15 Aprile 2012 06:42

Ritorno al passato con Martin Mystère

mm0320Per celebrare i primi trent’anni di Martin Mystère, le edizioni Bonelli propongono un albo di grosso spessore (230 pagine, in edicola da pochi giorni) e in qualche modo insolito, seppure nel filone dei "decennali". Sfogliandolo si compie un vero e proprio viaggio nel passato, più o meno vicino, alla scoperta da un lato delle origini del personaggio creato nel 1982 da Alfredo Castelli, e dall’altro degli anni Trenta, un periodo particolarmente fortunato – malgrado i drammatici problemi mondiali (crisi economiche, guerre, dittature, ecc.) – per il mondo dell’immaginario. Riproponendo la prima storia del detective dell’impossibile, Gli uomini in nero, Castelli e Giancarlo Alessandrini che l’ha disegnata, non solo risvegliano la nostalgia del lettore, ma gli fanno compiere un viaggio a ritroso alla scoperta della genesi del personaggio che Castelli aveva concepito a metà degli anni Settanta come Allan Quartermain, un archeologo discendente del protagonista del romanzo di Haggard, Le miniere di re Salomone. Il progetto non ebbe molta fortuna: respinto da vari editori, il fumetto fu accolto da un altro alla vigilia della chiusura del suo settimanale, troppo legato a una trasmissione televisiva. Ma Castelli non si arrese e bussò alla porta di Sergio Bonelli, sempre sensibile alle novità interessanti. Il personaggio si sarebbe chiamato Doc Robinson e sarebbe stato un detective dell’ignoto. Ma l’uscita di un periodico del gruppo linusiano (Robinson, elegante, raffinato, d’autore, ma poco popolare) indusse Bonelli e i suoi collaboratori a cambiare il nome in Martin Mystère, come il protagonista di un romanzo d’appendice dell’Ottocento francese. Questa dunque la nascita, un po’ travagliata, dell’eroe più celebre fra i tanti ideati da Castelli. Ma forse l’ispirazione gli era arrivata dai fumetti di Lee Falk, Mandrake e l’Uomo Mascherato, perché non sono pochi i punti di contatto tra il BVZM e il famoso mago, al di là del ricorso all’illusionismo e alle arti magiche. Entrambi sono stati a scuola di magia fra le montagne dell’Himalaya, hanno preferito la magia bianca a quella nera, scelta dal Cobra e da Sergei Orloff, hanno un prezioso collaboratore dalle origini esotiche, forte, invincibile, di poche parole, come Lothar, che viene da una tribù africana, o Java che arriva dal passato e dall’Asia più lontana, Mongolia e dintorni. Entrambi hanno una fidanzata, ma Narda, la compagna del mago, è una principessa che disdegna il lavoro, mentre Diana (che Martin ha sposato in segreto) è un donna impegnata che lavora, e in questo è più simile alla Diana Palmer di Phantom, da tempo ormai madre di due gemelli. Ce n’è abbastanza per portare alla luce le origini di Martin Mystère che seppure è un personaggio della seconda metà del Novecento (è nato nel 1942, quarant’anni prima della sua nascita di carta), in realtà affonda le radici negli anni Trenta, l’epoca d’oro del fumetto d’avventura, che Castelli e tanti lettori ammalati di nostalgia fumettistica ben conoscono. Gli anni Trenta sono infatti al centro della lunga storia d’apertura dell’albo dei trent’anni. Una vicenda nella qualche compaiono molti celebri eroi dell’immaginario di quel decennio, dai gangsters ai poliziotti come Dick Tracy, da King Kong, lo scimmione con la bella rapita (in questo caso la svampita Angie, sempre simile a Marylin Monroe) agli intrecci polizieschi pubblicati su riviste di facile consumo, dove si sono fatti le ossa maestri del giallo classico, come Hammett o Chandler, ecc. Abituato a scontrarsi con i mysteri del passato e con i criminali di oggi, Martin Mystère dopo questa parentesi celebrativa è pronto a ripartire per nuove avventure sempre tra realtà e fantasia, e per sciogliere nuovi interrogativi e scoprire altri volti di un mondo dove non è facile vivere, ma nel quale, in fondo, non si sta poi tanto male. (Carlo Scaringi).