20 Marzo 2011 06:32

La satira al tempo dell’Unità d’Italia

spiritofollettoIl Quarantotto – quello dell’Ottocento, non quello più disastroso e negativo del secolo scorso – ha visto soffiare in mezz’Europa un vento di libertà, alimentato da coraggiosi patrioti e da pochi intrepidi e generosi intellettuali che idearono, in quasi tutte le città italiane, piccoli fogli (chiamarli giornali è troppo, dati i tempi) che con infocate parole e qualche disegno invitavano a combattere per la libertà. A quel tempo la vignetta satirica ancora non esisteva, e le battute più cattive si leggevano negli articoli. Ma qualche disegno c’era sempre, più che altro caricature, nemmeno troppo feroci, dei politici del tempo. Un anticipo di quei giornali – sempre di piccolo formato e diffusi con molta fatica – si ebbe durante le 5 Giornate di Milano quando Francesco Redenti affisse sulle mura della città caricature degli austriaci. Evitò il carcere, ma dovette rifugiarsi a Torino, città dove gli artisti del disegno e i polemisti della parola potevano avere – entro rigorosi limiti – libertà di espressione. Uno dei giornali storici di quegli anni fu “L’Uomo di pietra” fondato da Cleto Arrighi e Camillo Cima alla fine del 1856 “per fare un po’ di guerra all’Austria”, ma non ebbe vita facile, anche se – come scrisse poi Cima – gli austriaci “erano più onesti dei censori italiani: in tre anni di vita sequestrarono un numero solo e non fecero nessun processo. Solo col regime della libertà di stampa e con la sinistra al potere, si ebbero sequestri e processi”. Gli uni e gli altri erano quasi sempre cibo quotidiano per giornalisti e disegnatori: censure, sequestri, condanne, e anche devastazioni delle tipografie non fermarono tuttavia il cammino della stampa satirica. Quasi ogni città aveva il suo foglio battagliero, che già sotto la testata esponeva il suo programma. Se “Lo spirito folletto” di Milano (1848) voleva essere un giornale “diabolico, politico, umoristico, comico, critico, satirico e pittoresco”, “Il Fischietto” di Torino (1848) proponeva “bizzarrie d’attualità” in una “rivista illustrata con disegni originali”. Sempre a Torino usciva “Pasquino” (1856) “giornale umoristico non politico con caricature” affidate per lo più a Casimiro Teja, uno dei migliori disegnatori di quegli anni, molto apprezzato da Edmondo De Amicis che celebrando i trent’anni del giornale e le vignette dell’amico scrisse che “né odio, né insulto, né vendetta trapelò mai dalle sue caricature”. Non certo un bell’elogio per un autore satirico. Ma i tempi erano diversi, la satira era spesso intinta nel rosolio della nonna ed evitava temi scabrosi. Chissà cosa avrebbero fatto i vignettisti di oggi alle prese con le belle signore dell’epoca, dalla Contessa Castiglione che mise le sue doti diplomatiche fischietto(chiamiamole così) al servizio del Piemonte, al re Vittorio Emanuele II sempre a caccia della “Bella Rosìn” di turno. Tornando alla nascita dell’Italia unita, ecco “Il Buonumore” (ancora Torino, 1864) che celebrò lo Statuto con una filastrocca dedicata alle città italiane, Roma compresa, definita “la poverina che da gran tempo soffre paziente la nefanda opera di sozza gente”, con ovvio riferimento al dominio temporale del papa. Altri celebri fogli di quegli anni furono “La Rana” (Bologna 1865) che fu forse il primo ad adottare il colore, “La Chiacchiera” di Firenze (1860), “La Lente” (ancora Firenze, ma nel 1856) con Carlo Lorenzini che si firmava con lo pseudonimo di Collodi e “Il Pupazzetto” (Roma 1886) fondato da Gandolin, il giornalista genovese Luigi Arnaldo Vassallo, che commentava argutamente i fatti del mese, anche con originali disegni, molto simili alle vecchie incisioni in legno. In seguito il giornale passò nelle mani di Enrico Novelli – il celebre Yambo di tante storie illustrate – che forse lo accompagnò bellamente verso la fine. Gli entusiasmi, le polemiche e le delusioni dei primi decenni postunitari stavano lasciando spazio ad altri giornali (L’Asino, il Travaso, ecc.), ma soprattutto ad altri problemi, anche più gravi. (Articolo di Carlo Scaringi).