Sfogliando
i vecchi giornalini si possono avere interessanti e divertenti
sorprese. Si può scoprire, per esempio, che a “Topolino”
hanno scritto bambini poi divenuti celebri, dall’attore
Giancarlo Sbragia ai disegnatori Lino Landolfi
e Sergio Tarquinio, dallo scrittore
Roberto Vacca a Romano Mussolini,
in vacanza a Riccione. Ha scritto a “Topolino” anche il futuro
sacerdote e politologo
Gianni Baget Bozzo che, insoddisfatto, si
rivolse poi al settimanale “Paperino” per
chiedere la prima tessera del club intitolato al famoso papero.
Quest’ultima scoperta è stata
presentata
come una novità da Gianluca Nicoletti sulla “Stampa” di qualche
giorno fa, ignorando del tutto il fatto che il piccolo Gianni
aveva già scritto a “Topolino”. In un’intervista che gli avevo
fatto vent’anni fa per il “Radiocorriere TV”, Gianni Baget Bozzo
aveva confermato di aver effettivamente scritto a Topolino,
poche righe accompagnate da un’ingenua poesiola in suo onore.
“Avevo dieci, undici anni” disse “ma incominciavo in quei versi
a sviluppare la mia principale vocazione, che è il giornalismo.
Di quell’episodio ricordo soprattutto l’immensa emozione per
aver visto stampato per la prima volta il mio nome su un
giornale”. Il sacerdote evitò però di aggiungere che Topolino lo
aveva anche bonariamente rimproverato perché aveva scritto
“proscritto” volendo invece dire “poscritto”. Da “Topolino”
all’ ”Avventuroso” il passo è breve: siamo
sempre sul finire degli anni Trenta e sul settimanale di
Nerbini compare dal numero 231 al numero 256, compresi
fra marzo e settembre del 1939, un fumetto scritto e disegnato
da Yambo, ovvero Enrico Novelli,
figlio del grande attore Ermete, e uno dei maggiori
illustratori della prima metà del Novecento. Yambo propone una
storia ambientata nel Trecento toscano, che ruota intorno alla
figura di Ghino di Tacco, celebre brigante di
Radicofani, ma soprattutto personaggio profondamente radicato
nel folklore popolare senese. Qualche anno fa Ghino di Tacco
ebbe il suo quarto d’ora di celebrità perché Bettino
Craxi aveva scelto il suo nome come pseudonimo per le
sue polemiche giornalistiche. Ma Ghino di Tacco era famoso già
da qualche secolo, e non solo perché venne ricordato da
Dante e Boccaccio: il poeta fiorentino
lo ha collocato nel Purgatorio perché aveva ucciso il giudice
che aveva condannato a morte ingiustamente suo padre, mentre
Boccaccio lo ha fatto protagonista di una beffa giocata
all’abate di Cluny in viaggio in terra di Siena e diretto alla
terme che avrebbero dovuto guarirlo dai suoi malanni allo
stomaco. Amante delle burle e dei travestimenti, nemico spietato
dei prepotenti, degli arroganti
e
dei violenti, Ghino nel fumetto di Yambo è protagonista di una
serie di avventure nelle quali è possibile individuare anche
qualche punto di contatto con la realtà del nostro tempo.
Sorprendente al riguardo è l’episodio in cui smaschera
il trucco escogitato dai frati per far piangere la statua di
legno della Madonna in una chiesina di Abbadia alle pendici
dell’Amiata. Travestito da monaco per sfuggire agli
sbirri, Ghino di Tacco si avvicina con gli altri fedeli alla
statua, e poi con rapida mossa svela l’arcano: una spugnetta
collocata dietro gli occhi della Madonna, e imbevuta d’acqua
attraverso un condotto alimentato a distanza. Un trucco da
illusionisti da strapazzo, raccontato con semplicità in un
fumetto per ragazzi, in un momento storico (il 1939 appunto)
forse più tollerante di altre epoche, per esempio quella
democristiana, quando i fumetti erano condannati e “Pantera
Bionda”, una versione di Tarzan al femminile, era
costretta a sostituire lo svolazzante gonnellino di leopardo con
una gonna lunga fino alle caviglie. [Carlo Scaringi]
Domenica,
5/6/2005 - Autore: afnews
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