26 Maggio 2011 01:26

I fumetti aiutano il consumismo

Betty Boop – creata nel 1931 dai fratelli Fleischer – ha smesso di sgambettare sugli schermi cinematografici alla fine degli anni Trenta, dopo che la solita ottusa censura l’aveva costretta ad allungare a dismisura la sua minigonna e a ridurre le maliziose mossettine, accompagnate da sguardi allusivi. Da oltre settant’anni la simpatica ragazza vive solo nei cineclub, nei ricordi dei molti che non possono dimenticarla e nelle immagini che l’industria del consumismo propone periodicamente, secondo la moda e le tendenze del momento. Eccola quindi campeggiare su gonne e magliette, su zainetti e quaderni e sui tanti altri oggetti che le industrie cercano di imporre alla massa dei consumatori. Forse quello di Betty Boop è il caso più eclatante di una longevità, pubblicitaria, quasi unica. Qualche decennio fa la Valentina di Crepax rese popolare una pettinatura in tutto simile a quella dell’eroina di carta, che Crepax aveva creato avendo come modello Louise Brooks, un’attrice americana degli anni del muto. Ma pochi lo sapevano e il disegnatore si prese gli elogi, meritati peraltro, di molte belle signore. Ma è nel campo alimentare che spesso i fumetti hanno permesso a molte aziende di incrementare produzione e vendite. Il caso più clamoroso è legato alla figura di Popeye, il marinaio gran divoratore di spinaci. Ogni volta che si trovava in difficoltà ne ingurgitava una scatola, magari aprendo la lattina con i denti. Il ferro contenuto in quell’ortaggio rafforzava i suoi muscoli permettendogli di sconfiggere tutti gli avversari. E’ storico il fatto che la popolazione di Crystal City, una cittadina del Texas famosa per la coltivazione degli spinaci, eresse una statua a Popeye in segno di riconoscenza. Un altro celebre personaggio che ha attraversato con successo tutto il secolo scorso, ovvero Arcibaldo, l’eterna vittima dell’ambiziosa Petronilla, ha reso famoso nel mondo un piatto della cucina americana, ovvero il lesso (o lo stufato, nella traduzione in italiano) con i cavoli, la pietanza preferita da Arcibaldo che Dinty Moore, il cuoco della taverna all’angolo, cucinava divinamente. Anche Geo McManus, che ha disegnato la striscia per decenni, dal 1913 al 1956, ne era ghiotto, ma alla fine ebbe una crisi di rigetto tanto che quando venne invitato a pranzo dal mitico sindaco di New York, Fiorello La Guardia, e scoprì che il piatto preparato in suo onore era proprio il famoso stufato con i cavoli, il disegnatore lo rifiutò dicendo di essere a dieta. La grande crisi del 1929 bloccò sul nascere il progetto di un gruppo finanziario che voleva lanciare sul mercato il piatto preferito da Arcibaldo, ma anche da molti personaggi del cinema e dello sport, da Charlie Chaplin a Jack Dempsey, da Babe Ruth a Maria Dressler. Il pugile Joe Palooka, creato negli anni Trenta da Ham Fisher, si manteneva in forma con una dieta a base di formaggi: per questa ragione nel 1937 il disegnatore fu incoronato dagli industriali caseari “Re del formaggio”. Tornando a Popeye si può ricordare che Poldo, ovvero Wimpy, gran sbafatore di panini, ha dato il nome negli USA e non solo a molte paninoteche o fast food, prima dell’arrivo di McDonald. Si potrebbe continuare a lungo, ma il fenomeno si è un po’ interrotto negli ultimi decenni, o meglio si è modificato, nel senso che l’industria del consumismo non si sofferma più su quegli aspetti in apparenza marginali, come cibi e moda, ma ha scoperto un mercato parallelo, tutto da sfruttare, molto più proficuo, quello del “merchandising” legato alle immagini dei fumetti, amplificate al massimo ormai grazie alla diffusione globale di telefilm, videogiochi e altre diavolerie tecnologiche. Già nel 1960 un’indagine dell’università di Boston aveva avvertito che “gli industriali hanno trovato nei fumetti un’autentica miniera d’oro”. I prodotti ispirati ai personaggi dei comics, di carta o cinematografici, come bambole, cuscini, giocattoli, ecc., sono destinati a un successo sempre maggiore. Mezzo secolo dopo la tendenza non si è interrotta. (Articolo di Carlo Scaringi).