettera di elogi invitandomi ad andare avanti. Non credeva che avessi scritto io i testi; non so cosa ci trovasse, a me sembravano poco significativi, ma quella era l’epoca del “fumetto a forma di elefante” o di “fiammella” teorizzato da Jean Giraud e probabilmente gli sembravano in linea.
Quando avevo già quasi terminato la terza storia, mi disse che già intendeva pubblicare la prima. Intanto, il mio stile grafico si era leggermente evoluto e lo stile della prima storia (tra l’altro disegnata in un formato sbagliato) mi repelleva un po’. All’epoca ci si scriveva con delle lettere; per quanto gli invii avessero ritmi serrati, le lettere richiedevano comunque dei giorni prima di giungere a destinazione. Così, quando arrivò a Zancan la mia dove scrivevo, in sostanza: “Non pubblichi quella storia mal disegnata, in una settimana posso inviagliene una versione disegnata meglio”, lui aveva già mandato in stampa la prima versione.
Quando uscì sul “Mago” era già l’inizio del 1979, comperai quel numero del “Mago” e prima di mostrarlo in giro aspettai qualche giorno, perché il risultato non mi soddisfaceva affatto. Le altre due storie seguirono nei due mesi successivi, Zancan le pubblicò a raffica, poi mi invitò in redazione, dove mi confrontai con il suo “Cardinale Richelieu”, tal Santi Urso. Frequentavo ancora l’università, mi sarei laureato l’anno seguente (già lavoravo in contemporanea, comunque, sempre nei media, per così dire, come presentatore, programmista e dj) e mi stupii abbastanza di quanto mi pagarono per quelle tavole: la stessa cifra che davano per Milady a Magnus e poi per Sam Pezzo a Giardino, che non era ancora arrivato alla rivista.
Il secondo stupore mi colse quando mi rispedirono a domicilio le tavole pubblicate. Ingenuamente pensavo di aver venduto anche quelle insieme ai diritti di pubblicazione, per quella cifra. Sapevo che a Rebuffi, Cavazzano e ad altri Maestri non venivano restituite. Al “Mago”, invece, erano più corretti che in altri settori della Mondadori, dove le tavole restavano archiviate da qualche parte per l’eternità. Idem alla Alpe, alla Universo, alla Dardo, alla Bianconi, al “Corriere dei Piccoli“…
Poi, Zancan mi suggerì di andare a lavorare per “Topolino”, mi fece anche fare un giro turistico per le redazioni, tutte sistemate in open space (era la tarda primavera 1979). Alla mensa della Mondadori conobbi Oreste del Buono, che in quel periodo lavorava a “Segretissimo“, mentre con Karel Thole (allora copertinista di “Urania”) feci un viaggio con un bus navetta (color amaranto) che da Segrate, sede della Mondadori, portava in Piazza Duomo.
Da allora, fatti salvi gli impegni universitari, non ho più smesso di occuparmi di fumetti, sotto varie forme, sempre più come operatore e meno come autore.
2- Il fumetto è una tua passione d’infanzia?
Sì, come per tutti. Ho decine di albi scritti e disegnati da me dagli 8 anni in su. Varie cose sono andate perse, ma (senza esagerare) ho almeno trenta albi a fumetti, dal formato comic book al minilibro, fatti allora. Oltre a due libri rilegati (un terzo se lo perse con nonchalance una mia compagna di scuola alla quale ebbi la leggerezza di imprestarlo affinché lo leggesse).
Il primo fumetto che disegnai in assoluto era semiricopiato da una storiella di Giancarlo Tonna pubblicata dal tascabile “Walter”, edito da Fasani.
Poi, un mese dopo ne feci uno di sana pianta durante una vacanza al mare, disegnato sopra un “patino” su fogli a quadretti con un una penna biro la cui sfera si inceppava ogni tanto, per i granelli di sabbia. Il personaggio era Merlock Volpes. La storia era originale, ma il nome era copiato da una figurina da ritagliare disegnata da Francesco Privitera (Frank) per la seconda di copertina di un albo pubblicato dalle Edizioni Flaminia di Gabriele Gioggi. Ma quello era un essere umano, il mio era una volpe antropomorfa, per tener fede al nome (mentre Frank probabilmente alludeva alla furbizia deduttiva degna di una volpe).
Se devo segnare le tappe di questo “apprendimento fumettistico”, posso dire che a tre anni e mezzo avevo già imparato a leggere. Ciononostante mi facevo leggere dei fumetti per controllare se quel che leggevo io corrispondeva a quello che atri ricavavano da quelle formichine nerastre nelle nuvolette.
Ricordo benissimo i primi “giornalini” che mi furono regalati, quando avevo due anni. Alcuni li ho ancora, altri li ho recuperati in seguito dopo averli distrutti. Poiché sono datati in copertina, non posso sbagliare i periodi, carta canta. Come sai, ho una memoria molto profonda: una caratteristica che pensavo comune a tutti, ma che tu e altri amici mi avete fatto capire che invece non è così. E quindi ricordo anche tutte le storie, la sequenza delle avvenute conoscenze di personaggi e autori, le mie preferenze grafiche, vari aneddoti (insignificanti) legati a quei primi albi (i luoghi in cui li ho sfogliati, con chi ero e così via).
Dopo il “Corriere dei Piccoli”, il primo tascabile che ho posseduto, regalatomi una sera da mio zio Loris, è un numero del “Monello” con Superbone in copertina. Nel suo sommario mi colpirono molto Pedrito el Drito di Antonio Terenghi e Accio, il “Franti” della serie “Cuoricino & C.”, disegnata da Marino Guarguaglini. Al terzo posto nel gradimento, la serie disegnata da Gino Gavioli “Cappuccino, Cappuccetto e l’Orso”, con l’Orso in veste di sfortunato imbianchino.
La conoscenza di “Topolino” a fumetti venne un mese dopo, ma arrivò terzo, dopo “Corrierino” e “Monello”. Lo conoscevo già per aver visto dei “cartoni animati” in bianco e nero in televisione, alla TV dei Ragazzi, soprattutto la domenica pomeriggio, in onda prima del Perry Como Show. In casa non c’era ancora la televisione e questi (pochissimi) shorts dovevo vederli rapinosamente in case altrui o in un bar, dove una volta (una sola volta!) finalmente mi hanno accompagnato. In quella occasione ho visto Topolino e la schiacciasassi, unico cortometraggio con Tip e Tap. Per rivederlo una seconda volta ho aspettato mezzo secolo, pur avendolo citato in qualche articolo.
Molto potrei dire sui cartoons trasmessi allora, spesso replicati e ri-replicati.
Nel mio primo fascicolo di “Topolino”, il n. 208 del 10 aprile 1959, il Topo era disegnato da Pier Lorenzo De Vita (prima puntata di Topolino e la stella dello sceriffo, storia della quale sono riuscito a trovare una tavola originale, che da qualche decennio è appesa in una stanza della mia casa). Così, per me il solo e vero Topolino, per anni, è rimasto quello di Pier Lorenzo De Vita, gli altri mi sembravano dei bootleg infedeli alla linea.
3- Ma non ci sono cose che ti piacciono più dei fumetti?
Sì, molte. Nell’ambito degli oggetti, della circolazione della cultura e così via. Se devo fare una classifica, al primo posto metto le persone intelligenti. Avere a che fare con persone intelligenti, che hanno delle cose da insegnarti, è quel che riempie di significato le giornate.
Più passa il tempo e più mi accorgo di quanto queste persone siano rare. Specialmente al di fuori dall’ambito degli intellettuali (cosiddetti) trovo che ci siano un’ignoranza e una ottusità imbarazzanti. Questo è il mio grande cruccio: la presenza pochi interlocutori interessanti intellettualmente. Potrei parlare a lungo di questo; purtroppo ho dovuto convincermi che la classe politica, vituperatissima, è in effetti lo specchio della società italiana. Non una sua perversa caricatura come per anni mi sono sinceramente illuso che fosse.
4- Chi è stato il primo personaggio (umano) del mondo del fumetto che hai incontrato in vita tua?
Guillermo Mordillo, ospite a un remotissimo Salone di Lucca, quando ancora si teneva nel “Pallone” di Piazza Napoleone, vicino a Piazza del Giglio. Era davanti a una mostra (tra gli stand del Pallone) di quasi tutte tavole originali, provenienti in gran parte dalle collezioni dello Studio Bierrecì, tavole che penso adesso facciano parte della collezione di U Giancu. Potrebbe essere stato il 1972. Di Mordillo c’era solo una stampa, spiegò a me e a un altro visitatore che non faceva circolare i suoi originali, che teneva al sicuro in una cassaforte. Ma lì davanti a lui e a lato della sua stampa c’era un meraviglioso Pogo originale di Walt Kelly e… c’era anche la prima tavola di Carl Barks che abbia mai visto, la famosa autoconclusiva di Zio Paperone sotto la neve, vestito con un cappotto imbottito di carta moneta. Una tavola oggetto di molte peripezie, con la quale mi sono incontrato di nuovo almeno altre tre volte durante la mia cosiddetta “vita professionale”.
5- Come sai, ho dovuto anch’io, come moltissimi, affrontare l’inferno totale del DDM (Disturbo Depressivo Maggiore), superato con le cure, che, peraltro, mi accompagneranno fino alla tomba, con tutta probabilità, visto che non voglio ulteriormente affliggere gli altri (e me stesso) con la mia malattia mentale. Poiché sarà più facile che la gente riconosca i propri sintomi e si curi, se si supera il relativo tabù e se ne parla tranquillamente, ti chiedo: tu che frequenti il comicdom da tempo immemore, e che ne conosci gran parte della storia e delle persone, sai dirmi quanti malati mentali ci sono, tra chi si occupa di fumetto e dintorni? Come il loro stato mentale ha influenzato il loro lavoro (oltre che i rapporti umani)?
Ho sempre pensato, anche messo sull’avviso da una vecchia intervista rilasciata da Stephen King, che scrivere storie abbia una forte funzione terapeutica, liberatoria. Di recente ho scoperto che esprimere dei concetti organizzandoli in un discorso, ricercando la sintesi, aiuta molto anche al di là del prodotto scritto che può uscirne fuori. Per esempio, può influenzare l’organizzazione della schedula della giornata. Sicuramente aiuta la comunicazione verbale, e di per sé fa diminuire le nevrosi da incomprensione, sempre ammesso che questo percorso di miglioramento sia intrapreso da tutti gli interlocutori e non solo da uno. Mi spiego? Se uno fa uso di una igiene organizzativa mentale e gli altri no, questo poveraccio subisce le defezioni del pensiero altrui e si stressa anche più che se fosse rimasto inconsapevole delle proprie “esternazioni incontrollate”.
Alcune nevrosi, quelle che si definiscono sbrigativamente “paranoie”, possono essere assai utili per costruire delle trame da fumetto (e non solo). Intendo che chi ha delle fobie, teme complotti o fa congetture sugli altri (e vive male, diciamolo, e peggio fa stare chi gli è vicino) può essere facilitato nello scrivere i passaggi di un soggetto, facendo leva sul medesimo processo “paranoico” di produzione di accadimenti immaginati.
6- La tua competenza nel settore Disney è arcinota. Come mai non sei mai stato direttore di Topolino?
Prima di tutto, qualsiasi incarico di direttore di giornale non mi si confà molto. Si tratta di un lavoro di grande diplomazia, consiste nel tenere i contatti con autori e con interlocutori vari che talvolta… non ti (mi) assomigliano, necessita una presenza puntuale in ufficio a orari stabiliti. Certo, queste caratteristiche operative sono comuni a tantissimi altri lavori, ma per quanto mi riguarda sono lontane dallo spirito creativo, artistico, al quale faccio riferimento come free lance. Ho il massimo rispetto e la massima ammirazione per chi svolge bene il lavoro di direttore di un periodico a fumetti. In passato sono stato direttore responsabile di qualcosa, ma direttore editoriale molto più spesso. Degli albi della DC Comics della Comic Art, per esempio, oltre venti anni fa, poi della versione italiana dei Simpson, per cinque anni, dal 2002. Diciamo che il “Mondo Disney” è quello per cui sono più noto perché ho potuto lavorare molto con e su questi personaggi e autori.
Verso la fine del 1990, quando ancora lavoravo a Granata Press, la casa editrice della quale ero stato co-fondatore con Luigi Bernardi e Roberto Ghiddi, avevo ricevuto delle proposte di collaborare continuativamente alla redazione di “Topolino”. Ero stato convocato da Elisa Penna. Ma era anche il periodo nel quale me ne stavo andando da Milano, per ragioni famigliari. Se questi contatti fossero giunti anche solo un semestre prima, chissà. Ripensandoci oggi, credo che tutto sommato avrei fatto meglio a restare a Milano.
7- Sai come mai ti chiami Luca? E del tuo cognome, Boschi, cosa sai (a parte che è del tipo di cognomi che, apparentemente, indicano una provenienza, un’appartenenza, una professione degli antenati, come Giardino, Ortolani, Scarpa ecc.)?
“Luca” solo perché in famiglia non volevano che avessi un nome “storpiabile”, un nome che poteva trasformarsi in abbreviazioni tipo “Peppe”, “Nanni”, “Fede”, “Lino” e così via. Così mi hanno detto. Allora “Luca” non era così diffuso come sarebbe accaduto pochissimi anni dopo. Ben presto, però, tutti hanno cominciato a chiamarmi con cognome e nome tuttattaccato, “Lucaboschi”, tipo “Ciarlibràun”. Ed è ancora è così.
Quanto al cognome “Boschi” (che in un periodo come questo, tra il Governo Renzi e lo scandalo di Banca Etruria, mi è venuta voglia spesso di cambiare), mio nonno mi disse, letteralmente: “La nostra stirpe proviene da Chiazzano”. Ma questo significava solo che era il suo bisnonno a vivere in questa frazione non lontana da Prato e da Montale. Mio nonno era nato nel 1888; il suo bisnonno, chissà… sarà stato a Chiazzano verso il il 1830? Pare che in realtà la famiglia abbia origini bolognesi, o meglio che provenga dei boschi dell’Appennino tosco-emiliano. Scendendo giù nel bolognese dalla zona, tipo, di Castiglion dei Pepoli, potrebbe essere arrivata in area pratese per poi spostarsi in parte a Pistoia (tramite Chiazzano) e in parte a Firenze. Il che è un po’ preoccupante, perché sarebbe indizio che il sottoscritto e padre & figlia di Banca Etruria discendiamo da un ceppo comune. Se così fosse sarebbe comunque di sicuro un ceppo molto, moooolto remoto!
Qui di seguito un po’ di immagini legate a Luca Boschi. Alcune sono mie fotografie, altre no. NdGG
4 risposte a “Luca Boschi: intervista, senza capo ne’ coda – 01”
Bellissima intervista!!! Ho saputo perfino delle cose di Luca che non sapevo.. E ho anche capito perché Luca non è ancora esploso come autore (nei suoi cassetti polverosi ha storie magnifiche). C’è ancora tempo per recuperare…
Delle persone che ho conosciuto nell’ambito del fumetto, italiano e non solo, Luca Boschi è colui che mi ha colpito maggiormente e sempre e solo in positivo: ha un grande talento, ha conoscenza e professionalità sconfinate e umanamente è molto simpatico, oltre a possedere un’invidiabile comunicatività. Non so cosa si potrebbe pretendere di più da un essere umano :-)
Ho un grande affetto nei suoi confronti e lo considero da sempre un mio (grande) Maestro!
Un carissimo saluto
Orlando Furioso
Caro Orlando, sono imbarazzato. Come tale non dico niente, nemmeno ricambiando parole di apprezzamento, che sembrano una risposta alla botta, mentre così non sarebbe. Ho visto che sei presente in una delle foto che il buon Gianfranco ha voluto mettere, ma non “accreditato”. Allora provvederò a chiedere a Gianf di farlo nella prossima tornata di piccole integrazioni senza capo né coda. Buone letture (come sempre)!
Bellissima intervista!!! Ho saputo perfino delle cose di Luca che non sapevo.. E ho anche capito perché Luca non è ancora esploso come autore (nei suoi cassetti polverosi ha storie magnifiche). C’è ancora tempo per recuperare…
Delle persone che ho conosciuto nell’ambito del fumetto, italiano e non solo, Luca Boschi è colui che mi ha colpito maggiormente e sempre e solo in positivo: ha un grande talento, ha conoscenza e professionalità sconfinate e umanamente è molto simpatico, oltre a possedere un’invidiabile comunicatività. Non so cosa si potrebbe pretendere di più da un essere umano :-)
Ho un grande affetto nei suoi confronti e lo considero da sempre un mio (grande) Maestro!
Un carissimo saluto
Orlando Furioso
Caro Orlando, sono imbarazzato. Come tale non dico niente, nemmeno ricambiando parole di apprezzamento, che sembrano una risposta alla botta, mentre così non sarebbe. Ho visto che sei presente in una delle foto che il buon Gianfranco ha voluto mettere, ma non “accreditato”. Allora provvederò a chiedere a Gianf di farlo nella prossima tornata di piccole integrazioni senza capo né coda. Buone letture (come sempre)!