Nei giorni scorsi è stato ampiamente ricordato a vent’anni dalla scomparsa Guido Martina, sceneggiatore di un’infinità di storie disneyane, ma autore anche di Pecos Bill e altri cicli western. Luca Boschi che ha proposto nel suo sito vari interventi sullo sceneggiatore, ha recentemente lanciato un invito (o un appello?) a Moreno Burattini, Giuseppe Pollicelli e altri addetti ai lavori perché aggiungano qualcosa alla storia professionale di Martina e alla leggenda di Pecos Bill che in quel periodo – i primi anni Cinquanta – rappresentò un duro ostacolo sulla strada di Tex, l’altro grande protagonista della Frontiera, non ancora molto popolare. Tra il Ranger e il cow boy col lazo ci sono molte differenze, come quelle che ci sono fra i due autori, senz’altro i migliori di tutti, senza togliere meriti agli altri (Andrea Lavezzolo, il gruppo EsseGesse, Gino D’Antonio, ecc). Gianluigi Bonelli ha sempre preferito storie e personaggi avventurosi, mentre Martina è stato soprattutto un autore umoristico, che primeggiava anche in altri campi, come ha dimostrato con Pecos Bill. Le storie di Bonelli sono forse schematiche, sintetiche, piene di ritmo e di azione, mentre Martina preferiva spesso divagare, inserendo nelle vicende richiami e ricordi al folkore del West. Nella prima storia Tex è braccato da un gruppo di uomini che inseguono anche una giovane pellerossa. Tex si mostra subito generoso e salverà la ragazza, pur sapendo i pericoli che corre (all’inizio era un fuorilegge ingiustamente ricercato dalla legge). L’esordio di Pecos Bill è invece più “soft”, avviene durante un bivacco nella prateria con Davy Crockett (l’equivalente del Kit Carson di Bonelli) che lo celebra come una sorta di supereroe. E in effetti l’intera saga di Pecos Bill – 165 albi tra il 3 dicembre 1949 e il 31 marzo 1955 – si srotola spesso in una dimensione leggendaria, quasi supereroica, mentre Tex, sia pure invincibile, eterno e vittorioso, resta un uomo normale. Del resto l’origine di Pecos Bill – una figura creata nel 1916 da Edward O’Reilly in una serie di racconti poi raccolti nel 1923 in un volume, ”La saga di Pecos Bill”, e altri ancora – è chiaramente leggendaria, con infiniti richiami al folklore della Frontiera, che Martina ha pescato tra i suoi ricordi. Come Romolo e Remo, Pecos Bill è stato allevato da un branco di coyotes (i lupi del West), diventato cow boy ha costruito il lazo per prendere al volo una stella e trasportarla nei cieli del Texas, non a caso diventato lo stato della stella solitaria, poi è balzato in groppa a un ciclone che passava sul Kansas: non fu facile domarlo perché saltava come un cavallo imbizzarrito e ogni scossone provocava pioggia e vento che avrebbero modellato il terreno sottostante, creando canyons e fiumi dall’Arizona al Texas. Si potrebbe continuare a lungo, ma è meglio tornare con i piedi per terra, per soffermarsi sulle presenze femminili, quasi assenti in Tex – presto sposo di Lilith, una ragazza Navayo che gli darà un figlio, prima di morire vittima del vaiolo diffuso dai trafficanti bianchi nell’accampamento indiano – ma presenti invece in Pecos Bill che sin dall’inizio si mostra sensibile al fascino di Sue, la classica fidanzatina dei fumetti dell’epoca, che talora ostacola involontariamente le sue imprese. Verrà sostituita da Calamity Jane, una figura ispirata alla vera Jane, fuorilegge del vecchio West. Secondo la morale degli anni Cinquanta, un eroe senza macchia come lui non poteva innamorarsi di una poco di buono, seppure pentita, e così anche Jane scompare, mentre ricompare Sue che, come scopriremo nell’ultimo episodio, si era intanto segretamente sposata con il suo eroe, perché gli uomini del West all’amore ci pensano, ma – come amava dire papà Bonelli – solo tra un’avventura e l’altra. Mentre i due popolari eroi combattevano nelle praterie del West, i loro editori (Bonelli e Mondadori) si combattevano nelle edicole. Oggi Tex è senza rivali, ma in quel tempo aveva rischiato di perdere, almeno all’inizio, perché il rivale, si presentava in albi grandi almeno il triplo delle piccole strisce bonelliane e soprattutto a colori, e con un inedito merchandising, spesso improbabile come la pistola di Pecos Bill (che invece, a differenza di Tex, non usava mai armi, e non ha ucciso nessun nemico). Un segno di questa battaglia si ritrova forse nella tipica esclamazione di Davy Crockett, un “Big Tex” che potrebbe essere un omaggio al grande stato del Texas o un ironico riferimento al Tex bonelliano, troppo piccolo (ancora) per Pecos Bill. (Articolo di Carlo Scaringi).