Nel 1880 Emilio Salgari appena diciottenne s’imbarcò come mozzo su un piccolo mercantile, “Italia Uno”, che da Venezia raggiunse, dopo tre mesi e varie soste sulla due coste dell’Adriatico, Brindisi. Quella breve esperienza marinara fu sufficiente per far maturare nel giovane Salgari il desiderio di diventare scrittore. A scuola era bravo solo in italiano e geografia, due materie utili per scrivere e soprattutto per viaggiare con la fantasia, alla scoperta di protagonisti e situazioni collocati ai quattro capi del mondo, perfino nel “Polo australe” raggiunto in velocipede. Tra il 1883 quando esordì sul giornale illustrato “La Valigia” con un lungo racconto, I selvaggi della Paupasia, seguito l’anno dopo dalla Tigre della Malesia, fino al 1911 quando – il 25 aprile – mise fine alla sua vita travagliata, Salgari ha scritto 82 romanzi e decine di racconti. I suoi libri – a lungo ignorati dagli accademici, al pari di quelli di Carolina Invernizio, di Liala, e altri – nel primo Novecento hanno in pratica fatto scoprire la lettura a milioni di italiani, facendoli piangere o sognare. Ma lo scrittore veronese, poi torinese d’adozione, ha anche insegnato il mestiere a molti autori di fumetti, soprattutto sceneggiatori, che si sono spesso ispirati al suo stile scarno (seppure ridondante nelle descrizioni), ai suoi dialoghi rapidi e secchi, alle sue colorite esclamazioni, come “Corpo di mille spingarde” e altre simili che Gianluigi Bonelli avrebbe infilato nelle avventure di Tex e altri eroi del West. Tra Salgari e i fumetti di mezzo secolo fa non mancano i punti di contatto: con un po’ di fantasia, Tex può ricordare il sanguigno Sandokan, mentre Kit Carson è quasi la copia del flemmatico Yanez, per non parlare di Occhio Cupo – straordinario figlio della coppia papà Bonelli-Galleppini, troppo presto dimenticato – che evoca il Corsaro Nero. La precisione con cui Salgari verificava su atlanti ed enciclopedie nomi e luoghi ove ambientare le sue storie è stata poi rispettata non solo dai Bonelli padre e figlio, ma anche da Rino Albertarelli, Hugo Pratt, Andrea Lavezzolo e altri autori che, per la loro fantasia, è facile paragonare a Salgari. Nel corso degli anni, dal 1935 quando Guido Moroni Celsi raccontò la storia di Ulceda ispirandosi liberamente al ciclo del West, ai tempi nostri, quando Pratt e Altan ci hanno dato due versioni – una fedele l’altra grottesca – di Sandokan, sono state decine le riduzioni a fumetti dei romanzi salgariani, gran parte apparse sulle pagine del Topolino mondadoriano. Il ciclo della Malesia e quello dei corsari dei Caraibi sono stati i più saccheggiati, a opera di ottimi autori: oltre al già citato Moroni Celsi che ha “riletto” quasi tutte le storie della Malesia, vanno ricordati Rino Albertarelli e Walter Molino per le storie della Frontiera e qualche incursione nei Caraibi, e Franco Chiletto, il più attento nella ricostruzione delle imprese dei corsari dai vari colori. Il momento migliore del Salgari a fumetti è stato quello tra gli anni Trenta e il dopoguerra, quando dall’inizio di maggio 1946 uscì per un paio di anni anche un settimanale (“Salgari” appunto) con storie vecchie e nuove. Ma nelle edicole c’erano ormai nuovi personaggi come Tex o Pecos Bill, e anche il mondo di Salgari, romanzi e fumetti, finì tra le buone cose del passato, per uscirne di tanto in tanto grazie a qualche coraggioso editore amatoriale. (Articolo di Carlo Scaringi).