Il più famoso di tutti è quel gattaccio di Gambadilegno, anche se da vari anni lo storico nemico di Topolino ha perduto la protesi che gli dava un portamento da vecchio pirata ottocentesco. Ha perduto la gamba di legno non tanto per i progressi della medicina, quanto perché i disegnatori – soprattutto quelli dei cartoni animati – si dimenticavano quale fosse l’arto artificiale, e spesso facevano confusione. Gambadilegno è senz’altro l’esempio più popolare della presenza della disabilità tra gli eroi di carta, un piccolo universo dove in apparenza non dovrebbero esistere i malanni, le brutture o le disgrazie fisiche che colpiscono gli umani. Al massimo “brutti, sporchi e cattivi” possono essere solo i personaggi negativi, come ladri, assassini, mostri e criminali vari che spesso recano impresso sul fisico il marchio dell’illegalità. In un mondo popolato da eroi forti, belli, muscolosi come quello dei fumetti, c’è tuttavia anche spazio per i diversi fisicamente, gli handicappati o i diversamente abili, come si dice adesso. Può sembrare strano, ma il maggior numero di disabili si trova tra i supereroi, quasi che le menomazioni fisiche ne accrescano le loro doti. L’avvocato Matthew Murdock perde la vista perché colpito, in un incidente stradale, da materiale radioattivo, ma affina gli altri sensi e si trasforma in Devil, eroe rossovestito che diventa un implacabile nemico dei criminali di New York e dintorni. Charles Xavier, studioso di genetica e telepate, è costretto su una sedia a rotelle, ma diverrà la straordinaria guida dei mutanti raccolti nel pluridecennale ciclo degli X-Men. Anche i Fantastici 4 hanno dei difetti fisici: la Cosa, per esempio, prima di diventare un ammasso di roccia era un uomo normale. Tra i fumetti italiani, il caso più noto di disabilità è quello del Numero Uno, il capo di quell’improbabile banda di cui fa parte anche Alan Ford: per molti è “un vecchio rincitrullito in carrozzella”, mentre in realtà è un abile segugio che guida Alan Ford e i suoi amici in imprese eroicomiche. Molti “diversabili” li troviamo anche in alcune collane delle edizioni Bonelli: tralasciando le storie di Nathan Never e compagnia (dove abbondano i “mutanti”, versione avveniristica della disabilità), è nelle indagini di Dylan Dog che s’incontrano spesso esseri deformi, mostruosi (più nella mente che nel corpo) che il popolare investigatore tratta con quella comprensione e quella tolleranza che tutti dovrebbero avere verso i disabili. Anche sui settimanali per i più giovani, come il Giornalino, sono apparse nel passato storie che affrontavano il tema della disabilità, spesso in forma didascalica, ma talvolta anche in chiave avventurosa, come in una vecchia serie di Alfredo Castelli disegnata da Renato Polese, in cui Mister Charade, un ispettore di Scotland Yard rimasto cieco in un conflitto a fuoco con i banditi, aiuta i suoi compagni con la sua esperienza professionale e le sue doti deduttive. Dopo aver ricordato che, in fondo, anche Rip Kirby ha un handicap perché costretto a portare gli occhiali, e che anche Andy Capp (al di là dell’assonanza del nome) è un “handicappato”, almeno psicologicamente perché è sfaticato, prepotente e maschilista, chiudiamo con le vecchie strisce, irriverenti e amare, di Altan che attraverso gli scontri tra Cico e Pippo – un padre cieco e rassegnato e un figlio dispettoso e cinico – proponeva un invito ad abbattere quelle barriere, morali prima ancora che fisiche, che dividono il mondo dei normali da quello dei disabili. (Carlo Scaringi).