12 Dicembre 2015 10:00

[Updated] Anteprime Sotto18: Nojoom, sposa bambina, e il “diritto” usurpato dagli uomini

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Per conoscere meglio l’opera e l’autrice:

https://en.wikipedia.org/wiki/Khadija_al-Salami

http://www.sottodiciottofilmfestival.it/i-am-nojoom-age-10-and-divorced/

http://www.sottodiciottofilmfestival.it/kadija-al-salami-sottodiciotto-film-festival/

http://www.lapresse.it/spettacolo-e-cultura/la-regista-yemenita-de-la-sposa-bambina-un-dramma-globale-1.807791

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“Mia nonna diceva sempre: una donna nasce solo per essere sposata o seppellita.” – con queste parole, epitaffio sul destino di generazioni di donne non soltanto in Yemen ma ovunque si sia propugnata la sottomissione del genere femminile (seppur mascherandola sotto il “velo” della tradizione e di un presunto status quo “naturale”), la regista e produttrice yemenita Khadija al-Salami redige la migliore delle sinossi per il suo toccante film, I am Noojom- age 10 and divorced.

Tratto dal quasi omonimo libro-testimonianza scritto insieme alla conterranea Nojoud Ali – la “sposa bambina” del titolo che trovò il coraggio, come Khadija prima di lei, di ribellarsi all’infelice destino impostole dalla famiglia – quest’opera prima (in uscita a breve anche da noi) è stata proposta giovedì 10 dal Sotto18 Film Festival di Torino.

Nascere, obbedire, sposarsi, obbedire, fare figli (doverosamente), obbedire ancora, e infine morire: altro orizzonte non pare essere previsto per queste creature consegnate alla sottomissione fin dai primi vagiti. Chinare il capo per sopportare ogni sopruso, ogni torto, ogni angheria,  abituate da subito a reprimere la loro indole, la loro intelligenza, financo la propria bellezza per non risultare “sconvenienti”, e soprattutto non “turbare” il dispotico e intollerante universo maschile, detentore su di esse di un potere assoluto, spesso anche di vita o di morte.

Ma, obietterà qualcuno, stiamo parlando di situazioni che non ci riguardano, giusto? Noi, quaggiù, siamo ben altra cosa!

Chissà?

Un film  come Nojoom sembra fatto apposta per titillare la nostra indignazione e, al contempo, per farci crogiolare nella calda e confortevole illusione di “essere migliori di quelli là”, perché “da noi certe porcherie non le facciamo”, e poi “le nostre leggi tutelano i bambini!”

Tutto vero – almeno sulla carta – ma nei fatti sarà davvero così?

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Sarebbe molto facile concentrarsi sugli abusi sessuali che bambine dell’età di Noojom (e purtroppo anche più giovani) subiscono da parte dei loro cosiddetti “mariti”, magari sentenziando che “certi popoli” (o certe razze?) sono intimamente perversi, volti alla pedofilia e all’incesto “per natura”, come sempre più spesso si sente argomentare(!) non solo al bar.

A mio modestissimo parere, il vero interesse di film come questo non è stabilire il grado di “perversione sessuale” delle diverse società, e nemmeno esaltare la pur fondamentale battaglia per le libertà personali in esso raccontato. Ciò che li rende davvero “necessari”, secondo me, è il loro ricordarci da dove veniamo e cosa siamo stati anche noi, fino a non molto tempo fa; e costituiscono, o almeno dovrebbero, uno specchio di come saremmo tuttora se le istituzioni del nostro vivere civile, la nostra economia e il nostro percorso socio-culturale fossero rimasti immutati, inchiavardati al giogo dei precetti religiosi e tribali da cui ci siamo affrancati, e nemmeno del tutto, pochissimo tempo fa.

La protagonista del film vive e lotta in un contesto ben preciso, regolato dalle proprie leggi e dalle proprie credenze: una di queste è che la donna, la femmina, sia “per legge” (naturale e umana) di proprietà del proprio padre, anzitutto, e quindi dell’uomo che la sposerà.

Non è una cosa su cui discutere, ma un dato di fatto.

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La vediamo opporsi alle nozze combinate, fin dal principio, “venduta” a un uomo che potrebbe essere suo padre per consentire al proprio di liberarsi di una “bocca da sfamare” che lì vale assai meno di quella dei suoi fratelli maschi; subisce la violenza carnale “legittima” da parte del marito e viene usata dalla di lui famiglia alla stregua di una schiava. In tutto ciò gli “adulti”, ovvero coloro che, almeno secondo i nostri parametri, dovrebbero proteggerla, e soprattutto le donne, la invitano tutti a non fare i capricci, a non lamentarsi, a non ribellarsi, in quanto il suo sposo, proprio in quanto tale, “detiene tutti i diritti“.

Eccolo, il punto.

In ogni epoca della storia umana, attribuire ad un essere umano un potere assoluto su un suo simile è stato il mezzo con cui il Potere ha rafforzato il proprio controllo sui sottoposti, gratificandone una parte con una briciola di autorità da esercitare su un soggetto più debole, o da ritenersi tale per giustificarne la sottomissione, e la donna è stata da epoche remote eletta a “bestia da soma” per eccellenza da sacrificare alle esigenze di una civiltà plasmata al maschile. Per fare ciò è stato necessario far sì che fossero le stesse vittime a “educare” la proprie prole a questa distinzione gerarchica: le femmine all’obbedienza e i maschi a dare per scontata la propria supremazia.

Il marito di Noojom non viene descritto nel film come un qualunque pervertito pedofilo che brama le bambine e si approfitta della piccola moglie per sadismo o crudeltà d’animo: piuttosto, anche lui sembra ricalcare pedissequamente le consuetudini e le usanze della società in cui è cresciuto. Può anche darsi che nello scegliere una sposa così giovane egli riveli delle intime inclinazioni “malate”, ma in un contesto in cui conta solo “sistemarsi” e “dare onorabilità alla famiglia” ciò che colpisce è soprattutto la sua totale incapacità di comprendere il male compiuto. Ha ottenuto “il consenso del padre” della ragazza, l’ha accolta nella propria casa, ha acquisito “il diritto” su di lei: cosa c’è di sbagliato in ciò che fa? Non riesce proprio a capirlo, e probabilmente con lui il grosso della comunità in cui lui e Nojoom vivono.

Che crimine ho commesso? Sono il marito, sono il padrone: è lei che si sta comportando male, che “non è stata cresciuta come si deve.”

Non è ciò che pensano anche tanti, troppi uomini dell’illuminato Occidente? Quando si irritano per “le troppe donne che dicono e fanno quello che vogliono, che hanno grilli per la testa e rovinano le famiglie, e ai miei tempi le donne erano donne e gli uomini erano uomini, e mia madre aspettava sempre alzata mio padre, e non si sognava di contraddirlo perché sapeva che lui aveva sempre ragione” – non sono parole di un secolo fa: le ho sentite l’altro giorno da un uomo più giovane di me. Perché si può amare una persona e allo stesso tempo considerarsi superiori ad essa, e anche per questo pensare di “avere il diritto” di dominarla. E se lei non ci sta? La obblighi, o meglio “la fai ragionare” e, se si rifiuta di capire, puoi passare anche alle maniere forti, ai cosiddetti “estremi rimedi per mali estremi”. Per il suo, per il “vostro” bene, ovviamente.

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Generazioni di maschi in ogni parte del mondo hanno compiuto nei secoli atti vergognosi contro le proprie compagne perché, in fondo, pensavano di poterlo fare, di “averne il diritto“. Glielo avevano insegnato fin da piccoli, ed è molto difficile andare contro gli imprinting dell’infanzia… soprattutto, quando intorno a te non vedi motivi validi per farlo. Se la società è dalla tua parte, perché cambiare? Semmai cambino loro, le sedicenti “vittime”… e si adeguino alla “normalità”, come fanno tutti!

Rispetto alla società in cui vive Nojoom possiamo certo dire che dalle nostre parti si sono fatti molti progressi, ma proviamo a chiederci: se sparissero il benessere, l’istruzione e le reti civili e culturali come noi le conosciamo, siamo poi proprio sicuri che non torneremmo ben presto anche noi a organizzare matrimoni combinati e a “vendere” le figlie per necessità? Usanze come queste erano abbastanza comuni dalle nostre parti, fino a non molto tempo fa. Non si tratta nemmeno di “religione”, ma proprio di bisogno contingente, di orribile pragmatismo da cui, per fortuna, noi possiamo prescindere, almeno per ora.

Ma allora perché uno dei problemi più gravi e urgenti della nostra “libera” società è oggi una cosa tanto barbara e “primitiva” come il cosiddetto “femminicidio“? Se in Yemen, o altrove, le donne rischiano la vita perché si ribellano ai loro “mariti-padroni”, come è possibile che in Italia tuttora una madre di famiglia venga uccisa in casa propria perché stufa delle angherie del proprio “civile” consorte o anche solo per il semplice non voler più stare insieme a lui?

Entrambi, l’uomo yemenita e quello italiano, “sentono” intimamente di avere “il diritto” di possedere le donne che ora si negano loro, perché di fronte al consesso sociale hanno fatto le cose come si dovevano fare, e ora “quelle” non possono più tornare indietro, non possono “disonorarli” in tal modo. Devono pagarla cara per questo.

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E’ un mio diritto: non c’è nulla di male in questo.”

Invece sì.

E per venirne a capo occorre, prima di tutto il resto, che siamo noi stessi maschietti a ribellarci contro un sistema che ci educa, spesso subdolamente, come potenziali carnefici ottusi delle “nostre” donne, imparando a rifiutare questo assurdo privilegio che ci viene elargito, non richiesto, fin dalla nascita.

Imparando a dire, subito:

“NON è un mio diritto. Non lo voglio.”

[Post scriptum: la “vera” Nojoom alla fine non ha optato per un futuro di autodeterminazione “alla Malala” come tutti noi guardando il film avremmo sperato: si è innamorata, risposata ed è diventata madre, smettendo di studiare.

Dunque, è stato tutto inutile?

Niente affatto. Intanto, il suo secondo matrimonio, per quanto in seguito divenuto altrettanto deludente, è stata una sua decisione e non un’imposizione altrui; ma la cosa fondamentale resta, secondo me, che le sia stata offerta la libertà di scegliere, a prescindere dalla direzione infine intrapresa. La vita non procede in modo lineare, è irta di deviazioni e sbarramenti, richiede a ogni svolta decisioni difficili e cruciali per il proprio futuro, e anche ciò che definiamo “errori” non sono altro che gli effetti collaterali, non sempre gradevoli, del nostro libero arbitrio.

Meglio avere a disposizione molte strade, e la possibilità di percorrerle tutte, piuttosto che essere costretti a imboccarne per forza una, per quanto essa ci venga presentata come “quella giusta”.

La libertà è un dono inestimabile, richiede responsabilità e coraggio, e può far paura: occorre meritarsela, per questo è così preziosa.]

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