21 Giugno 2011 19:20

Animazione italiana: parole del Gatto, parte 1.

(Traendo spunto da alcuni passaggi di un recente post di Roberto Davide Papini chi scrive proverà a fornire una propria, personalissima e dunque discutibilissima interpretazione sullo stato attuale del cinema di animazione italiana: a questa prima parte ne seguiranno, a breve, altre due – n.d.r). “L’Italia dei cartoni animati (meglio sarebbe dire dell’animazione) si conta e cerca di capire quanto pesi … ” – così esordiva il pezzo di Papini, citando poi il festival Cartoons-on-the-Bay di Rapallo, vetrina annuale delle produzioni targate RAIfiction; e io apro questo mio intervento riportando un accorato appello lanciato proprio al Festival, in occasione dell’assemblea generale degli sceneggiatori del settore: “O si compete…o si muore!” – aggiungo che quel giorno si tenevano anche gli Stati Generali dell’Animazione Italiana (dubbio: i due eventi non avrebbero meritato maggiore sinergia?) che mettevano in luce due aspetti contradditori: da una parte l’ottimismo un pò tronfio delle istituzioni, dall’altra il realismo e i dubbi degli addetti ai lavori (rappresentati da ASIFA Italia e Cartoons Italia, le due maggiori associazioni di categoria); a testimoniare una realtà complicata e spesso conflittuale le cui istanze potranno essere percepite in modo diverso dalle varie parti in causa ma, a mio parere, possono trovare efficace sintesi nel grido d’allarme degli sceneggiatori, soggetti che potrebbero fornire un contributo decisivo alla tanto sbandierata ‘ricerca della Qualità’ e invece negli ultimi anni si sono ritrovati relegati sempre più ai margini del processo produttivo. Ma cosa siginifica ‘essere competitivi’? Cosa si intende per Qualità? Si tratta di studiare e uniformarsi maggiormente agli standard di mercato (ovunque portino) oppure di imporre una propria specificità, di uscire dall’anonimato in cui da tempo sembriamo dibatterci? Esiste ancora uno ‘stile italiano’ riconosciuto nel mondo, a prescindere dai soliti ‘venerati maestri’? Durante la stessa assemblea si biasimava un eccesso di autorialità negli scrittori italiani (nel senso di una loro minor propensione al lavoro di équipe tipico della sceneggiatura per l’animazione, soprattutto da parte di chi vive tale attività come una sorta di ripiego), ma il problema non potrebbe essere invece una distorta concezione della medesima? Escludiamo dal discorso la pretenziosità di certe produzioni che astutamente si procacciano i finanziamenti puntando sull’interesse nazionale e cavalcano argomenti ‘sensibili’ e soprattutto riconoscibili (quali Anna Frank, il Risorgimento e tutta la processione dei santi), o altri che invece eccedono nelle provocazioni quasi sperando in partenza di venire rifiutati (in modo da costruirsi la fama di ‘scomodi’ e ‘pericolosi’ che da noi fa sempre effetto?); fatto ciò, non si può dire che nel panorama italiano la parola d’ordine sia ‘originalità’, semmai il contrario! La proposta più ampia e variegata la si trova nell’animazione rivolta all’infanzia (anche perché ormai sui poveri bimbi si sono concentrate le attenzioni di esperti sociologi prestati al marketing, ansiosi di prevederne gusti e aspirazioni, ma spesso scambiando il look per i contenuti) mentre i fruitori più grandicelli devono guardare necessariamente all’estero, il più delle volte arrangiandosi in proprio; ciò è già rivelatore di una mentalità di fondo radicatasi nel nostro Belpaese, ovvero che i ‘cartoni’ siano e restino ‘roba per bambini’ o al massimo per bamboccioni immaturi. Per fare un esempio tra le produzioni viste al Cartoons-on-the-bay, premettendo che la serie (prodotta da De Mas & Partners, storica azienda al cui fondatore Pierluigi De Mas è dedicata la vetrina del Pitch Me!) è gradevole e ben realizzata e immaginando le difficoltà emerse nel trasporre un libro a suo modo ‘difficile’, dispiace non poco vedere una storia potente come ‘La Compagnia dei Celestini’ di Stefano Benni trasformata in questo ‘Street Football’ (titolo più esportabile), con la mitica pallastrada svuotata quasi del tutto del suo spirito anarchico e liberatorio (chi ci ha giocato almeno una volta da piccolo sa cosa intendo) e ridotta a innocuo sport come tanti (le ripetitive acrobazie del cartone non riescono mai a renderne il pathos) circoscritto istituzionalmente in una sorta di ‘champions’ league per baldi orfanelli multietnici e affiatati (ma i vagabondi di Benni non erano tutti buoni amici: seguivano una sorta di duro codice della strada ed erano disposti a tutto per vincere) organizzata per loro dagli adulti, che se nel libro erano i veri nemici dei Celestini qui invece sono illuminati e incoraggianti, e si prodigano per instradarli lungo il cammino di Amicizia, Solidarietà e Tolleranza, nonostante qualche premessa anche drammatica ma talmente edulcorata e frettolosamente risolta da suscitare ben poca empatia. “La tivvù deve ricordare sempre il proprio ruolo pedagogico” – è stato ripetuto a più riprese dai funzionari RAI e anche dalle associazioni che vigilano sui contenuti, e gli ascolti sembrano premiare questo tipo di operazioni: resta però la forte sensazione che in Italia l’animazione destinata a una visibilità più ‘popolare’ sia soggetta a un eccesso di revisione che non di rado stravolge il concept originale a favore di un ‘ibrido’ che questi controllori (censori?) ritengono in linea con le aspettative di un’utenza che, in barba ai proclami di sempre maggiore interattività, viene relegata a soggetto sempre più passivo, chiamato a esprimersi solo tramite sondaggi e televoti su argomenti preconfezionati che non esulino dal normale linguaggio e modo di pensare. Ne riparleremo. (1.-continua)