Scaringi: 60 anni di fotoromanzi

Alla fine del giugno del 1946 nelle edicole italiane apparve un settimanale che avrebbe segnato una tappa importante nella storia del costume e lanciato nel mondo dell’immagine una novità presto consolidata e ormai radicata nel tempo. Il giornale si chiamava Grand Hotel, un rotocalco a metà strada fra il pettegolezzo e l’informazione futile e dilettevole, e ospitava un romanzo disegnato non con il classico stile dei fumetti, ma in modo del tutto originale, con un taglio cinematografico e con ombreggiature (gli spazi bianchi erano per lo più grigi) in cui eccelleva Walter Molino, che da qualche tempo aveva raccolto l’eredità di Beltrame sulle copertine della Walter Molino intervistato da Vincenzo MollicaDomenica del Corriere e che negli anni prebellici si era distinto come pungente vignettista e preciso fumettaro, ideando fra gli altri il personaggio di Kit Carson che dieci anni dopo Galleppini e papà Bonelli avrebbero trasformato nel brontolone ma indispensabile compagno di Tex. La storia disegnata da Walter Molino per Grand Hotel si intitolava Anime incatenate, ed era tratta da un romanzo di M. Dukey e J. W. Symes. La vicenda, che andò avanti per decine di puntate, incatenò soprattutto i lettori perché conteneva tutti gli elementi del più classico romanzo d’appendice ottocentesco, con una fanciulla incarcerata benché incolpevole, con uomini gelosi, spesso violenti e talvolta innamorati, con bambini innocenti e con la guerra che dilaniava anime e sentimenti. Con Grand Hotel il pubblico femminile scoprì forse il mondo del fumetto, ma non venne mai veramente coinvolto nelle storie di uomini rudi e generosi, un po’ banditi e sempre giustizieri, che tanti bravi autori italiani stavano lanciando sulla scia dei più famosi fumetti americani. Un anno dopo Luciano Pedrocchi, figlio di Federico, uno dei padri editoriali del fumetto italiano anni Trenta, pensò di sostituire alle immagini, che per quanto realistiche erano sempre disegnate, delle vere fotografie di attori e attrici che parlavano attraverso le solite nuvolette, e nel maggio del 1947 fondò Bolero Film che nel primo numero (16 pagine, 25 lire, uscito il 25 maggio 1947) ospitava, oltre a una rubrica di notizie sul mondo dello spettacolo, due fotoromanzi, di cui uno (Catene, che qualche anno dopo avrebbe dato il titolo al più celebre dei film del filone lacrimevole e sentimentale) era sceneggiato dallo stesso Pedrocchi e realizzato da Damiano Damiani che aveva già fatto esperienza nei fumetti e poi sarebbe diventato regista di successo. Poco prima di Bolero Film, era uscito (l'8 marzo 1947) Sogno ("il mio sogno") e il successo di questi due periodici obbligò anche Grand Hotel ad abbandonare le vignette disegnate. La nascita di questi settimanali (cui in seguito se ne sarebbero affiancati molti altri, soprattutto quelli della Lancio, che avevano una periodicità mensile e ospitavano storie complete) segnò una piccola rivoluzione sociale e di costume, perché diffusero temi e modelli di comportamento validi per tutti, quasi anticipando quello che, anni dopo, avrebbe fatto la televisione. Ma fu una rivoluzione anche per il cinema perché questo mondo di carta cercava volti nuovi e proprio sulle pagine di questi settimanali esordirono molte future dive, da Sofia Loren, allora semplicemente Sofia Lazzaro, a Gina Lollobrigida. Le storie parlavano sempre di cuori infranti, drammi della gelosia, famiglie divise, ecc., ma dopo fremiti, passioni, timori, il lieto fine riportava la serenità. Solo più tardi (anni Settanta) la realtà, quella drammatica della criminalità, della disoccupazione, della droga, del terrorismo, avrebbe fatto capolino sulle pagine, ormai patinate e colorate, dei fotoromanzi. Ma senza mai esagerare perché ai lettori piace sempre sognare ed evadere. [Carlo Scaringi]

Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 25/6/2006
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