Osservare

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Bah. Tanto vale scriverne, per quel che serve… A me, come dicevo qualche anno fa, aiuta a fare il punto, di tanto in tanto. Sì, devo ammetterlo, sono un illuminato. No, non perché sto sotto una lampada, ma proprio in quel senso là, d’uso comune. Uno che “ha visto la luce”. Ma non come i Blues Brothers, ehheh! Magari!… E nemmeno perché sia passato per la ben nota esperienza di “pre-morte”, no. E non sono nemmeno un caso raro (anche se, con l’etichetta di illuminato, si conoscono di solito solo quelli come i Krishnamurti – Jiddu e Uppaluri, Morihei Ueshiba, alcuni noti maestri Zen e compagnia bella, mentre invece, a mio modesto avviso, è una naturale esperienza umana).

Com’è successo? Così. Ero lì ed è successo. Giovanotto, ma già con due figli nell’altra stanza. Non ero più un “credente” da un po’: la vita mi aveva già sbatacchiato quanto basta e, poco tempo dopo la prima volta che vidi la luce, la vita mi avrebbe fatto cadere il cielo sulla testa, come direbbe Asterix, e più d’una volta. Comunque ero lì, in sala, da solo. “Che fo, provo questa vecchia tecnica yoga? Ma sì, va, tanto per fare: l’ho già usata per tanti di quegli anni, con tutte le forze, disperatamente a cercare di far venire giù il Cielo, senza alcun risultato… ora che non sono più saturo di inutili parolone e fede beota e boccalona, posso magari provarla da scettico, da ateo, da miscredente, da semplice essere umano… Vediamo che si vede, se c’è qualcosa da vedere.”
Il solito niente, ne ero convinto, ma mi interessava solo osservare. Osservare e basta, senza aspettative, senza fede, senza niente: osservare da scienziato, diciamo così.
Tecnica banale, che non prevede sostanze chimiche, che si pratica da svegli, niente trance o robe del genere. Come tante altre simili, in cui respiri (peraltro come faresti a far vivere il tuo corpo, viceversa?), “osservi” il tuo respiro (che noia!), lo trattieni brevissimamente e, caso mai, tieni le mani sul viso giusto perché i globi oculari non schizzino di qua e di là come fanno di solito (anche a occhi chiusi) altrimenti c’è solo un gran caos di macchie e macchiette buie con relativi sprazzetti elettrici luminosi o quel che sono (anche peggio, se hai il vitreo staccato, come succede a molti a una certa età). Ma i dettagli “tecnici” contano poco (forse niente addirittura: chissà quante ce ne sono, di robe simili, sviluppate da umani nel corso dei millenni, nel tentativo di scoprire qualcosa su se stessi e il mondo). Ormai ero da tempo abbastanza convinto che quel che si potesse vedere, in quel modo, fossero solo le naturali luminosità oculari e che qualche babbeo si fosse convinto che quelle lucine (e ne puoi vedere di ben più abbondanti se sei così stupido da darti una ditata in un occhio!) fossero “La Luce” e che qualche altro furbacchione ci avesse messo su un’industria, quella del “mo’ ti insegno io a vedere la Luce, caccia la grana e fai tutto quel che ti dico!”. Per cui ero lì davvero solo come osservatore neutro e neutrale. Pronto a osservare (tranquillamente concentrato su quel che stavo per fare, sveglio, rilassato e con attenzione scientifica) tutto il solito niente di particolare cui ero abituato da decenni.

Invece…

Questione di meno di un secondo, direi, e tutta l’esperienza sarà durata al massimo qualche secondo, penso, anche se a raccontarla mi sembra un sacco di tempo.

Lucine, macchioline, stupidaggini varie. Che palle… Oh, guarda, la solita lucetta più insistente della altre. Ciao!… Mh. Attorno si addensa come una “nube”, non saprei come dire… Curioso. In mezzo a quella “nuvola” grigia, che diventa più scura, intravedo (ma ha senso dire “intravedo”?) la lucetta di cui sopra… Mah… Forse dovrei andare dall’oculista… La lucetta s’ingrandisce. Ancora e ancora. Il nero denso le fa da contorno. Ora si “muove dentro” come fosse viva, come una stella. Ma ora diventa una stella! Con cinque punte. Robe da matti: pensavo fosse una descrizione per allocchi, quella della stella circondata dall’alone scuro! Com’è possibile? Ah, ma certo, sarò io che ne condiziono la forma, col subcosciente… eh! Ma la stella è come diventasse gigante e andasse oltre il limite della mia visuale – o come se io stessi “scivolando velocemente “dentro” alla stella. Che buffo. Una luce “come quella di mille soli”, ma non dà nessun fastidio. Ovvio, non è un sole, non emette raggi di alcun tipo, ci mancherebbe. Un attimo: plof. Come nascere: plof, fuori dalla mamma. E qui, plof, “dentro”… cosa? Non c’è nulla. Cioè, è tutto solo luce. Insieme parte una sensazione eccezionale, anzi, sensazioni, che in seguito riesco a descrivere così: “esisto” – “me ne rendo davvero conto” – “che meraviglia” (sensazioni che avrei più in là col tempo collegato a सच्चिदानंद). Pace assoluta, una pace “felice-allegra”, una tranquillità estrema, l’assoluta certezza di esistere e di non poter far altro che esistere, che tutto esiste “in” quella luce, che quella è la realtà, la verità. Una quantità di “cose” del genere, senza fine e senza limite, e la sensazione che “lì” era pieno di “risposte prive di domanda”. Che se avessi avuto la capacità di fare domande, avrei ottenuto qualunque risposta.

Cavolo. Ma allora era vero… Non raccontava una balla...” Il commento era rivolto a chi aveva diffuso la tecnica, garantendo sul risultato. E certo che poteva garantirlo: è una esperienza umana. Tutto qui. Se hai un cervello tipo il mio (non necessariamente scassato come il mio), quella è un’esperienza possibile, naturale.

Vedo la luce e non divento un “santo”. Non divento un “maestro”. Sono e resto come Braccio di Ferro: “sono quel che sono e questo è tutto quel che sono”. Se fossi stato nel mio periodo “credente fedele rintronato – ripetitore pappagallesco di testi letti sui libri o ascoltati da altri che li hanno letti sui libri”, avrei potuto andare in giro a parlare con voce ispirata agli altri e mostrare il cammino, e mi avrebbero creduto, perché il mio tono sarebbe stato veramente convinto… Se fossi stato uno col pelo lungo così, avrei potuto tranquillamente mettere su una setta e farci un sacco di soldi, perché, quando avessi parlato agli adepti della mia esperienza, le mie parole sarebbero state inesorabilmente convincenti, anche perché assolutamente autentiche.
Ma ero nel mio periodo “mi sa che mi hanno raccontato per anni un sacco di fandonie, magari in buona fede, ma fandonie, e io me le sono pure bevute tutte”. Per cui non ho fatto né l’una né l’altra cosa. Ho continuato a vivere. Con tutti i miei problemi e quelli che sarebbero venuti in seguito. E poi, anni dopo, mi è capitato di nuovo. E di nuovo ho solo continuato a vivere. Cercando col tempo di “digerire” questa faccenda. Di capirci qualcosina, posto che ci fosse qualcosa da capire. Magari di andare oltre, cioè di cominciare a vivere davvero la vita, momento per momento. Mi ci sono voluti decenni, molte esperienze di vita quotidiana (e sai bene quanto può esserci, di bello e di brutto, nella “normale” vita quotidiana) e, infine (a conclusione di un accumulo di traumi subiti in tanti decenni) una depressione clamorosa e pericolosa davvero, con relativa (efficace) cura, perché il mio cervello riuscisse a trovare un equilibrio che non aveva avuto, da quando avevo sei anni, per un sacco di motivi, purtroppo molto validi (e di alcuni forse ho parlato altrove, in questo mio blog).

Nel periodo, pericoloso e terribile, della depressione psichica, decenni dopo l’illuminazione, ho avuto modo di imparare una volta per tutte che nel mio cervello (e nel tuo, ovviamente, come in quello di tutti, direi) c’è l’inferno e c’è il paradiso (vedasi Hakuin e il Samurai). C’è tutto, ma proprio tutto. Il “paradiso” (diciamo così, per comodità) l’avevo visto nel suo splendore in quella “luce”; l’inferno, invece, era lì che aspettava soltanto che il mio cervello andasse finalmente del tutto fuori fase. In quei mesi ho compreso i serial killer e gli eroi che muoiono per gli altri. E anche tutte le sfumature in mezzo. Certo, il pensiero dominante, come da manuale, era il suicidio, ché la vita mi era insopportabile, insostenibile, e l’unica via d’uscita era quella tipica del malato di depressione. Per giunta “sapevo” che la Luce sarebbe stata lì, in ogni caso. Bè, adesso posso dire che sragionavo un tantinello, e non ne potevo proprio nulla. Ora la vita è qualcosa di cui godere adesso – in questo momento -, da scoprire continuamente. Pagare e morire c’è sempre tempo, se si sta bene di salute.

E dopo tutto ciò, non stupisca che uno poi consideri le religioni cui si è abituati come cose che non c’entrano nulla con la verità (detto con tutto il rispetto possibile per chi ci crede e ne ricava stimoli per vivere degnamente): pare sia un effetto collaterale piuttosto diffuso (è successo ad alcuni di quegli “illuminati” che ho citato prima, in questo post. Qualcuno ha conseguentemente e coerentemente smesso di fare il “Maestro” o è stato persino “odiato” dai propri discepoli, per aver cambiato radicalmente atteggiamento sulla metafisica et similia, dopo l’esperienza dell’illuminazione). Quella luce la senti come se fosse l’unica vera realtà che sottende a tutto, e tutte le chiacchiere teologiche (di qualunque tipo, da qualunque parte provengano) si mostrano improvvisamente per quello che sono: inutili parole.
Ovviamente, so cosa ho provato, cosa ho “visto” e “sentito-percepito” (anche se mi è impossibile descriverlo decentemente a parole), ma non posso assolutamente dire di cosa si tratti in realtà, e immagino che un qualunque neurologo ne abbia sentite a bizzeffe, di robe simili, che succedono quando, per un istante, manca ossigeno a qualche cellula del cervello (ché, in fondo, di quello si tratta, probabilmente…).
Capisco anche che se a uno capita una cosa del genere, possa (a differenza dei saggi citati) mettere su dal nulla una religione, in buona fede, ma se ci riflettesse un po’, potrebbe decidere che forse non è il caso: le conseguenze potrebbero essere, come mostra la storia, disastrose.

Tuttavia, in fondo, chi sono io per giudicare gli altri illuminati? 🙂
Però, magari, forse potremmo fondare un club… Potrebbe essere divertente. 😉

[Nota aggiuntiva postuma: se la spiegazione scientifica di questa esperienza fosse effettivamente legata “banalmente” alle cellule del cervello, tu che ami la mistica e la metafisica forse, istintivamente, ti sentiresti “offeso”. Capitava anche a me, quando ero un ragazzino. Potresti pensare “Mica sono cretino! L’illuminazione è una roba mistica, non fisica, la Scienza non può spiegarla! Ho mica creduto fin qui in idiozie, io, eh!”. Stop. Rifletti. Tutti noi crediamo spessissimo in idiozie colossali. A volte è persino divertente. A volta sono errori clamorosi. A volte ci hanno preso in giro, in buona o mala fede. Maturità è saperlo riconoscere. Per cui, non offenderti, per favore: sarebbe un comportamento comprensibile ma sciocco. L’esperienza resta la stessa, indipendentemente dal nome che le dai – come la rosa – ma arricciarsi dentro la “metafisica” per continuare a giocherellare con la fantasia, con la superstizione istintiva, con “ciò che è oltre”, è infantile. Noi tutti viviamo in questo Universo. Ha le sue regole, non le dettiamo noi – noi ne facciamo semplicemente parte. E’ “banalmente” Fisica (cioè una affascinante e costante meraviglia incommensurabile!). Con annessi e connessi. Il Metodo Scientifico ci consente, piano piano, di comprendere sempre di più. La Fantasia è buona cosa per stimolare la curiosità e nuova ricerca, purché scientifica. Se “l’illuminazione” fosse (è) un fatto “fisico”, ciò che cambia è solo la tua percezione culturale, non la realtà. Spogliati delle infrastrutture mentali culturali ecc. Forse avranno avuto qualche utilità nel farti arrivare fino a qui, ma adesso, per favore, vivi la Vita per quel che è. Se sei arrivato su questa pagina, non sei più un bambino: è ora di crescere.]

[Nota aggiuntiva postuma 2: “A me non càpita.” – Ahi, fallace, adolescenziale pensiero! Forse anche tu pensi che non finirai mai in galera, non avrai mai l’AIDS (o un qualsivoglia virus disastroso), non avrai mai un tumore, non avrai mai un incidente grave, non soffrirai mai di un disturbo mentale ecc…
Ovviamente, chi sta bene non pensa certo a suicidarsi (se si soffre moltissimo, invece, altroché se ci si pensa! Lo si desidera con tutte le proprie residue forze). Ma ti basta soffrire del terribile, infernale disturbo depressivo maggiore ed ecco che, quando meno te lo aspetti, il tuo cervello ti “ordina” di morire, come unica possibilità, e lo fai, se qualcosa o qualcuno non te lo impedisce. “Ma a me on capita. Il mio cervello funziona benissimo! Non sono mica un cretino, io, o una persona debole!” Ecco, se pensi una cosa cosa del genere, pensi una grandissima idiozia. I disturbi mentali sono troppo spesso decisamente sottovalutati, ancora oggi mentre scrivo, da chi li ha, da chi vive con chi li ha, dalla collettività… ed è un errore drammatico e non di rado tragico. Già se pensi “a me non capita” potresti proprio averne qualcuno, di disturbo mentale, sai? Non è un approccio sano pensare “a me non capita, capita agli altri”, anche solo per per il banale fatto che tu sei “gli altri” degli altri. Gli altri, sei tu. E può capitarti, in questo Universo, di tutto, dal meglio al peggio. Ed è inutile, se non sciocco e deleterio, affidarsi a superstizioni, fantasie, immaginazione, illusioni, speranze o imbroglioni. Un sano approccio scientifico (cioè basato su un rigido metodo scientifico applicato da chi ne ha la vera competenza scientifica) è consigliato, per affrontare eventuali difficoltà. Si eviteranno danni ulteriori a sé stessi e agli altri, IMVHO. 

Certo, come dicevo, fantasia e immaginazione svolgono una importante funzione nello stimolare la curiosità scientifica, e anche a dare sollievo e piacere e divertimento. Ma se le usi al posto della scienza, hai un enorme problema. Le trasformi in generatori di illusioni, di vane speranze, di placebo consolatori inefficaci quando non tragicamente disastrosi… 
Ormai ho una certa età. Avanzata, si usa dire. Forse, anzi, mentre tu leggi queste mie righe sono già morto e gli atomi del mio corpo sono stati ridistribuiti ad altre forme di vita, per suscitare nuova meravigliosa vita, in questo nostro affascinante Universo dinamico e sempre in moto.
Fatto sta che uno dei pochissimi vantaggi del riuscire a diventare vecchi (per inciso: l’unico rimedio sicuro alla vecchiaia è la morte precoce, ma non mi sento di consigliarla in tutti i casi) è che si accumula esperienza. Non che questo renda automaticamente migliori, eh. Però si può almeno cominciare (se non lo si è fatto prima) a cercar di limitarsi a parlare per esperienza diretta, delle cose che si sono vissute in prima persona, tipo quelle di cui sto scrivendo, e con parole proprie (se si è in grado) e non più con parole altrui (per lo meno in quel breve tratto di vita che ci è concesso tra la vecchiaia e la demenza senile et similia, si capisce). E, da qualche tempo, di solito evito di parlarne (delle cose di questo post), ché troppo spesso l’interlocutore non ha la curiosità scientifica necessaria per apprezzare quel che racconto della mia lunga e breve vita. Ancora troppo pieno di sé, e dell’infinità di parole altrui che usa ancora come inutili talismani invece che come semplici e sostituibili stimoli, per cui se le parole che sente non coincidono con quel che ritiene essere il proprio pensiero (e non è nemmeno detto che lo sia, ma magari ci si è abituato e ci sta comodo dentro), la curiosità non sorge e, anzi, si passa altrove. Per giunta sono logorroico, per cui sai che palle. Le scrivo qui, queste cose, per esteriorizzarle: a me serve per buttarle fuori, come accennavo. Se poi serviranno anche a qualcun altro, meglio così. Altrimenti fa lo stesso. 
In ogni caso, in base alla mia esperienza da anziano, dico che non si deve aver mai paura della verità, della realtà, delle cose come sono. IMVHO, non si deve cercare di nascondere ciò che non ci piace con falsità, irrealtà, illusioni et similia, solo per allontanare l’idea (o la realtà) della sofferenza (effettiva o ipotetica). Inutile e talora dannoso coprire l’idea della morte con l’illusione di una vita oltre la morte di cui non v’è certezza. Inutile e talora dannoso coprire l’amara sensazione della solitudine costringendosi a credere nell’esistenza di un amico immaginario di natura divina di cui non v’è certezza. Sono solo panni caldi e i panni caldi non curano la morte e nemmeno la solitudine.
Imparare a vivere la vita così come è, apprezzandone la meraviglia continua, godendo dei rapporti fra noi e tutte le altre forme di vita, avendo la curiosità di scoprirne più che si può dell’Universo di cui facciamo parte, magari giocando con le sue regole (prima dobbiamo però svelarle con serio metodo scientifico, altrimenti come si fa a giocare?)… ecco, cosette del genere, a mio parere, aiutano a trovare quelle briciole di felicità che andiamo sempre cercando. 

Questa è la mia personale esperienza, a questo punto della mia lunga e breve vita. Che dura un attimo, si sa: questo. Questo. Questo…. Cavolo, il presente non esiste proprio! E’ una costruzione mentale da umani (d’altronde anche il tempo è robetta strana: lo immaginiamo come cosa a sé, ma senza lo spazio, cos’è mai?). Come ne parli, il “presente” è già passato da un bel po’. Il passato, bè, lo vediamo consolidato in quel che abbiamo di fronte, ma in fondo non c’è più: ci sono solo gli effetti del passato. Il futuro lo ignoriamo; ci divertiamo a immaginarlo, sognarlo, ipotizzarlo… ma resta sempre nascosto dietro di noi – ci giriamo per guardarlo e non c’è, è ancora e sempre dietro, nascosto… potrebbe persino non esistere, chissà. E il presente (quello che ti si dice di vivere, hic et nunc, ah, bizzarro consiglio, dopo quel che ho appena scritto) è decisamente inafferrabile, il pensiero del presente è Eleaticamente impossibile quanto il paradosso di Achille e la tartaruga. 
E tutto questo ragionar è inutile quanto ridicolo, per cui famose ‘na risata, va’, e viviamocelo, questo attimo di affascinante vita che abbiamo a disposizione, ché si è fatto tardi!] 😉

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