23 Luglio 2013 05:05

Mafalda, Quino e la minestra

quino-01-coverLa storia la scrivono i politici, ma le rivoluzioni le fanno i popoli, soprattutto se affamati. Manzoni ha raccontato l’assalto ai forni in una Milano di qualche secolo fa, in Francia il popolo ha rifiutato le brioches di una spocchiosa regina e ha cominciato a tagliare le teste, Gian Burrasca ha guidato la rivolta dei piccoli studenti in nome della pappa col pomodoro, e Mafalda – ma gli esempi sono infiniti – ha combattuto per anni una coraggiosa battaglia contro la minestra, simbolo emblematico e odiato dell’oppressione dei grandi contro i piccoli. Ma alla fine si è resa conto che era una battaglia contro i mulini a vento e Quino, il suo papà artistico, il 25 luglio di quarant’anni fa ha smesso di disegnarla, dopo una decine di anni di pungenti strisce quotidiane. Non tirava una bella aria in quell’estate del 1973, col terrorismo in Italia, Nixon, il Vietnam e il Watergate negli States e con i militari scatenati contro la libertà e la democrazia nell’America Latina. Poche settimane dopo il golpe di Pinochet avrebbe ucciso la libertà e la vita del presidente cileno Allende. In questo clima, si disse uno sfiduciato ma non rassegnato Quino, Mafalda e i suoi amici (Manolito, Felipe, Susanita e altri) apparivano sconfitti. Mafalda è uscita dalle strisce ma è subito entrata nella leggenda, ripercorrendo la strada già fatta, anni prima, dalla sgambettante Betty Boop: oggi la simpatica bambina contestataria vive sugli abiti, sui quaderni, sugli zainetti e tutti gli altri oggetti di un merchandising sempre più invadente e globale. Forse è scomparsa anche la cattiva minestra, bersaglio preferito di Mafalda, che nelle strisce di Quino criticava mezzo mondo, dai genitori alla scuola, in una contestazione che forse risentiva dello spirito del Sessantotto, ma che era più che giusta. Lasciata Mafalda, Quino si è dedicato alla satira, trasferendo anche in questa dimensione tutta la carica polemica della sua bambina. Ha disegnato migliaia di vignette, spesso raccolte in libri tematici, che prendono di mira i burocrati, i militari, i medici, i bravi borghesi (e qui ricorda un po’ il Novello che sulla Quino-Odissea-a-tavola-dettaglio-da-pag.-9_emb8Stampa di prima e dopo la guerra pizzicava i signori di buona famiglia), la scuola, e molti altri aspetti di un mondo che continua a funzionare male. Ultimo bersaglio delle frecce di Quino è la cucina. In Odissea a tavola, edito da poco da Salani, Quino critica il sistema di una cucina sempre più globale e planetaria, che ignora i piatti della nonna per inseguire il piacere – si fa per dire – della cucina molecolare, etnica o nouvelle, con piatti che magari rispettano le diete e il colesterolo, ma lasciano delusi chi, come il disegnatore, sogna una semplice pasta e lenticchie e non riesce a trovarla. Oggi tutto è standardizzato, i sapori appiattiti e gli stessi pomodori sono sciapi. Di chi la colpa? Quino non lo dice, ma punta il dito anche contro gli chef di oggi – raffinati, eleganti, mediatici – così distanti dai cuochi di una volta che in maniche di camicia e con un grembiule neppure tanto pulito preparavano piatti magari poveri ma gustosi. Come Mafalda ha perso la guerra contro la minestra, così Quino ha perso il ricordo di una semplice pasta e lenticchie, ma non la pungente cattiveria delle sue vignette. (Carlo Scaringi).