Betty Boop, creata dal disegnatore e animatore Miron “Grim” Natwick – scomparso centenario il 7 ottobre 1990, sgambettava già da tre anni quando, il 23 luglio del 1934, uscì la prima striscia a fumetti, disegnata da Bud Counihan. Ma la staticità dell’immagine e il ridotto formato delle vignette facevano perdere alla bella protagonista quasi tutto il fascino, la bellezza, anche la giovanile esuberanza che esprimeva nei cortometraggi animati realizzati da Max e Dave Fleischer, due maestri dell’animazione che davano non pochi fastidi alla nascente fortuna di Walt Disney. Se sulla carta stampata Betty Boop è vissuta solo pochi mesi (fino al 23 marzo 1935, con un’appendice domenicale fino al 27 novembre ’37), sugli schermi ha attraversato l’intero arco degli anni Trenta, fino al 1939 quando le critiche dei soliti bacchettoni moralisti spinsero la censura americana a vietare le proiezioni. Finiva così la vita artistica di questo grazioso personaggio, importante nella storia del fumetto e del costume, ma per Betty Boop sarebbe subito iniziata l’immortalità, utilizzata a lungo, ancor oggi, nel mondo della moda e dell’oggettistica di consumo, in borse, scarpette, perfino giarrettiere e orecchini. Quando è nata, Max Fleischer si era ispirato alle dive del momento, come Clara Bow, Helen Kane, Jean Harlow, forse anche Marlène Dietrich e Greta Garbo. In anni più recenti, a lei si sono ispirate Marilyn Monroe e altre attricette, solitamente catalogate come “oche giulive”. Ma la nostra Betty era tutt’altro che stupida o ingenua, e in un universo fino allora dominato da animali più o meno divertenti come Felix the Cat, o benpensanti come Topolino, e da pochi personaggi umani (Arcibaldo e Petronilla, Blondie e Dagoberto), tutti rigorosamente sposati e senza troppi grilli per la testa, Betty Boop ha portato, con la sua minigonna in anticipo sui tempi, un pizzico di malizia, quasi peccaminosa e proibita, sia pure a “luce rosa”. Per questo è entrata nella storia, per niente cancellata da altre eroine più svestite, del cinema o dei fumetti, che non hanno lasciato un profondo segno nella memoria. [Articolo di Carlo Scaringi].