A metà degli anni Settanta la strategia della tensione aveva già sciolto la sua spirale di violenza per strangolare la democrazia e la libertà in Italia. Tutto era iniziato a Milano, quarant’anni fa, con le bombe di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, cui seguirono altri delitti e attentati, spesso attribuiti agli “opposti estremisti” e quasi sempre rimasti impuniti. A questa drammatica stagione della nostra storia, il PSI dedicò nel 1975 un albo a fumetti, “Un fascio di bombe”, diffuso in migliaia di copie in comizi e manifestazioni, ma in pratica ignorato, negli anni seguenti, dai lettori dei fumetti, non sempre attratti da storie “politicamente corrette”. Gli autori erano tre protagonisti del fumetto italiano, gli sceneggiatori Mario Gomboli, Alfredo Castelli e il disegnatore Milo Manara, e il piccolo albo, in bianconero e stampato su carta da giornale, avrebbe forse meritato maggior fortuna, ma era stato pubblicato dal PSI, un partito sostenuto da pochi e osteggiato da molti. Adesso, qualche decennio dopo, quel fumetto semiclandestino viene ristampato, e la sua lettura rappresenta un’occasione per ripercorrere serenamente la storia di quegli anni. I testi di Mario Gomboli (autore di decine di storie di Diabolik e ora al vertice dell’Astorina che ne stampa le avventure) e Alfredo Castelli (creatore di Martin Mystère e molti altri eroi di carta), nonché i disegni di Milo Manara – che forse non hanno la preziosità di tante altre storie successive – fanno di questo fumetto un piccolo capolavoro, forse didattico e didascalico, ma preciso nella ricostruzione storica (con piccole e verosimili concessioni alla fantasia) di quegli anni difficili. In quel periodo i fumetti e le vignette satiriche hanno rappresentato originali strumenti di propaganda, soprattutto elettorale. Il PSI e in parte anche il PCI hanno fatto ricorso a ingenui fotoromanzi, quasi alla moda del Grand’Hotel di quegli anni, destinati soprattutto agli abitanti del Mezzogiorno, mentre Pino Zac – grande vignettista satirico – disegnò un paio di albi, sempre per i socialisti, in cui scagliava le sue frecce avvelenate contro i “padroni del vapore”, quasi anticipando la grande stagione del Male e altri periodici irriverenti e talora anche volgari dei primi anni Ottanta. Ma su questa strada, il fumetto satirico, la sinistra fu anticipata dai Comitati Civici della peggiore DC, che nella storica campagna elettorale del 1952 diffuse una storia di Pinocchio, disegnata da qualche anonimo vignettista del Travaso, che riletta col senno di poi contiene molte profetiche anticipazioni su ciò che venne scoperto dopo la caduta del Muro. Ci sono tutti i personaggi collodiani, con Pinocchio nel ruolo dell’elettore smarrito, il cui voto è conteso dal Gatto e la Volpe (Nenni e Togliatti) che vogliono portarlo verso il Paese degli Allocchi. Per fortuna c’è la Fatina dai capelli tricolori che vigila e impedirà a Pinocchio di finire in prigione, insieme ad Albanuccia, Ungarina, Polonetta e le altre repubbliche dell’Est Europa. E’ una satira casareccia, semplice, ma a suo modo efficace, che fa quasi rimpiangere gli anni delle vecchie campagne elettorali. (Carlo Scaringi).