afNews 2 Marzo 2023 17:30

Leggere Dahl senza Dahl: due parole del Gatto sulle traduzioni “omogeneizzate” di uno scrittore volutamente indigesto

Netflix, il gigante dello streaming, nel 2021 ha di fatto acquisito la Roald Dahl Story Company, detentrice dei diritti di pubblicazione di tutte le opere dello scrittore britannico di orgini norvegesi Roal Dahl.

“Vogliamo garantire che le meravigliose storie e i personaggi di Roald Dahl continuino ad essere apprezzate da tutti i bambini di oggi. Quando si pubblicano nuove tirature di libri scritti anni fa, non è insolito rivedere il linguaggio utilizzato e aggiornare altri dettagli, come la copertina e l’impaginazione“ – faccenda un po’ diversa, a dire il vero, dal cambiarne i contenuti – “Il nostro principio guida è sempre stato quello di mantenere le trame, i personaggi, l’irriverenza e lo spirito tagliente del testo originale. Tutte le modifiche apportate sono state piccole e attentamente considerate“.

La spiegazione convince relativamente.

Inclusione e accessibilità diventano precetti dogmatici, quando prescindono dalla comprensione non solo del testo ma anche delle motivazioni, dal vissuto e, soprattutto, del contesto di uno specifico autore.

Processi che sembrano scontati per quanto riguarda la letteratura “degli adulti”, che viene il più delle volte riproposta tale e quale o accompagnata da approfondimenti critici e, appunto, doverose contestualizzazioni. Una premura che i colossi mainstream non ritengono a quanto pare necessario riservare ai “prodotti” a loro giudizio espressamente rivolti al pubblico dei “minori”, un “target” che invece va sempre “accompagnato”, quando non “scortato”, verso il sentiero più largo, diritto e “comprensibile”, nel senso di “accettabile” secondo i parametri contemporanei.

Che, va ricordato, restano quelli decisi dagli Adulti.

Per poter leggere Fernand Céline in modo adeguato e non ideologico è necessario un attento studio della sua vita e delle sue ossessioni, anche letterarie; mentre, secondo i colossi dell’editoria, autori quali Dahl – ma anche Pamela Lyndon Travers e A.A. Milne, tanto per citare alcune delle vittime principali di un processo di banalizzazione e financo “assimilazione” che troviamo efficacemente descritto nel recente saggio di Dario Bonifacio, “La disneyficazione: dimensioni e registri di un linguaggio universale” – non è necessario analizzarli, basta ingurgitarne il livello più superficiale quali innocue ninne nanne che rendano il più confortevole possibile l’infanzia e, soprattutto, il lavoro di genitori ed educatori.

I bambini però leggevano, e tanto, da ben prima che arrivasse lo zio Walt col suo esercito di fatine e animali parlanti a monopolizzare la loro fantasia a suon di effetti immaginifici e narrazione semplificata e forzatamente “inclusiva”, imponendo a suon di sorrisi e canzoncine quelli che sono tuttora i parametri imprescindibili dell’intrattenimento e dell’educazione stessa: immedesimazione, emotività e leggerezza.

I bambini leggevano già anche Mary Poppins e, pur non potendo avere ancora i fondamenti per afferrarne chiaramente la portata mistica e intellettuale, la intuivano essere ben lungi da una “fatina” premurosa tutto zucchero e canzoncine… piuttosto, una creatura antica e a suo modo “pericolosa”, venuta a insegnare – compito cui sempre più adulti hanno deciso di abdicare – che esistono alcune leggi fondamentali della realtà, e occorre rispettarle se si vuol vivere in modo davvero libero e consapevole.

In Roald Dahl i bambini hanno invece incontrato uno di loro, anche nel linguaggio e in talune, rabbiose, “ignoranti” scorrettezze, di fatto espressione della rabbia suscitata da quella terribile guerra occulta – ostinatamente negata in quanto rappresenta l’estremo tabù sociale, per quanto sotto gli occhi di tutti ogni giorno – dichiarata dai Grandi contro i Piccoli e che prescinde la stessa età anagrafica.

Come si può pensare di far “parlare bene” il Ragazzo Roald, sottoposto come i suoi amici alle angherie, alle violenze e all’arbitrio sadico di adulti il cui ruolo dovrebbe – secondo le nostre attuali convinzioni – essere quello di educarli e proteggerli? E come si pretende di “edulcorare” la spaventosa ferocia della Signorina Trinciabue, la quale non esita a picchiare, deridere e angariare in ogni possibile modo gli alunni affidatile da genitori a quanto pare incapaci di “vedere” cosa capita sotto i loro occhi?

I Grandi odiano i Piccoli, ne disprezzano la “debolezza”, l’assurda propensione a sognare una realtà meno squallida e proterva. Ambiscono a farli crescere in fretta, a suon di soprusi, a plasmarli per renderli uguali a sé stessi. I “protervi”, i ribelli, devono essere ricondotti nei ranghi. O sparire.

A ben guardare, gli adulti di Dahl sono i veri “villain” delle sue storie, componenti di una società egoista e sostanzialmente ostile alla popolazione dei Piccoli, i quali vengono considerati solo per le loro potenzialità future e mai per le qualità individuali che rivelano nell’infanzia, considerate anzi una seccatura perché “dissonanti” rispetto al conformismo generale. Preferiscono affidare i loro figli a sconosciuti dall’aria marziale, e dunque “autorevole”, che promettono di “raddrizzarli”, chiudendo di fatto gli occhi sulle loro sofferenze in nome del mantenimento di una pretesa “normalità”. Talora, come nel caso di Matilda, li considerano “stupidi” e “cattivi” per il solo fatto di non esserlo tanto come loro, proprio come accadeva alle “caparbie” bambine di Elena Gianini Belotti, con la loro irritante voglia di correre, saltare, e pensare liberamente.

Ma in Dahl sono i paria sociali, i bambini abbandonati e traditi, le “femmine” troppo intelligenti, i figli dei vagabondi, gli orfani, i “nanetti”, “brutti”, “grassi” e “pustolosi” – tutti epiteti, ricordiamolo, usati dai Grandi, dunque necessari a definire il contesto in cui si svolge la narrazione, oltre che la psicologia degli Adulti – ad avere l’ultima parola, come nel caso del “ciccione” Bruno che beffa la terribile preside proprio grazie al suo presunto “difetto”. Questi “minori” bistrattati  riescono anche a salvare i rari adulti degni di stima, i quali forse non sono altro che ex bambini come loro che il dolore e le sopraffazioni non hanno trasformato in persecutori o vittime designate. In essi, probabilmente, si riconosce in modo particolare l’Autore, sopravvissuto all’inferno dei collegi britannici grazie essenzialmente all’innamoramento irreversibile per la lettura. Un amore che, ricordiamolo, oltre ad essere tra i più salvifici, resta a tutt’oggi, intrinsecamente, individuale.

La “neutralità” – rivendicata dall’editore britannico Puffin, da Netflix e, cosa assai più grave, dalla Roald Dahl Story Company, per giustificare il restyling – non è mai stato lo scopo primario di Dahl, né tantomeno quello di “educare”. Semmai, “provocare”, “stimolare”, innescare la “reazione” se non proprio la “rivoluzione”.

L’unica “sensibilità” ad essere davvero cambiata nel tempo, resta sempre quella degli adulti, che la proiettano sulla prole inculcandogli i medesimi parametri con cui sono stati “coltivati” a propria volta: i bambini vivono immersi in un mondo governato dagli umori imperscrutabili di quegli Olimpii immoratalati da Kenneth Grahame ne “L’età d’oro“, talora inaccessibili ma più spesso incombenti e pronti a fulminare coi loro strali ogni forma di “disobbedienza”. Come ben sa chi ha almeno una volta razzolato in strada o in un bosco, le regole dei giochi infantili sono inflessibili e assai pericolose per chi pretende di forzarle, come impara a sue spese il “Borghese stregato” di Dino Buzzati: solo i bambini possono essere tutto, per davvero, gli Adulti non più.

Per questa esclusione dal Paradiso Terrestre, essi – spacciandosi per benevoli protettori – hanno da sempre sistematicamente provato a monopolizzare e omogeneizzare l’unico ambito in cui l’infanzia sfugge al loro controllo: la Fantasia.

Leggere suscita nel giovane lettore immagini e pensieri che sono soltanto suoi, parole comprese.

L’espediente cui la casa editrice è ricorsa dopo la pioggia di critiche – compresa la Casa Reale – per cui verrà mantenuta una Classic Edition riservata ai “puristi” (sic!) accanto alla nuova edizione, pensata espressamente per i ragazzi (come se le edizioni precedenti fossero rivolte solo ai maggiorenni!), appare il consueto “tapullo” per salvare capra e cavoli, e molto simile all’operazione che sta facendo la multinazionale Disney coi propri classici in 2D, oggi tutti in fase di remake digitale: come già avvenuto per Mary Poppins, è prevedibile che la scelta sarà solo potenziale, mentre gli esiti editoriali saranno indirizzati da precise scelte promozionali.

Un’edizione fedele all’originale con note e approfondimenti che contestualizzassero anche il linguaggio usato dall’Autore, sarebbe stata la soluzione più auspicabile. Perché, andrebbe ricordato, Roald Dahl è da sempre “per giovani lettori”, anche nei suoi testi più “imprevisti”, capaci di alimentare l’estro di registi “perturbanti” come Alfred Hitchcok.

Da bambini è possibile leggere qualsiasi cosa, anche l’Ulisse di Joyce o il Mein Kampf, senza la pretesa adulta di “capire tutto”: a rendere positivi o nocivi i dati e le suggestioni inoculate nella mente e nell’anima del neofita sarà l’influenza dell’ambiente e della cultura dominante, ovvero degli adulti con cui egli entrerà in contatto. Si può diventare solidi antifascisti leggendo i deliri rabbiosi di Hitler, e, viceversa, un’interpretazione distorta del più innocente dei racconti è in grado di condurci verso le peggiori selve oscure dell’animo umano. Non le parole costituiscono il rischio, bensì il contesto in cui le si incontrano.

«Prendersi cura dell’immaginazione e delle menti in rapido sviluppo dei giovani lettori è sia un privilegio che una responsabilità“: senza dubbio, ma ergersi paternalisticamente a giudici unilaterali di ciò che è bene o male per essi è ben altra faccenda.

Come parte del nostro processo di revisione del linguaggio utilizzato, abbiamo lavorato in collaborazione con Inclusive Minds, un collettivo di persone appassionate di inclusione e accessibilità nella letteratura per ragazzi“ – ha fatto sapere un rappresentante della Roald Dahl Story Company“L’attuale revisione è iniziata nel 2020, prima che Dahl fosse acquisito da Netflix. È stata condotta da Puffin e dalla Roald Dahl Story Company, insieme“.

Che poi lo stesso Roald Dahl 40 anni fa avesse focosamente diffidato i propri editori dal cambiare anche solo una virgola dei suoi libri, pena il farli divorare dal suo Coccodrillo Enorme, dovrebbe in teoria mettere la parola fine alla questione.

Ma ai fini del dibattito non si può di certo ignorare, da una parte, l’opinione di alcuni autorevoli critici e validissimi traduttori che sostengono la legittimità dell’operazione in nome di una presunta “continuità del tradimento” rispetto all’originale, e, dall’altra, l’evidente, vasto piano editoriale di cui l’intera operazione, alla resa dei conti, parrebbe una diretta manifestazione: continuare a diffondere il “prodotto Dahl” in versione “light” digeribile per tutti, adattabile a ogni formato multimediale ed “esportabile” su ogni mercato elidendone gli aspetti più “disturbanti” e potenzialmente polemici.

In sintesi: vendere Roald Dahl svuotandolo da Dahl.

(questo testo rapparesenterà BAO-Biblioteca Aperta di Ostana in occasione dell’odierno flash mob “𝗟𝗲 𝗽𝗮𝗿𝗼𝗹𝗲 𝗱𝗶 𝗥𝗼𝗮𝗹𝗱 𝗗𝗮𝗵𝗹 𝗮𝗹 𝗙𝗼𝗻𝗱𝗼 𝗧𝘂𝗹𝗹𝗶𝗼 𝗗𝗲 𝗠𝗮𝘂𝗿𝗼” che si terrà a Torino, in Via Arsenale 27/E interno Galleria Tirrena e in diretta facebook.

[continua…]

Questo articolo è stato inserito da: