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di Paola Madau
Nell’Atelier des Vosges, in
una porticata e ritirata piazza parigina, David B. e i suoi compagni, sono intenti
a disegnare su delle strane tavole. Lavorano, da circa una quindicina d’anni, alla
fabbricazione di un curioso essere ibrido: l’arte sequenziale autobiografica, o
meglio la bande dessinée autobiographique,
un mostrum tra autobiografia e
autoritratto, in cui le manchevolezze di uno si risolvono nella compensazione
con l’altro. David B., Lewis Trondheim, Joan Sfar, Killofer, Jean-Christophe
Menu, Matt Konture hanno trovato un modo inedito per partecipare a quest’epoca
di confessione collettiva e imporre un “verbo disegnato” fatto dalle immagini e
le nuvolette della bande dessinée.
Secondo il più influente critico del fenomeno, Laurent
Guyon, questo nuovo e felice corso del fumetto francese si distingue per una
notevole evoluzione di tematiche, pubblico e codici[1]. La bd autobiographie è
apparsa infatti con la freschezza e l’immediatezza di una nouvelle vague, e la sua affermazione non è stata difficile ma tanto
meno passeggera, in un certo senso è atterrata sul morbido. Quale altro paese
ha mai dimostrato tanta dimestichezza e familiarità con i pilastri che la
sorreggono? Ovvero il fumetto e l’autobiografia? Qui nacque il capolavoro delle
Confessions, emblema della presa di coscienza letteraria e
civile, artefice della democratizzazione e borghesizzazione dell’intimità,
tanto che Rousseau poté con orgoglio sostenere che la storia oscura del proprio
animo era più interessante di quella del re. L’innalzamento dell’individuo scaturito
del modello russoniano, influenzò molti letterati, scandendo un florido
susseguirsi di autobiografie ottocentesche da Restif de la Bretonne, Jean- François
Marmotel, Mme Roland, Stendhal, Chateaubriand, Alfred de Musset fino
all’eccentrico paradosso dell’autobiografia anonima Victor Hugo raccontato da un testimone della sua vita. Nel Novecento
Marcel Proust costruì l’opera in cui romanzo e l’intenzione autobiografica
trovano un equilibrio alchemico indiscusso, facendosi capofila della tendenza a
rarefare il racconto di sé in altre cornici. La letteratura contemporanea ha
visto tra le prime guardie André Gide, Michel Leiris, Simone de Beauvoir,
Jean-Paul Sartre e Roland Barthes, per giungere agli epigoni attuali. Lo stesso
orizzonte specialistico se ne è occupato ampiamente e non è un caso che il
maggiore critico e studioso internazionale dell’autobiografia sia Philippe Lejeune,
fondatore anche dell’Association pour l’autobiographie e le patrimoine
autobiographique[2].
In un Paese in cui
l’espressione del proprio del proprio io è più che legittimata, l’artista
percepisce l’autobiografismo quasi un viatico obbligato in cui stenta a
distinguere la finalità autoreferenziale da quella artistica. La gratificazione
e il senso d’onnipotenza dell’autobiografia hanno finito così per attrarre
irresistibile anche i fumettisti francesi dell’ultima generazione, sostenuti da
un pubblico vasto e curioso e dal
supporto efficace di alcuni piccoli editori indipendenti come L’Association,
Ego comme X, Atrabile, Les Requins Marteaux. In un contesto in cui la bd ha sempre goduto del riscontro intellettuale che l’ha consacrata
nona arte [3],
non è stato difficile invadere il mercato e dimostrarsi assolutamente
competitiva nelle librerie [4].
La stabile rete culturale e sociale che ne alimenta la crescita è motivata da
una storia del fumetto ricca di colpi di scena, di grandi innovazioni e di
dispersioni, tutto ciò perché la produzione francese non nacque come un
prodotto di importazione, bensì come evoluzione di un genere nazionale, che ha
dato vita alla più importante manifestazione di fumetti d’Europa, il Festival International de la bande dessinée[5],
fondato ad Angoulême nel 1974. Insieme al cinema, la bd incarna una delle massime potenzialità espressive, e le parole
intuitive e illuminanti di Jean-Jacques Lévêque illustrano l’eccezionalità del
caso francese:
Sortant
de la nursery, elle accapare la réalité dans son ensemble, dans sa totalité.
Elle se confond avec tous les domaines de l’expression. Elle investit tous les
secteurs, aussi bien ceux des phantasmes, que ceux de la culture. Ella
promènera, dans ses cadres en folie, la pulpeuse Barbarella et Einstein, les
barbouzes et les monstres venus d’un autre planète. Elle sera érotique,
politique, scientifique.
Sera-t-elle littérature?
Question
de base pour une autre investigation dans le domaine des images. Est-elle
littéraire parce qu’elle parle? On dira qu’elle est bavarde. Son utilisation de
l’onomatopée la rapprochera d’une poésie qui se rétrécit jusqu’au cri. Sous
couvert de jeu, elle retrouvera la modernité du langage.
Mais offre-t-elle
au raconteur le terrain idéal où s’exprimer? On serait tenté de le croire
puisqu’elle apporte aux mots cette complémentairité que le romancier, souvent,
va chercher dans le cinéma. Pourquoi pas dans la BD?
Sans
doute celle-ci est le produit de deux ambitions: d’un raconteur et d’un
montreur. Il peut être un seul et même créateur. Ce peut être un duo. Complice.
C’est
dire que la BD est aussi l’oeuvre spécifique d’un homme d’image,
qui, au besoin, peut se passer des mots. D’où, non négligeable, l’importance
jouée par la BD auprès de l’art contemporain. [6]
Gli artisti legati alla casa
editrice l’Association si rivelano,
quindi, un avvilupparsi, in una certa misura prevedibile, di svariate passioni,
incubazioni e aspirazioni. Questi fumettisti sono per primi grandi lettori,
amanti di diari, carteggi, memorie, cosicché nei loro scaffali e comodini si
trovano le maggiori fonti di ispirazione: Jouhandeau, Artaud, Léautaud,
Calaferte, Proust, Gide, Charles Juliet, Renaud Camus. L’arte sequenziale,
profondamente influenzata dalla narrativa contemporanea, adotta come un lascito
certe caratteristiche del consueto autobiografismo, vale a dire stessa indagine
sulla famiglia, l’amicizia, i sogni, gli incubi, la formazione culturale,
umana, la contingenza storica e sociale, e spesso, il riconoscimento della
propria vocazione artistica. La bd
autobiographique, ha perso presto i connotati dell’“evento” per
qualificarsi come vero e proprio movimento nel quale la varietà e la densità
espressiva hanno dato vita ad un genere dalla disarmante originalità.
Gerardo Wuthier, "Tutti prima o poi", 1995 |
Avvinti in un contesto
propiziatorio, i fumettisti francesi hanno dispiegato le capacità innovative del
genere, e con uno smacco allo sciovinismo nazionale si sono ispirati ai maestri
dell’underground americano, Robert
Crumb e Art Spiegelman, nonché Will Eisner, nelle opere dei quali realismo ed
astrazione sono scenografia della messa in scena di vicende ed emozioni del
proprio privato. La consacrazione di Maus
– storia della famiglia ebrea degli Spiegelman durante la seconda guerra mondiale
in Polonia – con il Premio Pulitzer nel 1992, ha rivoluzionato gli
orizzonti del fumetto, divelto le possibilità espressive, consegnandogli gli
strumenti per farsi romanzo, saggio, storiografia e poesia.
Forte della rispettabilità
acquisita, la bd ha trovato le basi
per essere compartecipe dell’espugnazione del sé condivisa dalla cultura
contemporanea, estremizzando il narcisismo della confessione attraverso quello
che può essere considerato una particolare forma di autoritratto sequenziale in
cui si invalida l’assenza temporale della pittura. Se è vero che un mutamento di contenuto cammina fianco
fianco con l’innovazione formale, ci troviamo di certo di fronte ad un nuovo
genere. Infatti
«ciò che caratterizza la scrittura e che manca all’autoritratto figurativo è la
dimensione della memoria»[7].
Difetta, ad esso, proprio il senso della durata, del fluire continuo della
vita. L’autoritratto è la cristallizzazione di un momento, una summa del passato incapace però di
illustrare lo scorrere del tempo, patendo l’inefficienza della “narrazione”, in
quanto «nell’autoritratto, di per sé, non c’è racconto»[8],
ma la disposizione sequenziale delle vignette oltrepassa e risolse l’immobilismo
temporale. L’autobiografia, di contro, si
inserisce in tal modo, con tutte le carte in regola, nell’imperante cultura
visuale, pur nella sua declinazione più artigianale fatta di matite e chine,
senza concessioni al digitale.
Fabrice Neaud nel suo Journal [9]
– chiaro omaggio stendaliano – è probabilmente, tra i suoi colleghi, il più
tradizionale nello stile, nella tecnica e forse anche nelle intenzioni. Il
lavoro di Neaud, presentato al Festival di Angoulême nel 1997, ha vinto l’Alph’Art
Coup de Coeur, il massimo riconoscimento europeo. Nelle pagine disegnate del
suo diario, mette letteralmente a nudo se stesso, narrando la propria soffocante
vita di giovane omosessuale di provincia, quasi un novello Gide, ma con
un’iniezione di brutale sarcasmo assente nelle opere dello scrittore. Neaud
compie una scelta totale, perfino integralista per certi versi, fedele all’idea
che l’autobiografia non ammetta gradi[10],
vagando tra disegni estremamente realistici e parole disperate. Nonostante la
struttura si possa considerare usuale, le bd
di Fabrice è intessuta di affascinanti cadenze musicali, sinfonie e leitmotiv visivi, ovvero accordi e
ripetizioni di immagini.
Lontano dalla crudeltà di
Neaud e dell’Auto-psy d’un mort vivant
di Matt Konture, è Joann Sfar, autore di notevole energia e prolificità. Nei
suoi Petit Vampire, Chat du Rabbin, Le petit monde du Golem, riversa il proprio universo infantile rappresentandolo
in vesti “ingannevoli”, travestendolo e sublimando con creazioni amene un mondo
psichico turbato. Eppure l’intenzione autobiografica è palesata senza indugi:
«Tutti i miei libri sono delle medicine che curano le malattie di cui soffro. I
miei quaderni, Harmonica, Ukulélé,
Parapluie, Piano, li ho cominciati a disegnare quando sono diventato padre.
Prima di avere un figlio, la vita quotidiana non mi interessava
particolarmente. Dopo questa esperienza il mio rapporto con la realtà non è più
lo stesso: improvvisamente l’ho trovato molto più interessante dalla fiction.
Ecco perché ho cominciato a scrivere un diario». La vitalità di Sfar si coglie
in uno stile unico a tratti sperimentale, nell’alternarsi di pagine fittamente
scritte ad altre densamente disegnate, dovute all’incalzante immediatezza tra
ideazione e creazione.
A questo gruppo di giovani
si è accostato il quarantenne Edmond Baudin, con opere fortemente legate al
tema della famiglia, della vecchiaia, della morte, come Eloge de la poussière, oppure
al rapporto tra uomo e natura, esplorato in Le
chemin de Saint-Jean. In Baudin non si respira un’atmosfera da confessionale, al contrario
dà voce all’aneddoto, al racconto attorno al camino, al sentimento umano che
abbraccia gli altri uomini e si fa universale. Incarna il ruolo del
cantastorie, per dare la voce a chi non ce l’ha: «A sedici anni avevo la
pretesa di scrivere al posto degli abitanti del mio villaggio che, come mia
madre, non sapevano o non potevano farlo».
La complessità culturale e
stilistica delle opere di questo movimento, raggiunge l’apice espressivo in Le Grand Mal[11]
di David B. Attraverso uno stile in bianco e nero a larghe campiture
complementari, che rapisce la percezione e conduce l’occhio attraverso
arabeschi e sinuosità di gusto orientale, l’autore racconta l’epilessia del
fratello Jean-Christophe, “un’infezione” che intacca tutta la famiglia e
condiziona irrimediabilmente la sua esistenza, con un sottofondo di richiami
alla contestazione del maggio francese e alla guerra franco-algerina. Di sicuro
il lavoro di David B. è artisticamente l’opera più convincente e affascinante,
incarnando essa stessa un modello a cui ispirarsi, grazie alle forti
motivazioni che sottostanno all’impresa creativa:
Ho disegnato
questa storia perché volevo dire ai miei genitori come avevo vissuto la
malattia di mio fratello, cosa avevo provato di fronte al loro atteggiamento.
Mia madre ha trovato i miei disegni estremamente violenti. Effettivamente
vedere mio fratello contorcersi durante le crisi era qualcosa di estremamente
violento. Ma non volevo barare. Si tratta di un lavoro duro, non consensuale,
che rivendico completamente e al diavolo se fa paura. In un’autobiografia
bisogna essere capaci di dire quello che si pensa e di assumersene la responsabilità.
Io per diversi anni ho deciso di non vedere più i miei genitori. Ma avrò sempre
voglia e bisogno di scrivere storie autobiografiche, perché in questo campo la
sfida grafica e narrativa è molto più intensa che nella fiction, e mi permette
di scavare in profondità dentro me stesso. L’autobiografia è il vero obiettivo.[12]
Accanto alla pregevolezza grafica, Le Grand Mal – così come il seguito Babel uscito nel 2006- propone una sedimentazione culturale
ricchissima, sia in campo fumettistico, con chiari omaggi a Crumb e Spiegelman,
che pittorici, grazie a citazioni di René Magritte, Max Ernst, Henry Moore e
Francis Bacon. David B. ha riversato nelle tavole, i capisaldi della propria
formazione letteraria e paraletteraria – L'impero
delle steppe: Attila, Gengis Khan, Tamerlan di René Grousset, i
supplementi mensili illustrati della Larousse, nonché la rivista Planete di Louis Pauvvels, i libri della
collana Marabout fantastique – garantendo così un sentimento orizzontale di
identificazione in cui è facile, per il lettore, rispecchiarsi. Questo processo
completa esattamente la proprietà dell’icona fumettistica – tipicamente stilizzata
e per questo “vuota” – di essere oggetto di rapimento, istigando un tirannico
senso di usurpazione e possesso[13].
In una certa misura, Le Grand Mal
insiste su tematiche “orecchiabili”, argomenti da salotto, come filosofie
orientali, egittologia, icone, simboli e indizi cabalistici. L’inevitabile
onnicomprensività dei riferimenti al “discorso contemporaneo”, dovuti alla
messa a nudo di una vita unica e allo stesso tempo universale, costringe ad
interrogarsi sul duplice rapporto autore-opera, e opera-lettore. Se nel primo
caso si dispiega tutta la libertà offerta da un autobiografismo che in certi
frangenti risolse in se stesso il proprio esibizionistico, nell’altro la
fascinazione del fruitore assomiglia ad una sorta di narcosi. Anzi che proporre
una disidentificazione che traini verso la conoscenza dell’oltre da sé, il
gusto consolatorio di questa letteratura giustifica un egoismo intellettuale grazie
al quale rintracciare nell’opera letta tutto ciò che riconduca verso se stessi.
Nel vivere le altre
esistenze si ripercorre la propria, in un facile meccanismo autospecchiante che
forse non porta lontano, ma è integrato al bisogno di rassicurazione
contingente che autorizza a fissare l’esperienza individuale per ostracizzare
la paura di un mondo sempre più frantumato. In questa soffocante
autoproiezione, però, si rischia una sorta di “litania degli io”, un bisogno
personale mascherato da priorità artistica. Allo stesso tempo il successo
conclamato della bd autobiographique va
di pari passo al mutamento che ha portato dalla democratica libertà di
espressione, all’individualistica libertà di oppressione degli altri con il
racconto inarrestabile del proprio io, giocando sull’urgenza collettiva di un
bisogno. D’altronde, scrisse Milo Manara, in
Francia esiste «una buona tradizione che insegna a prendere tutto sul serio»[14].
[1] L’autobiographie en bande dessinée par Laurent Guyon, disponibile nel Site des documentalistes de l’Académie d’Amiens all’indirizzo
web : www.ac-amiens.fr: «évolution des thématiques: dans un désir de
reconnaissance du 9e art, le genre de l’autobiographie permet de recentrer
la bande dessinée sur l’auteur, sur l’artiste, et donc sur le réel. Parler de
soi, c’est parler des autres, mais aussi parler de son art et le
légitimer ; évolution du public, plus adulte; évolution des codes
(émancipation par rapport aux codes traditionnels, renouvellement: refus des
stéréotypes, des idéogrammes, du cinéma de papier et des effets spéciaux, des
ruptures de perspective, des lois psychologiques (exemple: les personnages
peuvent être de différentes tailles); la signification prime sur le réalisme,
la lisibilité sur l’esthétique, ce qui entraîne une certaine sobriété et un
refus de la belle image».
[2] Fondato nel 1991 insieme a
Chantal Chaveyriat-Domou. Indirizzo: http://sitapa.free.fr
[3] Ne
parla per la prima volta nel 1964 Claude Beylie, in cinque articoli pubblicati
da gennaio a settembre nel 1964
in «Lettres et médecins» sotto il titolo Il fumetto è un’arte?. Si può trovare
una spiegazione della storia del termine nell’editoriale di Gianfranco Goria, (presidente
dell’Anonima Fumetti Centro Nazionale del Fumetto), in Nona arte…chi era costei?, reperibile all’indirizzo web: http://www.fumetti.org/goria/scrivere/002.htm.
[4]
Ibid.: «Nella classifica dei fumetti
editoriali in Francia gli albi a fumetti occupano regolarmente i primi posti;
un nuovo Titeuf, un Petit Spirou, un Blake e Mortimer o un largo Winch superano
sempre le 500mila copie. La maggior parte degli albi si pubblica in venti o
trentamila copie e nel 2003 sono usciti più di duemila titoli. Totale: 35
milioni di copie vendute nel corso dell’anno. Una cosa incredibile.»
[5] Per
saperne di più consultare il sito www.bdangouleme.com
[6] J.-J. Lévêque, Prefaces, in AA.VV., Histoire
Mondiale de la
Bande Dessinée, Pierre Horay Editerur, Paris 1980, p. 9
[7] S. Ferrari, Lo specchio dell'io, Laterza, Roma- Bari 2002, p. 29
[9] F. Neaud, Journal, Ego comme X, Paris 2002; tr. it., Diario, Rasputin!libri, Milano 1998
[10] P.
Lejeune, Le pacte
autobiographie, Seuil, Paris 1975, trad. it. Il patto autobiografico, il Mulino,
Bologna 1986, p.25
[11] In
Francia è uscito in diversi voluto presso L’Association a partire dal 1996;
trad. it. Il grande male, 2 voll.,
Coconico Press, Bologna 2003. L’opera è divisa in sei capitoli, nell’edizione
italiana, tre per ogni volume.
[12] C.
Maveyraud, Fuori dai margini,
Télérama, in «Internazionale», 30 Gennaio 2004, n°524, Anno 11, p. 44
[13]
Nella più completa e intelligente analisi del medium fumetto, Scott McCloud (Capire il fumetto, Edizioni Vittorio Pavesi Production, Torino
1999), scrive a tal proposito, p. 41: «Noi
umani siamo una razza egocentrica. Vediamo noi stessi dappertutto. Assegniamo
identità ed emozioni dove non ne esiste alcuna e ricostruiamo il mondo a nostra
immagine».
[14]
Dall'intervista di Vincenzo Mollica a Milo Manara, I punti cardinali di Milo Manara. Incontro con un autore, in S. Micheli (a cura di), Parole e Nuvole Atti del corso sulla
Letteratura per immagini per insegnati della scuola dell'obbligo. Facoltà di
Lettere e Filosofia - Siena, Novem. / Dicem. 1982, Bulzoni Editore, Roma
1985, p. 253
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