13 Settembre 2013 05:45

Disegnatori per hobby, o quasi

Vighi_PromessiMolti protagonisti della cultura italiana prima di scoprire cosa avrebbero fatto da grandi, hanno pubblicato sui giornali umoristici dell’epoca – tollerati dal regime che li considerava valvole di sfogo del mugugno nazionale – vignette e raccontini divertenti. L’esempio maggiore è offerto da Federico Fellini che in viaggio da Rimini a Cinecittà si era fermato a Firenze dove disegnò per il 420 nerbinianio e completò alcune tavole di Flash Gordon dopo le censure del regime. Una volta a Roma entrò al Marc’Aurelio, allora vera fucina di futuri cineasti, disegnando strisce surreali e vignette demenziali, con scarsa satira e molta comicità, compresa una serie con protagonista una bella ragazza con tutte le curve giuste chiamata Anita, forse un’inconscia anticipazione della Ekberg protagonista della Dolce vita. Fellini non abbandonò mai il disegno che usava per per esprimere quello che poi avrebbe fatto nei suoi film e nei suoi personaggi. Sul milanese Bertoldo invece c’erano disegni di Italo Calvino e di Oreste del Buono. Il primo proponeva vignette demenziali che lui stesso definiva “infami”, “pazze”, “sceme” con dialoghi del genere: “Vorrei un biglietto per Milano” “Che classe?” “1903, classe di ferro”. Più meno simili le vignette di OdB, che però erano disegnate meglio. Sul versante dei fumetti troviamo Damiano Damiani – regista della prima Piovra televisiva e di molti film – che sul mitico Asso di Picche realizzò Hogart il giustiziere, una storia poliziesca stile America anni Trenta. Nel dopoguerra il Marc’Aurelio fornì spunti e autori alla commedia cinematografica italiana, da Steno a Scola, a Castellano & Pipolo e altri. Steno – regista di molti film di Totò e padre dei fratelli Vanzina – disegnò tra l’altro una serie di vignette sui raccomandati di ferro (eterna piaga italica) come il lupo di mare che non sa nuotare. Scola invece ironizzava sul mondo del cinema, per esempio su De Sica che – erano gli anni del neorealismo – a New York andava in estasi davanti a un vespasiano, oppure su quel titolo di giornale che annunciava la soluzione della crisi del cinema. “E’ un film di fantascienza” commentava uno sconsolato lettore. Con eguale umorismo Scola ha sceneggiato i Promessi sposi, disegnati da Vittorio Vighi, quello degli omini con grossi nasoni. E’ un piccolo capolavoro comico, pur nel rispetto dello spirito manzonianio, che inizia con don Abbondio che legge la Gazzetta dello Sport, prende a pugni i bravi e poi si chiede: “Carnera, chi era costui?”. Forse la stampa umoristica ha perso qualche autore, ma certamente la cultura italiana ne ha guadagnato. (Carlo Scaringi).