26 Ottobre 2009 08:00

Anonima Fumetti: intervista ad Andrea Plazzi

Come già anticipato ai lettori di afNews, abbiamo fatto qualche domanda ad Andrea Plazzi (esperto editor, traduttore, e, in generale, professionista del fumetto), in occasione della sua conferenza su Will Eisner, presso l’Istituto Albe Steiner di Torino, organizzata dall’Anonima Fumetti (in convenzione con la Regione Piemonte), con il contributo della Circoscrizione 7 di Torino.

Andrea, com’è che un matematico è finito a lavorare nel mondo del fumetto?
In realtà ci sono sempre stato. All’inizio, e per parecchi anni, è stato un hobby, come per tanti altri appassionati. Anche se oggi, con l’avvento di Internet, sono una cosa un po’ desueta, all’epoca (fatico a dirlo perché mi data pesantemente, ma era il 1977) c’erano le fanzine, e così ho iniziato.
Nel frattempo, il mio cursus studiorum ufficiale è andato avanti: la matematica mi è sempre piaciuta e anche oggi, non praticandola più professionalmente, cerco di ricordarmene quando c’è qualche occasione divulgativa. In particolare, ultimamente stanno spuntando all’orizzonte alcuni «fumetti matematici» molto interessanti e può farmi solo piacere.

Per tornare alla domanda, vorrei fare un’affermazione da tutti ritenuta incomprensibile e che non cercherò di spiegare: ogni volta che mi fanno una domanda come la tua, da molti anni rispondo che non riesco veramente a capire che differenza tra le due cose.
Qual è stato il percorso che ti ha portato al passaggio, da appassionato a professionista?
Come spesso capita l’occasione concreta è nata da una coincidenza. Da qualche anno traducevo per la Star Comics, prima nel tempo libero, poi passando al part time presso la società per cui lavoravo. Con la nascita della Marvel Italia ho colto l’occasione di provare a fare questo lavoro. All’inizio si trattava in gran parte di traduzione e coordinamento/editing di testate ma quello che mi interessava era l’editoria in senso lato e col tempo ho ampliato le collaborazioni e le mie competenze. Oggi traduco ogni volta che l’occasione lo permette (anche perché la traduzione in Italia è professionalmente assai poco considerata e ancor meno pagata) e curo titoli per alcuni editori, come per esempio Fandango Libri, per cui segui i titoli di Will Eisner. Sono passati 16 anni, sono qui e sono contento: forse non ho sbagliato tutto.

Quali sono le letture a fumetti della tua infanzia che ti hanno particolarmente segnato?
Come tutti, ho cominciato con Topolino, perché ce l’avevo in casa. Mio fratello era più grande, e aveva un sacco di «Topolini», anche alcuni che io non avrei mai potuto leggere, perché vecchi (degli anni Cinquanta). Quindi avevo accesso a fumetti che in generale i miei coetanei non leggevano. Poi sono passato per Corriere dei Piccoli e Linus… E quella è stata la vera svolta: un po’ troppo giovane – a nove anni – sono stato esposto a un fumetto che ancora oggi (dico una cosa impegnativa) considero la singola miglior storia del fumetto italiano. Il Golem di Dino Battaglia, su un numero di Linus del 1971. Mi ha veramente folgorato, aprendomi gli occhi su cosa si poteva fare col fumetto, su quali fossero le potenzialità espressive del medium (ovviamente oggi mi esprimo in questo modo, allora provai semplicemente un enorme senso di meraviglia).

Cosa ne pensi del fumetto in Italia, oggi? E, in particolare, il fumetto per bambini e ragazzi?
Alla prima domanda mi rifiuto di rispondere [risata].
Passando alla seconda, potrei essere provocatorio e dire che non esiste. Ovviamente non è vero ma tra il poco che c’è, il materiale di qualità interessante è davvero pochissimo.
Credo che soprattutto non esista una cultura dell’editoria e del fumetto per bambini e per ragazzi, com’era “una volta”, e lo dico senza alcun intento nostalgico.

Secondo te, come può questa carenza influire sul piano culturale (del fumetto e in generale)?
Non sono né un sociologo né un educatore, posso solo fare qualche osservazione personale. In generale credo che in Italia tutto il processo formativo, didattico ed educativo abbia dei problemi. Non si è ancora trovato veramente il modo di integrare tutti i possibili supporti, strumenti e linguaggi che in troppo poco tempo sono diventati disponibili per l’attività didattica (dai vari supporti multimediali a Internet).
Buona parte di questa attività è implicitamente demandata alle famiglie, che pare non se ne occupino (da quanto capisco, questa è la posizione polemica di molti insegnanti). O, più semplicemente, indirizzano i ragazzi verso una fruizione passiva.
Sul fronte del fumetto, col tempo è mancato quasi del tutto quello che in passato è stato un vero e proprio motore (anche produttivo!) per l’intero settore: in passato il segmento del fumetto per bambini e ragazzi è stato fortissimo e la sua progressiva scomparsa prosegue da almeno venticinque anni.

Quali sono secondo te, tra le letture che facevi da bambino, quelle che potrebbero essere attuali e valide anche per i bambini di oggi?
Forse Disney e Il Giornalino, anche per mancanza di alternative. Ma nonostante il grande prestigio e l’indubbio scrupolo editoriale (penso specialmente al Giornalino) sono nomi che oggi indicano fumetti molto diversi – necessariamente – da quelli di un tempo, visto quanto i bambini e i ragazzi sono diversi oggi. Credo che in parte rispondano alle stesse esigenze ma il problema è precedente la ricerca della qualità editoriale ed è la disaffezione alla lettura, che semplicemente non è più un modo per passare il tempo.

Parlando, in conferenza, hai specificato che non sei propriamente un critico del fumetto (anche se personalmente penso che, almeno parzialmente, tu lo sia): in Italia si parla spesso della carenza di critici del fumetto… Come ti spieghi questa situazione?
La cosa è molto dibattuta e leggo a più riprese tanti punti di vista commenti e osservazioni. Non penso che la mia opinione sia particolarmente autorevole (anche perché il mio interesse per la questione è abbastanza limitato) ma capisco il problema.
Dicevo che non sono un critico perché, in senso stretto, è così: la mia formazione non è letteraria e il mio approccio alle opere non è critico, nel senso che non ho elaborato né sposato, e quindi non applico, una particolare metodologia. Naturalmente ho delle opinioni sul fumetto, sugli autori, sulle storie e se proprio vengo tirato per i capelli (per fortuna ne ho pochi e li tengo corti) le esprimo anche, ma non definirei «critici» i miei interventi.
Quando penso alla critica penso a una funzione molto importante, una pratica intellettuale alta col compito importantissimo di farci capire cose nuove sulle opere, di darcene nuove chiavi di lettura. La critica è quella che ci fa dire «Perbacco! Non ci avevo pensato!».
Nel fumetto questo qualche volta mi capita, ma raramente a dire il vero. Al novantanove per cento sono opinioni, ovviamente legittime, talvolta anche molto interessanti.
Credo però l’approccio critico sia altro.
Mi piace ricordare Franco La Polla, grande americanista scomparso recentemente, uno dei padri degli studi italiani moderni sul cinema, una mente di acutezza e brillantezza intellettuali rare. Aveva una comprensione profonda del ruolo della cultura popolare e della sua capacità di rappresentare l’anima di un popolo e lo spirito dei tempi, convinzione che lo portò sempre ad avversare ogni residua, anacronistica distinzione tra cultura alta e bassa, sostituendola con quella tra ciò che è e fa cultura, e ciò che fallisce e non ci riesce. Era per esempio un grande appassionato di Star Trek (la serie classica, naturalmente!), su cui ha scritto i migliori testi critici in italiano, e pur non seguendo regolarmente era estremamente interessato al fumetto, di cui conosceva bene il ruolo nella genesi delle contro-culture USA degli anni Sessanta. Non era certamente un critico di fumetti in senso stretto ma ogni volta che esercitava il suo acume critico sul fumetto produceva affermazioni e nuovi punti di vista che mi colpivano sempre.
Ricordo che a un incontro pubblico su Eisner, ma da lettore non specializzato ma chiaramente molto acuto, nonché da grande conoscitore della letteratura e dell’animo ebraico-americano, ha praticamente “divinato” taglio, impostazione e temi ricorrenti nella maggior parte dei lavori di Eisner a partire da alcuni libri che gli avevo fatto pervenire (Verso la tempesta, Dropsie Avenue e poco altro).

Dicevamo che sei traduttore, ma anche editor. Come ci si sente a lavorare gomito a gomito con Leo Ortolani, geniale papà di Rat-Man? Le gag che ti vedono protagonista nascono da fatti reali, o sono intuizioni totalmente inedite? Per concludere, domanda da rattofili: quanto dura, davvero, la tua pausa pranzo? Grazie, Andrea!
Se dipendesse da me, la pausa pranzo sarebbe più breve del pranzo (Leo, se questa la leggi e poi la usi, mi devi una royalty). In realtà quando si è sotto scadenza diventa un lusso anche quella…
E lavorare con Leo è qualcosa per cui andrebbe inventato un termine ad hoc, perché chiamarlo “lavorare” proprio non gli rende giustizia.
Le gag? Da me non saprete nulla.

Per le immagini di questo articolo, © aventi diritto: 1) Davide G.G. Caci (fotografia) e Gianfranco Goria (post-produzione); 2) Fandango Libri/Will Eisner; 3) Will Eisner; 4) Leo Ortolani.