Il 1952 è stato un anno abbastanza felice per il fumetto italiano: c’era già Tex, che tuttavia faticava a battere il cow boy col lazo, quel Pecos Bill ideato da Guido Martina, sceneggiatore disneyano che ogni tanto si addentrava nelle praterie del West. Nel 1952 vi avrebbe incontrato Oklahoma, indiano buono amico di un soldato sudista accusato ingiustamente di tradimento, protagonista dell’omonima serie disegnata da Paparella. Il West – quello dei film di serie B, pieni di simpatici caratteristi popolarissimi nelle sale parrocchiali – è presente anche nel ciclo di "Mani in alto!", una lunga storia di Roy D’Amy, ovvero Rinaldo Dami, che galleggiava sempre tra umorismo e realismo. A metà di quell’anno – il 19 agosto – iniziò sul numero 34 dell’Intrepido, un settimanale che a suo tempo ha fatto la storia del fumetto italiano, la lunga avventura di Chiomadoro, un indiano dell’India, anzi un principe, addirittura il Principe del Sogno come indica il titolo del primo episodio. Chiomadoro ha appena combattuto come pilota di aerei nella seconda guerra mondiale e ha festeggiato l’indipendenza dell’India. E’ il principe di Mayabar, è muscoloso, bello, forte, con lunghi capelli biondi, si divide tra Marana, una tigre addomesticata, e una bella principessa, Zaira. Potrebbe essere felice e tranquillo, ma non sopporta la violenza e la prepotenza, e così s’impegna sempre nelle imprese più complicate, talora al limite del verosimile, dove la fantasia dello sceneggiatore Luigi Grecchi, nato a Milano nel 1928, e del disegnatore Erio Nicolò (1919-1983), creano scenari e situazioni straordinari, che risentono del clima di film e romanzi che erano il pane quotidiano degli autori. La saga di Chiomadoro ha spesso un andamento da fotoromanzo (un genere di successo in quegli anni), con momenti violenti e altri sentimentali, ed è andata avanti fino al 1963, per un totale di 23 episodi ciascuno di 20-30 puntate, quasi una media da telefilm. Del resto in Chiomadoro – nei personaggi, nelle avventure, nelle situazioni e negli scenari – è sempre presente una dimensione cinematografica, quasi un’anticipazione dei successi della moderna Bollywood, e questo è certamente un titolo di merito per gli autori, che forse è sfuggito (ma solo per motivi cronologici) a Frediani e Genovese, che nel 1984 dedicarono un caldo e prezioso omaggio all’eroe di anni lontani. (Carlo Scaringi).