5 Giugno 2015 15:55

“L’animazione è cinema, punto.”: parola di Marcel Jean @annecyfestival

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Secondo il noto mensile italiano di attualità cinematografica “CIAK”, il vero vincitore dell’ultima edizione del Festival di Cannes, qualora inserito fra le opere in concorso, è stato “Inside/Out“, ultima fatica della premiatissima ditta Disney/Pixar, diretta da Pete Docter e Ronnie Del Carmen: c’est-à-dire, un film d’animazione. Il lungometraggio ha scatenato le reazioni più entusiastiche, le emozioni più forti nel pubblico, e financo il plauso pressocché unanime della critica (cosa, quest’ultima, abbastanza rara). – “Quando l’animazione si fonde in modo così puro con le emozioni si può perfino dimostrare che la vita è… larger than cinema!”, si legge nel nutrito reportage dedicato alla manifestazione francese dal periodico diretto da Piera Detassis.

Eppure, malgrado questo successo, e malgrado da anni i rappresentanti dei grandi Studios non manchino mai fra le stelle della Croisette (insieme ai registi di “Inside/Out” era presente l’attuale direttore artistico della Casa del Topo, John Lasseter), assai di rado capita che i film d’animazione partecipino alla selezione per i premi finali, come se dovessero limitarsi a costituire una parentesi di “ludico intrattenimento” per il pubblico, un gradevole ma in fondo irrilevante intervallo prima di ritornare ad occuparsi delle cosiddette “cose serie”.

Jonas Rivera, John Lasseter, Pete Docter, Ronaldo Del Carmen - Montée des marches du film "Inside Out" (Vice-Versa) lors du 68 ème Festival International du Film de Cannes, à Cannes le 18 mai 2015.
Jonas Rivera, John Lasseter, Pete Docter, Ronaldo Del Carmen

Questo punto, non marginale, è stato sottolineato anche dal delegato artistico dell’imminente Festival di Annecy, Marcel Jean, il quale in proposito non si mostra d’accordo neppure sull’idea di istituire riconoscimenti “paralleli” per le opere in animazione poiché, sottolinea, “L’animazione non è né un genere né un formato: è cinema, punto e basta.”

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Marcel Jean, di recente nominato anche direttore della Cinémathèque Québécoise

Putroppo non tutti la pensano in questo modo, e il dibattito è ben lungi dall’essere chiuso; resta, per ora, la constatazione di come il cinema di animazione abbia raggiunto, se non altro per capacità di emozionare e coinvolgere lo spettatore, almeno pari dignità rispetto a quello definito, per quanto ancora?, “tradizionale”.

Senza dimenticare che un “discreto” artista come Akira Kurosawa sosteneva essere “vero cinema” non il suo bensì quello di Hayao Miyazaki, ed evitando di cadere in una retorica opposta per cui ogni paccottiglia prodotta in ottica più o meno commerciale debba per forza essere definita “arte”, si tratterebbe a parer mio di valutare i prodotti anzitutto in base agli effettivi pregi e alla loro resa sullo schermo: non necessariamente, come sappiamo, una grande produzione live action “cattura” quanto un piccolo film animato, per esempio, in stop motion; ma questo discorso vale anche all’inverso, perché non si tratta tanto di stabilire “chi sia il più bello” quanto di tracciare dei parametri qualitativi che siano di beneficio per l’intero settore, troppo spesso avvilito da operazioni banali e fini a se stesse.

Gioverebbe, forse, anche una progressiva “desacralizzazione” dei premi: per esempio, alla luce delle recenti polemiche sugli Oscar dell’Academy, ormai sempre meno attendibili, e riprendendo l’esperienza del Festival di Berlino che conferì l’Orso d’Oro a “La Città Incantata” di Miyazaki ex aequo con un film live action, perché non dare maggiore risalto a riconoscimenti che “davvero” celebrano il cinema nella sua migliore accezione, senza paletti ideologici che non siano la qualità effettiva e l’efficacia espressiva, senza peraltro tralasciare quel coté ludico che, gioverebbe ricordarlo, da sempre spinge le persone ad affrontare il buio della sala in cerca di un “altrove” in cui sfuggire, almeno per un poco, alle angustie della realtà. In tal modo, magari, rieducare il grande pubblico ad una fruizione diversa, meno onnivora e più selettiva, meno ideologica e costrittiva e più “golosa” e personalizzata: possibile?

Chissà?

Il post “Festival di Cannes vs Festival di Annecy?” qui.