14 Gennaio 2012 01:30

Antonio Faeti e le "figure" del passato

faeti_copertinaNon sembra, ma gli uomini di oggi sono bombardati di immagini scagliate dalla TV e dalla pubblicità, dal cinema e dai videogiochi, in una sorta di caleidoscopio multicolore con mille figure che si formano e si modificano come tessere di un puzzle infinito. Ma restano quasi sempre immagini epidermiche, che scorrono via senza lasciare un segno o un ricordo. Una volta non era così, dicono i nostalgici, che spesso hanno ragione. Ce lo conferma Antonio Faeti con la ristampa di un classico di quarant’anni fa, "Guardare le figure", edito allora da Einaudi, e ora riproposto da Donzelli in un volume di oltre quattrocento pagine, arricchito da una lunga introduzione autobiografica, una cinquantina di pagine in cui Faeti ripercorre quarant’anni di una vita trascorsa tra disegnatori, libri e soprattutto figure. Nel suo libro Faeti – allora maestro elementare, oggi maturo docente universitario – racconta la storia di un secolo di illustrazioni, praticamente da Pinocchio agli anni Sessanta del Novecento, soffermandosi ampiamente sui grandi disegnatori del passato come Mazzanti, Chiostri, Mussino – i primi che diedero un volto al burattino di Collodi – oppure come Yambo, Cambellotti, Della Valle, Golia, Bisi, Angoletta, lo stesso Tofano, e così via. Parla di tanti disegnatori, ma si sofferma anche sui libri che illustravano, per lo più quelli per ragazzi, dal Cuore ai romanzi di Salgari o di Verne, per cui la sua ricerca assume la dimensione di una storia della letteratura per ragazzi. Erano più bravi i disegnatori di allora, i "figurinai" come li definisce Faeti quasi evocando gli artigiani che modellano i pupazzetti del presepe, o per assonanza i vecchi "madonnari" che una volta affrescavano i marciapiedi – oggi diventati parcheggi per auto – con riproduzioni di immagini sacre o di famosi dipinti, o sono più bravi i disegnatori di oggi? Il confronto è difficile, forse anche impari, ma non c’è dubbio che le antiche illustrazioni – quasi sempre in bianconero, con personaggi cupi, drammatici, anche grotteschi e scene che spesso suscitavano incubi nei piccoli lettori (ma le fiabe classiche non sono capolavori di orrore?) –cover faetirisultano più suggestive ed espressive di quelle di oggi, colorate, tecnicamente perfette (il computer permette miracoli ed effetti speciali), ma in fondo fredde e quasi asettiche. Non si avverte insomma la fatica del disegnatore classico, che tracciava i segni, poi li cancellava, poi magari li rifaceva, in una ricerca continua di quella perfezione oggi sacrificata in nome della velocità. La prima edizione di "Guardare le figure" è uscita nel 1972, una decina di anni dopo che Carlo Della Corte col suo libretto "I fumetti" aveva aperto una finestra sul mondo delle nuvolette. Per comprensibili motivi temporali nel libro di Faeti non si parla di Pratt, Crepax, Jacovitti mentre il Toppi ricordato non è il Sergio che tutti apprezziamo, ma Giove disegnatore nerbiniano degli anni Trenta. Compaiono però altri autori di fumetti, da Angoletta a Molino, da Moroni Celsi a Craveri, da Bisi ad Albertarelli, ampiamente ricordato insieme al suo Kit Carson, che Faeti vede quasi come un Don Chisciotte del West, un vecchio eroe della Frontiera che anni dopo Bonelli senior e Galleppini avrebbero trasformato – immagine fisica a parte – in una sorta di Sancio Panza impegnato a frenare, con la sua prudente saggezza, i generosi impulsi di Tex. (Articolo di Carlo Scaringi).