Il fumetto francofono ha sempre sviluppato il filone umoristico, con storie e personaggi che prendono in giro situazioni di luoghi ed epoche remote, dal mondo dell’antica Roma, messo amabilmente alla berlina nella saga di Asterix a quello del classico West di Lucky Luke. Il primo esponente di questo filone è stato il belga Georges Rèmy, che si nascondeva dietro lo pseudonimo di Hergè, e che giusto 80 anni fa ideò quel simpatico e sbarazzino giornalista giramondo, universalmente conosciuto come Tintin. Il suo giovane eroe nacque il 10 gennaio del 1929 sulle pagine del supplemento per ragazzi del “Vingtième Siècle”, un quotidiano cattolico di Bruxelles dove Remy, allora giovane, lavorava. Nel corso dei decenni successivi Tintin ha compiuto un vero e proprio giro del mondo, quasi sempre accompagnato dal fido cagnetto Milù. E’ stato perfino sulla Luna (in una storia iniziata sul giornale Tintin il 30 marzo 1950 e terminata sulla rivista nel 1952, la cui prima parte uscì poi in albo nel 1953, quattro anni prima dello Sputnik, e il cui secondo volume, quello con lo sbarco sulla Luna, venne pubblicato in albo nel 1954, 15 anni prima dello storico volo dell’Apollo 11 di Armstrong – NdR). In ogni avventura ha portato sempre un pizzico di buonumore, qualche momento di tensione (il taglio poliziesco, l’intrigo politico o spionistico sono costantemente presenti), e anche, ogni tanto, qualche goccia di sano nazionalismo che secondo qualcuno è forse sfociato, negli anni della seconda guerra mondiale, in una forma di adesione alle teorie naziste. In realtà, scrivendo e disegnando le avventure di Tintin, Hergè ha sempre evitato precise connotazioni politiche, esprimendo invece un netta condanna di tutte le dittature. La storia più politicizzata è stata senza dubbio la prima, che vede il simpatico giornalista partire alla scoperta dell’Unione Sovietica. Raccolta in volume l’anno successivo, “Tintin nel Paese dei Soviet” non ha mai avuto il successo che avrebbe meritato, con tirature e diffusione sempre limitate. Questa storia, vecchia di ottant’anni, non è solo fonte di divertimento, ma è anche istruttiva sul piano ideologico e storico. Non c’è ancora nessuno dei personaggi fissi che accompagnano Tintin (i poliziotti Dupont e Dupond, il professore Girasole, la soprano Castafiore, ecc.), ma c’è già il cagnetto, che svolge quasi una funzione di “coro” o di voce della coscienza. Qui troviamo Tintin in viaggio alla scoperta del “paradiso” sovietico, e subito braccato dalla Ghepeù e altre polizie, che vogliono impedirgli di raggiungere Mosca e raccontare la verità. Caos, file, fame, miseria, repressione, in una parola la dittatura: è quanto incontra quasi ad ogni vignetta il nostro ancora ingenuo eroe, in un viaggio dove non mancano pericoli ed emozioni, accompagnati da pungenti frecciate al regime, che oggi appaiono veritiere e profetiche. La condanna del totalitarismo è netta, come sempre netta è stata, in altre storie ambientate talora in Paesi di fantasia, quella per ogni forma di militarismo, di autoritarismo, di violenza. Tintin, al di là delle riserve ideologiche che possono sussistere sul suo autore, è un moderato – sia quando deve occuparsi dei gioielli della Castafiore o dei militari corrotti di certe repubbliche sudamericane -, un uomo tranquillo, anche se spesso finisce in situazioni movimentate, amante di una vita avventurosa, ma serena e senza scosse, che non gli viene certamente garantita dalla dittatura. [Carlo Scaringi]