Dalla nostra corrispondente Alice Buscaldi:
Nel corso degli anni, il Festival Internazionale del Film d’Animazione di Annecy, ci ha fatto scoprire produzioni cinematografiche di rara bellezza, in cui tecnica e tematiche importanti e urgenti si incontrano dando vita a opere uniche nel loro genere (il recente Sultana’s dream di Isabel Herguera, o La Traversée di Florence Miailhe, solo per citarne un paio).
Quest’anno, nella categoria Contrechamp, abbiamo scoperto un’autentica pepita d’oro : il lungometraggio animato «Lesbian Space Princess » delle autrici australiane Emma Hough Hobbs e Leela Varghese.

Sin dai primi minuti dall’inizio del film, tra fondali coloratissimi e dialoghi pieni di humour, la suddetta pepita riesce a sedurre lo spettatore. Siamo sul pianeta Clitopolis (la forma potete facilmente immaginarla), in un regno matriarcale gestito da due regine assertive e simbiotiche sovrane. La giovane principessa Saira é appena stata scaricata dalla sua «non esattamente dolce ma alquanto fedifraga » metà Kiki – sorta di incorreggibile avventuriera arrivista e senza scrupoli ma dotata di innegabile fascino ‘ferino’ e dalla morale decisamente ‘maschilista’ – che la pianta in asso qualche minuto prima dell’inizio del suo ballo di compleanno.
Notiamo subito come Saira sia un personaggio introverso e ansioso, incapace di uscire dalla propria «zona di comfort », per la quale solo l’essere amata da Kiki, vera e propria cacciatrice badass, audace e avventurosa, costituisce un motivo di riscatto e autodeterminazione. Ma, poco dopo averla scaricata perché «troppo noiosa e soffocante », Kiki verrà presa in ostaggio da una strampalata banda di M-aliens (M sta per male, maschio) bianchissimi, nerd e, ovviamente, rabbiosamente (v)eterosessuali e bramosi di ottenere vendetta sulle odiatissime lesbiche « che si prendono tutto e ci deridono ».

Il film è anzitutto un’appassionata e ironica ode all’universo queer e femminista, una commedia libera da pregiudizi e ricca di humour : il pianeta Clitopolis è difficile da individuare, almeno per certe persone, e i M-aliens rappresentano un classico cliché macho-maschilista, anche nella loro fisionomia di rettangoli bianchi, nella scarsa espressività e nella personalità vittimista, autoreferenziale e decisamente ottusa.
Si tratta anzitutto di una divertentissima avventura «inter-gay-lattica» (definizione coniata in occasione dell’esordio europeo del film nel febbraio scorso al Festival Internazionale del film di Berlino, dove ha ottenuto il Teddy Award, riconoscimento riservato a opere di argomento LGBTQ+) che attraverso un’animazione stile Adventure Time riesce a raccontare una storia d’emancipazione e self-love (Saira capirà alla fine del suo viaggio che volersi bene é la prima tappa fondamentale per accettarsi, indipendentemente dall’essere in una relazione o meno).

Insomma un film che chi scrive consiglia tantissimo, perché proietta su grande schermo la metafora di una realtà estremamente dura e complessa (la lotta contro il patriarcato), e di tutte le etichette sociali a cui si contrappone la libertà di essere sé stessi, qualunque forma o colore si abbia, a prescindere da paillettes, sfilate e aspetti più folkloristici cui la questione viene, strumentalmente, troppo spesso ridotta.
Con l’unica arma del sorriso, Emma Hough Hobbs e Leela Varghese hanno raccontato le proprie paure e insicurezze di donne queer e femministe (Saira costituisce una rappresentazione immaginifica delle loro esperienze di vita prima di diventare una coppia, quattro anni fa, ndr), sottolineando come essere una persona queer non significa appartenere per forza ad una realtà queer, ma come sia possibile sentirsi fuori posto anche là dove in apparenza ci si dovrebbe sentire parte integrante di una comunità.

Giugno è il mese del Pride, ma questo film spero avrà modo di portare l’orgoglio di essere sé stessi in giro per il mondo per tutto l’anno… e oltre.
Trailer (in inglese)
Scopri di più da afNews Fumetto e dintorni dal 1995 non profit journalism
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.



