Molestie sessuali, traumi infantili e altre simili ‘sciocchezze’…

lo psichiatra Fredric Wertham

Tra i tanti “traumi” che, accumulandosi negli anni in cui ero sprovvisto degli strumenti mentali per affrontarli decentemente, sono sfociati nel 2011 (per un insieme di altri fatti e definitivi traumi scatenanti) in quella misconosciuta e spesso troppo tardi riconosciuta allucinante malattia che si chiama disturbo depressivo (ora guarita grazie alle cure e all’impegno, ma che mi aveva portato a un passo dalla fine, oltre a farmi vivere un indescrivibile inferno), ricordo (ora che, con la guarigione, si è sbloccata anche la mia memoria del passato, oltre a essersi aperte le porte del paradiso) anche un episodio di “molestia sessuale”, come la si definirebbe oggidì.
Avrò avuto sei o sette anni e avevo già subito il trauma principe della mia lunga vita (il trasferimento da Roma a Torino, da una situazione di benessere -anzi, di lusso- alla vita operaia della allora grigia città della FIAT del 1960, da frequentazioni di un certo tono, all’essere brutalmente trattato come un “terrone” senza nemmeno capire cosa volesse dire… eccetera, ma di questo magari scriverò più avanti). Già avevo incubi notturni su case con scale dalle quali potevo cadere (dovuti, suppongo, alla visita fatta coi miei al palazzo dove avremmo abitato, a lavori in corso, quando le scale non avevano ancora i mancorrenti e io ne avevo terrore) e avevo affrontato il trasferimento con la rassegnazione istintiva di un bambino di sei anni, ma senza capirlo e sentendomi completamente sradicato, tanto più che la figura maschile di riferimento (mio fratello di nove anni più grande di me, dato che mio papà era Carabiniere e sempre in giro per l’Italia) era rimasta, per propria scelta, a Roma. In tutto questo tourbillon continuo di emozioni e sensazioni sgradevoli che non riuscivo minimamente ad affrontare e di cui non riuscivo nemmeno a lamentarmi coi miei genitori (non trovavo parole e temevo di essere io colpevole, perché incapace di affrontare le cose), un giorno un ragazzo che abitava nel palazzo mi fece fare un giro in cantina.
Non stupisca troppo: erano anni, quelli, in cui un bambino veniva naturalmente mandato in giro da solo per strada a giocare, nei prati, nei palazzi accanto (in costruzione per la maggior parte), o a comprare il latte, o il giornale, senza che ci fosse niente di strano o pericoloso, nel sentire comune. Per cui ero fuori casa e, senza alcun timore, andai a scoprire le cantine del mio palazzo con lui… Il ragazzo, invece, voleva forse sperimentare qualcosa di diverso, chi lo sa, o forse aveva solo quella pulsione alla scoperta del corpo (anche altrui) che tutti abbiamo a un certo punto. Fatto sta che, nella sua cantina, mi fece spogliare (“per giocare”, ma io ero ancora così terribilmente ingenuo che davo per scontato che se qualcuno mi chiedeva di fare qualcosa, si faceva, mica c’era pericolo, era un gioco, e non sapevo nemmeno dell’esistenza dei “secondi fini”), mi legò i polsi a un tubo “per giocare” e… a me scappava pipì sul serio. Così, disturbato dall’evento imprevisto, cercò tra quelle di suo padre lì attorno e mi diede una bottiglia da vino in cui la feci. E la cosa, per quel che ricordo, finì in quel modo. Ormai scombinato, mi liberò, mi rivestii e tornai a casa – fine del “gioco”. Com’è stato per me per parecchi decenni, non capii subito cosa era capitato: sono stato lento a capire qualunque cosa, per decenni. Ma che qualcosa era “storto” il mio subconscio l’aveva colto benissimo: si aggiunsero altri elementi ai miei incubi notturni: le cantine, i piani sopra il nostro (dove abitava quel ragazzo)… Diverso tempo dopo (immagino un anno, o due, o tre. non so), per qualche motivo che non ricordo, la mamma di quel ragazzo suonò al campanello e mia madre aprì: dovevano vedersi, a quanto pareva, perché mia madre voleva regalare,a  quel ragazzo, un libro (forse si trasferivano, chissà). Il libro era il mio libro d’infanzia preferito, un’avventura di fantascienza per ragazzi che mi aveva emozionato e commosso e che mia mamma gli regalò senza alcun problema, giacché, in fondo, lo avevo già letto, quindi cosa lo tenevo  a fare, ormai? Purtroppo casa nostra era piccola assai (nessun paragone con quella in cui eravamo ospiti a Roma, che era casa da ricchi ricchi – suoi lontani parenti presso cui mia mamma lavorava come domestica) e la gran parte dei miei libri e fumetti (che per me erano gioia pura, momenti di felicità su carta) e persino la mia prima chitarra, fecero quella fine, riciclati di solito verso parenti (incolpevoli e ben felici, ovviamente) a parte quelli che riuscivo a occultare quando avevo sentore di una “pulizia” in arrivo. Così, con normale leggerezza (come dicevo io non riuscivo a esprimere ciò che mi disturbava, compresa la pulizia letteraria, e supinamente accettavo le scelte della famiglia, quali che fossero, costretto dai sensi di colpa: “non vorrai mica essere egoista e tenere tutto solo per te?”), mia mamma, santa donna, diede quel libro a quel ragazzo. Anche se era passato diverso tempo da quel fortunatamente non così traumatico episodio (tuttavia causa di grande disagio interiore non metabolizzato), io provai delle sensazioni terribili, in quel momento. Mia mamma regalava il mio libro preferito a quel ragazzo…

In quel momento fu chiaro che l’episodio, seppure di scarso rilievo fisico, mi aveva colpito duramente, come altri della mia infanzia torinese, e andava ad accumularsi coi precedenti e con quelli che sarebbero venuti poi. Tutti, per moltissimi anni, affrontati senza la capacità di reagire, anzi, caricandomi automaticamente di sensi di colpa.
Avrei avuto bisogno di un neurologo, già allora. Ma, a parte i soldi che non avevamo, a quei tempi dei problemi del cervello e della mente non ci si occupava proprio: erano considerate sciocchezze da deboli e venivano disastrosamente affidati al prete confessore (che, almeno nel caso di quelli incrociati da me, avrebbero avuto molto bisogno di uno psichiatra…). Tutto questo succedeva negli anni in cui lo psichiatra Fredric Wertham si preoccupava dell’influenza nefasta dei fumetti sulla mente dei piccoli lettori… Robe da matti.

Ma nonostante tutto, non sono diventato un serial killer, e questo è già qualcosa.

acqua ghiaccio neve - foto Goria

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