10 Novembre 2011 01:59

Topolino salvato da Mussolini

Eccetto1Il fumetto italiano sin dalla nascita (1908, con Bilbolbul) ha proposto personaggi e situazioni sostanzialmente conservatori o nazionalisti, un po’ sulla scia del fumetto americano che con Bibì e Bibò, Buster Brown e la coppia Arcibaldo-Petronilla presentava modelli non proprio progressisti, e molto per il clima bellico dei primi anni del Novecento che ha favorito l’arrivo di personaggi di propaganda seppure ammantati da un pizzico di fantasia. Tra la guerra di Libia (1911) e quella mondiale di pochi anni dopo, il Corriere dei Piccoli – in pratica l’unica lettura per ragazzi – ha presentato eroi come Gian Saetta, bersagliere in Libia, e Schizzo, eroico sognatore di entrambe le guerre, ideati da Attilio Mussino, ai quali si affiancherà Italino, disegnato da Antonio Rubino, che scende in campo contro gli austriaci, che sconfigge soprattutto con scherzi e burle patriottiche. L’interventismo di queste storie non farà comunque scivolare il Corrierino verso la deriva fascista, ma negli anni Trenta, con il consenso ormai diffuso e il controllo completo sulla stampa, e non solo, anche il Corrierino ospiterà le avventure di intrepidi balilla come Rava Nello (disegnato ancora da Rubino, un maestro dell’illustrazione e del fumetto malgrado abbia ostinatamente banditoETcover1 le nuvolette dalle tavole) e altri piccoli camerati, compreso Italino, di tanto in tanto rispolverato a maggior gloria del fascio trionfante. Per la verità nello stesso periodo uno dei personaggi più popolari era il soldato Marmittone, eternamente maldestro e totalmente negato alla vita militare, in un momento in cui tutti indossavano una divisa. Ne era autore Bruno Angoletta, un passato nell’Asino socialista e anticlericale che aveva trasferito la sua carica polemica nel mite e antiretorico Marmittone. La fascistizzazione dei fumetti arrivò a metà degli anni Trenta, con le guerre d’Abissinia e di Spagna che hanno offerto a sceneggiatori e disegnatori decine di storie smaccatamente propagandistiche, seppure velate da qualche alibi artistico. Quasi tutti i giornalini sono pieni di polpettoni avventurosi, spesso sconclusionati (ma talora anche ben disegnati) che scimmiottano analoghi personaggi americani, a partire da Cino e Franco che rivivranno in molte coppie di coraggiosi ragazzi italiani, da Gino e Gianni su Topolino a Carlo e Mario sull’Intrepido, a Gino e Piero sul Vittorioso, e così via. Nel 1938 il regime mise al bando tutti i fumetti americani eccetto Topolino, come dice il titolo di un prezioso e interessante volume ben documentato e ricco di immagini d’epoca, pubblicato da Nicola Pesce Editore. Ne sono autori Fabio Gadducci, Leonardo Gori e Sergio Lama che hanno scartabellato tra vecchi giornalini, archivi dimenticati e cronache del passato per ricostruire una precisa storia dei complessi rapporti tra il fascismo e i fumetti, o meglio tra Mussolini e Topolino. I figli del duce leggevano quel settimanale e vedevano i film di Walt Disney, forse insieme al padre, ma dietro questa facciata c’erano anche interessi editoriali, rapporti EccettoTopolino2commerciali, amicizie e simpatie politiche (anche fra il capo del fascismo e il mago dell’animazione) su cui il volume indaga con attenzione. Il blocco dei fumetti americani portò allo sviluppo di una vasta produzione autarchica, ovviamente sempre intrisa di propaganda, ma favorì anche la nascita di una scuola italiana che, depurata dagli eccessi, avrebbe dato ottimi frutti, peraltro ben noti. Nello stesso periodo, un convegno promosso dal ministero della Cultura popolare (il famigerato Minculpop) si accorse che i giornalini per ragazzi vendevano un milione e mezzo di copie e potevano essere un capillare strumento di propaganda e cominciò a diffondere minuziose direttive. "La stampa per ragazzi – si leggeva nel documento finale del convegno – dovrà essenzialmente assolvere una funzione educativa, esaltando l’eroismo italiano, soprattutto militare, la razza italiana e la storia presente e passata dell’Italia". Più avanti si condannavano "le storie criminali, paradossali, tenebrose e moralmente equivoche" presenti nella stampa per ragazzi e si invitavano gli autori a preferire personaggi spiccatamente italiani, anche nei tratti somatici. Una bufera ideologica da cui si salvarono solo Topolino e gli altri protagonisti disneyani, anche se nelle loro storielle non c’era traccia delle "gesta di navigatori, esploratori, scienziati, aviatori, guerre, scoperte geografiche e inventori" come scriveva sulla Stampa di quel periodo un giornalista divenuto celebre nel dopoguerra. (Articolo di Carlo Scaringi)