10 Settembre 2014 16:51

Di suicidio, si deve parlare

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C’è il Nobile Suicidio di chi sacrifica la propria vita per quella degli altri (come il dottor Wolf in Tintin – Uomini sulla Luna). C’è la questione della Dignità della Vita e della Dignità della sua Fine. E poi ci sono i suicidi evitabili, perché si sarebbe potuta offrire altra vita da vivere degnamente, cure per superare la malattia ecc. Di questi si occupa la settimana nazionale per la prevenzione del suicidio, in corso fino a questa domenica, indetta dalla Associazione di Suicidologia.
Non sono esenti dal pensiero di porre fine alla propria esistenza nemmeno i supereroi dei fumetti (peraltro, in realtà, creati e tenuti in vita da semplici esseri umani), figuriamoci gli esseri umani normali, quando il loro cervello li spinge a superare persino la gigantesca resistenza posta dell’istinto di sopravvivenza individuale.

Chi, come chi vi scrive, ha visto nel proprio cervello (durante quella malattia bastarda  e misconosciuta che è la depressione) tutto il bene e tutto l’inferno possibile, sa cosa vuol dire, sa quanta mostruosa forza di volontà e quanto aiuto ci vuole (umano e chimico) per riuscire a respingere gli “ordini perentori” che passano malamente per i neuroni e che ti dicono semplicemente di morire. Solo chi non ha idea di cosa si parli, può ritenere il suicido “un atto di viltà”. Non è così proprio per niente e se lo si pensa si parla a vanvera. Suicidarsi richiede uno sforzo immane, uno stravolgimento totale.
Richiede che ci si riesca ad arrendere a un Valore Superiore che ti impone di buttare via il tuo radicatissimo istinto di sopravvivenza a favore di qualcosa di enormemente più importante. Difficilissimo per una persona sana di mente (che infatti ci riesce, e non è facile nemmeno in quel caso, solo quando è assolutamente necessario per far vivere altri che si vuole gli sopravvivano). Molto meno difficile è se il tuo cervello fa le bizze e ti suggerisce bastardamente che la morte è l’unica soluzione possibile.
Ma si sa che, in genere, si ha paura anche solo a pensare lontanamente tutto quel che ha a che fare col malfunzionamento cerebrale. Comprensibile: tutto quel che possiamo essere e avere passa da lì, da quell’ammasso meraviglioso e approssimativo che è il nostro cervello. L’idea che possa funzionare male è destabilizzante, terrorizza. 

Ma nascondere la realtà, chiudere gli occhi, far finta che la faccenda non esista, non aiuta ne’ se stessi, ne’ gli altri, anzi.
Per questo di suicidio, si deve parlare, come delle altre sgradevoli cose della vita, perché magari qualcosa possiamo farci. Io oggi penso che chi “funziona male” deve essere aiutato a guarire e a vivere bene ancora, e che una persona sana di mente ha il diritto di poter scegliere come vivere e come terminare la propria vita, ma quale che sia la tua opinione, questo è uno di quei casi in cui il silenzio uccide.
Il tuo silenzio e la tua ignoranza uccidono. Non è quello che vuoi davvero.

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Su Comics Alliance ne parla oggi il dottor Andrea Letamendi, in rapporto al mondo del fumetto: click qui per leggere.

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Se tu o qualcuno che conosci è in crisi, rivolgiti subito a un vero professionista della salute mentale.

[We are] One Love. One Life.

5 risposte a “Di suicidio, si deve parlare”

  1. I professionisti costano. Non hai tempo per andare. Magari sono incapaci che prescrivono i farmaci. L’unica soluzione per me è l’amore per il cinema d’animazione, soprattutto le serie animate. Aspettare l’episodio successivo salva la vita anche quando non senti alcuna ragione per averne una.
    Certo ammetto che è una soluzione personale.

    1. Sì, magari va bene per te. :-) Il Direttore, invece, se avesse aspettato il prossimo cartone o fumetto in uscita e non avesse avuto farmaci adeguati da un professionista vero, ora sarebbe semplicemente un cadavere e noi non ne scriveremmo qui. I cartoni magari sono una pozione magica per te, ma di solito, per chi è davvero malato di depressione (e non solo giù di morale che ben altra cosa), o lavori sulla chimica del cervello o fai ciao ciao con la manina.

      Qui si parla di Disturbo Depressivo, mica di avere la luna storta. Il cervello non funziona più correttamente (te ne dovresti accorgere anche tu, perché, improvvisamente e stranamente, dei cartoni non te ne importa più nulla di nulla di nulla). Non basta un buon cartone e una pacca sulla spalla, un “su, su che non è niente” o un “ce la puoi fare”. Il cervello è in pappa. Questo è il cervello degli esseri umani. E’ così, ci vuol pazienza… e cure specifiche. Se la tua “depressione” si cura con un cartone, è ovvio che non è quel che leggi nel link alla voce depressione qui sopra. Se dai un consiglio del genere a uno che è veramente malato (ché di malattia si tratta qui, non di stato d’animo), lo uccidi. Vuoi proprio averlo sulla coscienza?

      1. Cara EX,condivido ogni tua parola. Tu sì che capisci le umane miserie, e dire che non sei nemmeno terrestre (o forse è proprio per questo? O forse è semplicemente perché sei in grado di farlo)… Purtroppo qui c’è ancora un’ignoranza incredibile sulle malattie del cervello e in particolare sul disturbo depressivo maggiore (noto anche come depressione clinica, depressione maggiore, depressione endogena, depressione unipolare, disturbo unipolare o depressione ricorrente). In effetti ho potuto notare, nel corso della mia lunga vita, che se uno non c’è passato, o se non ha vissuto il dramma di qualcuno che gli era vicino quotidianamente e a cui voleva davvero bene, non capisce proprio niente di cosa si tratti. Si tende a sottovalutare (non so se per paura o davvero solo per ignoranza specifica) e, ovviamente, in questo modo si spinge il malato un altro passo verso il baratro.
        Pensare di curare la depressione con un cartone animato (e non intervenendo subito con antidepressivi adeguati al caso specifico, coadiuvando POI con psicoterapia ecc., per dire) è sintomo evidente di non conoscenza del problema medico e del funzionamento del nostro cervello. E non è una cosa occasionale: è un’ignoranza diffusa. E’ come se si credesse che si guarisce dal taglio di un braccio leggendo Topolino. La stessa identica cosa. Solo che il braccio tagliato si vede per terra, la mente tagliata no.
        Per cui non me la prendo con Aladar per la semplicità con cui ha affrontato il tema (drammatico e troppo spesso tragico), perché è “ignoranza diffusa”. Per questo è importante parlarne, anche nel nostro Bel Paese. Se no non se ne verrà mai fuori (dall’ignoranza su questo tema, come su tanti altri, ahinoi). E quindi ne parlo volentieri, qui e altrove, se serve, portando la mia esperienza personale.
        E mi associo a quanto hai suggerito, EX: se a un depresso (malato di depressione come ho detto prima) consigliamo un cartone invece delle cure adeguate, lo stiamo buttando di sotto noi. Per carità, solo per ignoranza diffusa, ma tant’è…

  2. Purtroppo, è così. Sono arrivato a odiare la mia stessa fantasia, a detestare tutte le cose che erano in precedenza la mia linfa vitale … prescrivere farmaci non significa essere per forza dei ciarlatani, quando il problema ha un fondamento clinico non basta la buona volontà. Mentre ti scavi un fossato, prima intorno e poi sotto i piedi, non c’è cartone al mondo che possa salvarti. Ma è bello che ci siano, che restino lì ad aspettarti quando finalmente ritrovi la capacità di goderti le cose belle. Questo sì. Non è facile trovare la terapia e le persone giuste, e soprattutto ci vuole un grande sforzo per lasciarsi aiutare … ma poi, è tempo (e denaro, certo) ben speso. Anche qui, comunque, ognuno segue la propria strada, tra tentativi e fallimenti, e risalite quando meno te l’aspetti.

    1. Eh, caro terrestre… La paura che le persone che non sono malate hanno della malattia, può far scattare in loro quell’atteggiamento deleterio per cui gli impauriti dicono “quello lì è un debole! [A me che sono forte non può succedere]”. Paura, possiamo ipotizzare che sia, paura di ammettere che potrebbe davvero capitare anche a loro. I paurosi si difendono istintivamente dal terrore, scaricando colpe inesistenti sul malato, nel disperato tentativo di allontanare da sé il rischio del male. Purtroppo così danneggiano il malato e anche se stessi, giacché non si attrezzano ad affrontare le proprie paure e il proprio futuro reale. Un gran bel pasticcio, eh?
      Come dice il Direttore? “Fragili creature…”.
      Solo insieme (ciascuno con le proprie vere competenze e le proprie vere capacità – e per questo ringraziate, umani, le vostre differenze individuali, che fanno sì che insieme potete avere tanta competenza quanto nessuno singolarmente potrebbe avere) si può sperare di cavarsela decentemente, in questa Vita affascinante e ancora tanto enigmatica.

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