25 Giugno 2011 18:57

Animazione italiana: altre parole del Gatto

“…ora è la volta del Censimento Nazionale dell’Animazione …” – così Papini ricordava l’iniziativa indetta da ASIFA e Cartoon Italia: lodevole operazione, soprattutto se concepita con l’intento di mettere in comunicazione i professionisti del settore e migliorarne l’autoconsapevolezza; ma da questo censimento potrà nascere sul serio una nuova epifania per l’animazione nostrana? Quello dell’attuale parcellizzazione e isolamento è un grande problema: tanti effettivamente ‘lavorano’  – come ha ricordato anche Carlo Scaringi nel suo post – ma spesso senza garanzie e solo su progetti saltuari e subordinati a mere esigenze commerciali (ormai la gestione di studios e società di produzione è per lo più improntata a un’ottica manageriale, mirata all’ottimizzazione dei profitti o almeno alla sopravvivenza), le tutele contrattuali restano confuse ( la professione stessa non ha ancora una sua definizione legale precisa) e le prospettive di futuro assai ridotte per chi col tempo deve affrontare sempre maggiori problematiche di sussistenza: le idee appassiscono e muoiono insieme all’entusiasmo iniziale. Vengono realizzati e fatti circolare numerosi corti, è vero, ma non si fanno più lungometraggi (co-produzioni a parte) che sono il vero specchio del benessere produttivo di un Paese, e soprattutto della sua salute artistica.  “…l’animazione italiana è tornata alla dura realtà al festival … di Annecy … anche quest’anno la presenza italiana in concorso è stata ridotta al minimo … “Big Bang Big Boom’, firmato Blu e prodotto da Silvia Siberini … che ha però vinto il premio speciale della giuria nei cortometraggi …” – un premio meritatissimo, che mancava da tempo, ma che resta nell’ambito dell’animazione pura, della ‘performance’ artistica. Gli ‘short films’ testimoniano la perizia del realizzatore e sono spesso la scintilla per la vocazione di tanti neofiti, difficilmente però ciò che è perfetto e meraviglia in pochi minuti risulta sostenibile se ‘stirato’ su un’ora e più (pure al film francese ‘The Prodigies’, peraltro assai celebrato, non ha giovato la direzione di tanti specialisti in videogames finendo col perdersi in un eccesso di effetti speciali): il corto dovrebbe essere la premessa alla realizzazione di qualcosa di superiore e non il punto di arrivo, come nel caso dei già citati work-in-progress visti ad Annecy che, a prescindere dai discorsi sulle loro possibilità economiche, hanno tutti colpito per la varietà e l’originalità dei progetti. Il nostro Enzo D’Alò, stimato regista capace (quasi) sempre di dare un’anima ai suoi lavori, nel 2001 ricevette un premio proprio ad Annecy per il pilota del suo nuovo ‘Pinocchio’ coi disegni dell’illustratore Lorenzo Mattotti e quest’anno era presente per una conferenza incrociata sulla lavorazione del film, frutto di una co-produzione franco-belga-italiana; annunciato in uscita già da un paio di anni parrebbe finalmente pronto (non circolano ancora trailer) ma col rischio che in Italia arrivi con forte ritardo e magari direttamente per l’home video. Il punto però è un altro: per quanto l’opera possa rivelarsi un capolavoro non stiamo certo parlando di una novità, anzi! Pinocchio, anche grazie alle recenti (mediocri) trasposizioni per cinema (Benigni) e tv (Comencini era ben altra cosa) è ormai assurto a vera mascotte nazionale (sob!) ma dubito vi siano frotte di spettatori ansiosi di correre al cinema per assistere all’ennesima rilettura (filologica o provocatoria che sia) del burattino di Collodi…se sbarcherà nelle sale italiane io mi auguro vadano a vederlo in tanti (almeno i fans di Mattotti!) ma come sempre sarà decisiva la controprogrammazione perchè ormai i genitori nella scelta si fidano ciecamente dei prodotti Disney-Pixar e se anche il resto sparisce in fretta dai cinema c’è sempre la possibilità di recuperarlo in dvd (ma non è la stessa cosa!). Non c’è più grande attesa per i cartoni animati italiani (anche perchè passa davvero troppo tempo da uno all’altro) e salvo quei rari casi che vanno a rimorchio di consolidati fenomeni commerciali (vedi Winx) essi non costituiscono un evento di richiamo per il grande pubblico, nonostante di recente i media si siano sforzati maggiormente di ‘lanciarli’: questo distacco dall’immaginario (e dalla stima) della platea è forse uno degli effetti più evidenti della progressiva perdita di identità di un settore alle prese da decenni con continui compromessi per poter sopravvivere. Esiste un vuoto, o quantomeno una dispersione produttiva in cui appassiscono le idee migliori, e la regressione culturale che attanaglia il Belpaese non ha certo giovato a un’arte che è sempre stata strumento ideale per avanguardie e sperimentazioni. Inoltre, a fronte di ottimi animatori non si è cercato di formare altrettanti solidi registi/sceneggiatori col risultato di smarrire o almeno appannare l’abilità di raccontare storie interessanti: avevo già espresso i miei dubbi sull’eccessivo condizionamento esterno sui contenuti ma mi pare di poter cogliere negli autori stessi una certa propensione al didascalismo e alla semplificazione, forse anche fin troppo condizionati dalla necessità di sintesi che il linguaggio dell’animazione richiede. Troppe volte i personaggi risultano piatti, prigionieri di un insistito intento pedagogico che condiziona tutto l’impianto narrativo e lo rende prevedibile, scontato e dunque dimenticabile pure se il cartone risulta tecnicamente e graficamente valido. Intendiamoci: anche, per esempio, in ‘Kung Fu Panda’ (per citare un blockbuster) c’è molta filosofia spicciola e il lieto fine è assicurato, ma ci si arriva tramite caratteri ben costruiti ed empatici, dialoghi brillanti, ritmo e azione; non con stucchevoli pistolotti e battutine infantili, Buoni archetipici contro Cattivi lombrosiani e soprattutto senza quell’insopportabile moralismo che ci ricorda sempre (quello sì) le nostre ‘radici’ cattoliche! Perchè poi tutto deve essere concepito in funzione della pedagogia infantile? Almeno lo si facesse in maniera più sottile…bisognerebbe seguire la lezione di Federico Fellini quando spiegava che non girava i film pensando a un pubblico specifico ma solo ad esprimere l’idea che aveva in testa, invece di edulcorare preventivamente ogni argomento (mi viene in mente a tal proposito lo special tv prodotto dalla RAI ‘Giovanni e Paolo e il mistero dei pupi’: l’intenzione di omaggiare Falcone e Borsellino è certo positiva, ma rappresentare la mafia come una strega cattiva che ipnotizza il povero cittadino inerte è l’ennesima, rassicurante semplificazione del problema). Altre volte, specie nelle serie tv, a un incipit promettente non segue sviluppo adeguato a conferma di una carente abilità nel gestire trame lunghe, soprattutto nei  cosiddetti ‘tempi morti’ (in realtà la vera fonte emozionale della storia); la recitazione è spesso convenzionale e ripetitiva, poco aiutata da dialoghi banali o accessori in quanto un brutto copione danneggerebbe financo il più scafato degli attori. Del resto anche il pubblico si accontenta e non esige miglior qualità, un pò perchè oggi può procurarsela altrove ma anche perché probabilmente non si aspetta più che l’italico convento possa passare altra minestra…con questo andazzo si è formata un’aura di provincialismo che ci accompagna a prescindere da meriti e demeriti effettivi, una fama che per ora non riusciamo a smentire tramite la riuscita dei nostri film ma anzi tendiamo a rafforzare arroccandoci in una stucchevole autocelebrazione del settore ogniqualvolta veniamo esclusi dai palmarès che contano, e ripetendo cocciutamente la formula: ‘sono gli altri che ci boicottano!’ Ma è davvero così? (2-continua…)