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Animazione Italiana: dure note a margine del convegno ASIFA
Animazione Italiana: dure note a margine del convegno ASIFA
internobu.net.jpgDal nostro inviato al convegno ASIFA Italia, Eric Rittatore: Dove va l’animazione italiana? Una riflessione, di Eric Rittatore. Tra il 20 e il 21 ottobre scorso si è svolto a Torino il convegno “I Mestieri dell’animazione”, organizzato da ASIFA Italia nell’ambito della settima edizione degli Incontri ArteAnimazione, coordinata da Emiliano Fasano e Cinzia Masetto. Sulle pagine di Torinosette un articolo di Laura Fiori (art director e insegnante, ‘storica’ attivista ASIFA) inquadrava il contesto in cui si inseriva tale incontro, descrivendo una “…situazione italiana in leggera ma costante crescita …” nonché “…una tendenza positiva che a partire dagli anni ’80 … ha continuato in ambito regionale”, e auspicando la necessità di “… passare da dimensione artigianale a una industriale portandosi dietro l’abilità, la passione, i contenuti che identificano l’animazione italiana … “. Purtroppo la discussione suscitata dal convegno, che si è tramutato ben presto in una sorta di assemblea anticipata ha rivelato una situazione ben più complessa e problematica. Tra gli intenti del convegno vi era quello di definire una volta per tutte la ‘missione’ di Asifa Italia, ma a ben guardare questa risulterebbe già ben definita fin dall’inizio: Asifa Italia, infatti, è nata Jezdic&Bozzetto.jpgcome sezione nazionale dell’Associazione Internazionale Film d’Animazione (legata all’Unesco) il cui manifesto programmatico è,testualmente’ “diffondere la CONOSCENZA dell’ ARTE dell’Animazione e FAVORIRE i CONTATTI e gli SCAMBI fra artisti di tutto il mondo”. In pratica, ciò dovrebbe tradursi in un’intensa attività culturale, in piani di formazione e aggiornamento, nella promozione di una identità forte nella produzione artistica nazionale; rientra proprio in quest’ottica la lodevole iniziativa promossa dal presidente Francesco Testa di mettere a disposizione dei soci uno spazio web su cui inserire dati personali e portfolio in modo da costituire un database on-line a disposizione di eventuali datori di lavoro, italiani ed ester (realizzato in collaborazione col Torino Piemonte Internet Exchange, è stato presentato in anteprima al recente MIPCOM di Cannes). Giustissimo,quindi, anche l’accorato richiamo di Michel Fuzellier alla responsabilità collettiva degli autori: in questi tempi di problematiche giovanili l’attenzione ai contenuti dovrebbe essere laganà.jpgancora maggiore; non si tratta però di edulcorare tutte le tematiche sfornando solo rassicuranti morali posticce, magari tramite edificanti iconografie di religiosi per fare da contraltare alla violenza e alla volgarità ‘dilaganti’. Come testimoniato da vari addetti ai lavori in Italia molto spesso la produzione tende a snaturare del tutto un’opera originale perché certe cose i bambini nei cartoni non le devono vedere né soprattutto ascoltare (ad esempio: su Mediaset non si usa mai il termine ‘uccidere’ o ‘ucciso’, sostituito da ‘eliminare’ o ‘eliminato’, la violenza si può magari filmare col videofonino, ma non nominarla), quando per censurare un reality-show occorre che a qualcuno scappi una bestemmia, chè a Gesù poi gli scappa la lacrimuccia (a proposito, pare che in Francia il pubblico abbia respinto la proposta di un nuovo reality perché ne avrebbero già abbastanza di quelli esistenti; chissà quale sarebbe il responso da noi?) … . E pensare che l’animazione avrebbe una tale forza espressiva e comunicativa da riuscire a toccare quelle corde emozionali ‘sincere’ che ormai l’ottundimento culturale collettivo ha sepolto nei giovani sotto uno spesso strato lastrego.jpgdi gratuita idiozia. Durante la discussione si è spesso puntato il dito sugli Anime (i Manga sono fumetti!), riferendosi come sempre solo alla mediocre (e massacrata da tagli e doppiaggio) produzione televisiva che in effetti è andata sempre più peggiorando col passare degli anni; ma, d’altra parte, dobbiamo proprio andare fieri delle nostrane ‘Winx’ solo perché, come il fast-food McDonald’s, spopolano in tutto il mondo? Possibile che da noi la regola sia sempre quella del ‘milioni di mosche non possono sbagliare?” – dobbiamo davvero chiamare ‘trionfo dell’animazione italiana” un’astuta operazione in cui l’unica vera arte sembra essere quella del marketing? Ah, certo: non ci sono scene violente o ‘ambigue’(anche se le fatine non vestono propriamente da educande, anzi sembrano tutte ‘veline’), non si dicono sedeconvegno.jpgparolacce e non scorre sangue e i genitori si sentono rassicurati anche dagli occhioni di animaletti che a ben vedere non sono altro che brutte copie degli esecrati ‘jap-pets’. Molti della mia generazione non sono stati affascinati dai cartoni giapponesi nel modo in cui lo sono oggi i cosiddetti ‘cos-players’ (carnevalate fini a se stesse), ma perché avevamo colto che dietro robottoni, guerrieri ninja e aliene in bikini c’era un’originalità che non riscontravamo nei prodotti di casa nostra; partendo dalle serie popolari , e scontrandoci con la difficoltà di reperire materiale, siamo poi risaliti fino ad opere più complesse, scoprendo artisti veri che grazie all’animazione reinterpretavano la cultura del proprio Paese; opere tanto valide da venire oggi riconosciute come cinema a tutti gli effetti (vedi Miyazaki premiato a Venezia). Nelle ‘Winx’, e nella maggior parte della produzione nostrana, non si trova più traccia di un processo simile a quello nipponico: tutto risulta senz’anima. Se avessimo avuto ancora ‘Carosello’ noi ce lo saremmo goduti fino in fondo, perché un linguaggio non esclude l’altro se entrambi hanno solide radici, ma purtroppo l’Italia non ha saputo cogliere quell’occasione e nemmeno il recente successo commerciale di un film come ‘La gabbianella e il gatto’ è servito a inaugurare una nuova ‘età dell’oro’ creativa nel nostro paese. Per essere chiari, non sto parlando di quantità’ di lavoro bensì di QUALITA’: gli spunti migliori restano nell’ambito della TV per i più piccoli, ma appena si alza di poco il target ecco che si ricade nel ‘fast-food’ per polli varia.jpgd’allevamento(e il sapore all’inizio sembrerà anche buono, ma poco per volta ci si accorge di quanto sia insipido). Collegata a quest’argomento è anche la questione delle fiere o festival di settore, e la corsa ai finanziamenti: il fatto che vi sia grande afflusso di pubblico è davvero segno che vi sia stata un’effettiva penetrazione culturale della materia? In Italia, oggi come oggi, qualsiasi evento legato alla cultura è pubblicizzato regolarmente come una ‘festa’, un’occasione di svago e divertimento cha magari attirerà molta gioventù ma in che misura poi li coinvolga intellettualmente è tutto da verificare; tutto viene centrifugato nel gran calderone dell’EVENTO. Vista la difficoltà a reperire danari, spesso si punta su progetti (volutamente) pretenziosi che sfruttano tematiche ‘sensibili’ ma facilmente riconoscibili dal grande pubblico (vedi Anna Frank), grondanti retorica e pertanto dalla morale pre-confezionata, per lo più destinati a cadere nel dimenticatoio dopo qualche passerella ai festivals. Portatori di una lezioncina comoda comoda, da far ripetere a pappagallo agli allievi i quali, giustamente, se ne dimenticheranno subito dopo, correndo a mascherarsi da cartoon solo per sfilare sul palco nella speranza di venire inquadrati per un attimo dalle TV: la demagogia non educa nessuno, semmai deresponsabilizza. Chissà, se si raccontasse come per lungo tempo l’animazione sia stata per artisti e intelletuali l’unico mezzo per esprimere idee e dissenso verso il potere sotto varie.jpgregimi in cui solo il fatto di pensare costituiva una colpa… O pensiamo al fiorire di creatività che l’animazione ha contribuito a sviluppare nel nostro Paese, anche solo a quali risultati il connubio con la pubblicità avrebbe potuto condurre se non fosse prevalsa l’ottica consumistica tout court. Proprio da queste tematiche si dovrebbe ripartire, dall’importanza di questa arte nella storia, nel suo essere perfino necessaria allo sviluppo del pensiero. Renderle,cioè, la dignità che le spetta. Tornando al convegno, esso si sforzava anche di delineare con chiarezza i vari ‘mestieri’ legati all’animazione, ma da subito è risultato arduo impostare un discorso lineare, anche perché si scivolava spesso in discussioni legate ai contratti e alle retribuzioni della manodopera. A intervenire sono stati quasi sempre i produttori: dopo un’iniziale imbarazzo, aiutati dall’assenza di un efficace contradditorio, hanno finito col riversare implicitamente molte responsabilità sui lavoratori stessi, specialmente sui giovani, accusati a più riprese di sopravvalutare le proprie capacità professionali e perfino di scarsa creatività (anche se nessuno ha accennato al fatto che spesso i ragazzi freschi di diploma vengono spediti a lavorare come intercalatori o peggio presso studi convenzionati, ovviamente sottopagati, pressoché privi di diritti e costretti a lavorare a pieno regime per finire entro i tempi stabiliti le varie produzioni che l’azienda si accaparra; per poi venire sostituiti da altri, senza aver praticamente appreso nulla, se non a diffidare del datore di lavoro), estendendo le critiche anche alle scuole stesse, incapaci di sfornare professionisti completi già all’altezza degli alti parametri richiesti dalle aziende. In effetti al di fuori del campo dei corti, inevitabilmente circoscritto al circuito dei Festivals e forse proprio per questo libero da condizionamenti, si riscontra ben poco coraggio nei nuovi autori: come già accennato, sin tende a copiare generi di successo e di facile suggestione, oppure ci si concentra sulla resa estetica associandola a regie da videoclip stile MTV (la mancanza di registi veri è un altro dei grandi problemi: non ci sono cineasti innati come Bruno Bozzetto, il quale sosteneva che solo l’animatore dona la vita al personaggio; purtroppo lui rimane uno dei pochi a sapergli fornire anche un contesto e una motivazione): sempre più agli animatori viene affidata anche la direzione, con risultati contraddittori. Fermo restando, come rilevato dall’unica rappresentante di tale ‘manodopera sommersa’ che ha fatto sentire la sua voce in sala (era l’unica?), che lavorare a ritmi da forzati per un tozzo di pane non è propriamente un varie2.jpgincentivo alla creatività, forse è più corretto affermare che ai giovani animatori manca soprattutto una cosa: IL CORAGGIO. E qui davvero vorrei ricevere ondate di mail di proteste che dimostrino che sbaglio. I ‘grandi vecchi’, come lo stesso Bozzetto, hanno vissuto un’epoca di grande sperimentazione, si son costruiti la carriera facendo spesso del vero e proprio artigianato, soprattutto scelsero di mettere la loro aspirazione davanti a tutto…magari qualcuno di loro adesso, deluso da qualche fallimento e dall’immutabile disinteresse istituzionale, si dice contento di poter fare versioni animate di fumetti famosi (simpatiche quanto si vuole, ma svuotati dello spirito corrosivo degli originali) e dicono ai giovani che ci vogliono sempre impegno e passione ma comunque non siamo in Francia, da noi mancano la cultura e le strutture quindi, in sintesi, ci si deve accontentare di esistere. Ma loro non erano partiti per accontentarsi. E nemmeno i nuovi dovrebbero. L’arte merita dedizione assoluta e ricerca continua, richiede tentativi che non si fermino all’ovvio, alla soluzione più facile: se si sente di avere qualcosa da dire occorre anche trovare il linguaggio adeguato, l’unico che permetta di potrà rendere tangibile la propria immaginazione. Un discorso del genere è molto difficile da realizzare in Italia, anche solo pensando alla totale indifferenza con cui ha accolto – e distribuito - un film intelligente (ed attuale) come ‘Azur et Asmar’ di Michel Ocelot (2 sale soltanto nella ‘capitale dell’animazione’, Torino!), una dimostrazione di come si consideri degni visione solo blockbusters come ‘Cars’(bellissimo, ma legato a un merchandising sfrenato), ‘La Gang del bosco’ (mediocre clone delle varie ‘età glaciali’) e tutto il targato Disney, ma in fondo solo perché proiettati nei multisala, cioè in quei luna-park per famiglie in cui ogni film va giù liscio tra coca-cola e pop-corn. Il film di Ocelot, volutamente bilingue (arabo/italiano) e per giunta non doppiato (!), richiederebbe troppa concentrazione a platee desiderose solo di risate facili o di commozione pelosa da lasciarsi subito dopo alle spalle … sarebbe stato un film da far vedere a platee multirazziali per poi confrontarne idee e impressioni, mentre così il lungo e accurato lavoro del regista francese non lascerà alcuna traccia, un pò come era accaduto per il bellissimo ‘La città incantata’ di Hayao Miyazaki (sale pressocché vuote). Il nostro Paese vive sugli allori di un grande passato, si gloria di artisti della cui opera si è appropriato dopo averli emarginati in vita: insomma, vive di luce riflessa ma ormai da decenni ha abbandonato quel mecenatismo che aveva consentito la fioritura delle belle arti a favore di un’arida mentalità bottegaia che intimamente disprezza ciò che non porta utili immediati: pur senza ammetterlo, considera ancora gli artisti degli inutili parassiti, a meno che non facciano soldi a palate da subito. Pertanto, non gli dobbiamo niente. Mi sto rivolgendo a coloro che vogliono fare animazione non perché la considerano un modo come un altro per sbarcare il lunario, ma sopra tutto il mezzo per esprimere compiutamente ciò che sono: insistete, create, progettate, girate il mondo anche virtualmente ma non lasciate che le vostre idee appassiscano nel livore e nello scoramento. Svegliarsi ogni giorno con l’assillo dei conti perennemente in rosso è pesante, lo so bene, ma ciò che abbiamo dentro è un dono prezioso che val la pena di salvaguardare a ogni costo. Questo settore sarebbe una risorsa produttiva enorme per il nostro asfittico Paese ma non importa: conta solo potersi esprimere, che sia qui o altrove è irrilevante. In Oriente e Medio Oriente si sono evoluti facendo gli ‘schiavetti’ per i Paesi occidentali ma nel frattempo hanno investito l’esperienza accumulata per creare un solido mercato produttivo interno che, oggi, sta dando origine anche a opere di alto valore artistico: invece di accusare i Cinesi di non rimanere immobili come noi, forse dovremmo anche noi provare a ripartire dal basso magari ,come si suggeriva proprio durante il convegno, facendosi le ossa su progetti più semplici; ma aggiungo io, siccome è improbabile che qui tale sforzo venga poi reinvestito efficacemente, ‘sti benedetti progetti realizziamoli per conto nostro e chissà che la volontà non superi anche le carenze organizzative. E non guardiamo ai Paesi europei come all’Eldorado: se in Francia, Belgio, Inghilterra o Spagna si possono permettere maggiori scelte e di investire più risorse è solo perché si è creduto in un progetto che ha reso solido il loro mercato permettendo di reinvestirne gli utili, e tale redditività ha convinto anche le aziende private a finanziare la formazione di giovani professionisti; non è tutto rose e fiori, hanno i loro piccoli e grandi problemi, ma a differenza di noi hanno creduto nell’animazione come settore su cui puntare. Ciò riporta,infine, ad un equivoco di fondo emerso durante il dibattito in sala: cercando di definire la strategia dell’ASIFA, alcuni soci chiedevano di costituire una commissione per spiegare ai politici i vantaggi nell’adattarsi alle strutture estere, soprattutto in ottica occupazionale o quantomeno di definire solidi parametri retributivi che regolino i rapporti tra produttori e manodopera, punto quest’ultimo da valutare eventualmente insieme a CARTOON ITALIA (associazione di imprese nata su iniziativa della stessa ASIFA Italia). Se su quest’ultima istanza pesa non poco la sempre maggiore confusione di ruoli professionali che rende difficile definire l’animatore vero e proprio dalle altre figure, la prima richiesta si arena irrimediabilmente su quello che attualmente sembra essere l’unico vero punto fermo dell’ASIFA It., ovvero il non potere e non volere svolgere un’autentica attività sindacale. Si ammette velatamente la differenza tra teoria e pratica (se anche vi fossero delle regole precise non è detto che le aziende vi si atterrebbero alla lettera), ma emerge da ciò come per molti aspetti si sia rimasti fermi alla semplice fiducia tra le parti, che spesso costringe il lavoratore a rinunciare ai propri diritti (non definiti, peraltro) per continuare a lavorare. Ma anche in questo caso pare inutile puntare il dito contro i cosiddetti ‘padroni’, i quali, escludendo in partenza gli inevitabili ‘furbetti’ protesi esclusivamente al lucro, risultano a loro volta soprattutto vittime di una lotta per la sopravvivenza che non permette cedimenti alla filantropia. Dunque, come per le aspirazioni artistiche, anche per quanto riguarda la tutela dei diritti la riscossa deve quindi ripartire ‘dal basso’, ovvero da tutti i lavoratori del settore: gli incontri ARTEANIMAZIONE hanno confermato un’assenza costante delle manovalanze dell’animazione in tutte le occasioni in cui avrebbero potuto far sentire la loro voce: a parlare sono sempre soprattutto produttori, sceneggiatori, insegnanti e vecchie glorie ma, a parte l’intervento già citato di un’aspirante animatrice (cui è seguito un gelo inquietante), silenzio assoluto dagli altri, studenti compresi, forse già entrati nell’ottica del ‘meglio mazziati che disoccupati’. Se si vuole davvero essere ascoltati dalle istituzioni, ovvero uscire dall’ ‘invisibilità’, occorrerebbe riuscire a definirsi come categoria; e per far questo non c’è altra via che intraprendere un’azione unitaria, contarsi, organizzarsi, nominare dei portavoce che si occupino esclusivamente di perorare la propria causa in modo costante e convinto, conquistarsi insomma un diritto alla volta. Occorrerebbe essere in tanti, e uniti. Affidare la tutela dei propri interessi ad una struttura solida permetterebbe anche ai professionisti di dedicare più tempo alla realizzazione delle proprie opere, senza disperdere le energie nella perenne lotta contro i mulini a vento, e contribuirebbe a contrastare la crescente ‘fuga di matite’ all’estero, assai paventata al convegno. Sfortunatamente, più ancora che negli altri settori dell’arte, l’animazione italiana continua ad essere una galassia di monadi ripiegate su se stesse, asserragliate in una sterile difesa del proprio orticello. Il problema è che per ottenere qualcosa di concreto ci vorrebbe tempo e pazienza, ma le troppe delusioni e la precarietà endemica che affligge la professione nel nostro Paese non invogliano nemmeno le nuove leve ad intraprendere azioni che metterebbero in discussione gli attuali fragili equlibri. In ogni caso, come detto, il ruolo di ASIFA Italia non potrà mai essere quello di portavoce di istanze sindacali: non lo può fare costituzionalmente, essendo formata da categorie eterogenee e non di rado in conflitto tra loro. Ciò che di prezioso essa potrebbe fare, ed è stato più volte suggerito, è monitorare quanto continua s mantenga l’attività lavorativa in modo da fornire dati costanti al ‘braccio politico’; inoltre, promuovere la formazione e l’aggiornamento anche fuori dall’ambito puramente ‘scolastico’, creare spazi in cui sviluppare l’autonomia creativa e aiutare gli autori a difendersi dai vincoli non legittimi alla loro discrezionalità. Tutto ciò sarebbe realizzabile solo se potesse (e volesse) appoggiarsi a una struttura, appunto, ‘politica’ che lavorasse incessanetmente per ottenere dalle istituzioni le garanzie di tutela necessarie. Non è un percorso facile, c’è da lottare contro mentalità e pregiudizi consolidati oltre che con difficoltà pratiche oggettive; c’è da riagguantare il treno di un mercato che sta andando avanti senza di noi, e da scavarsi una nicchia solida nel sistema socio-economico nazionale. Ma se qualcosa è emerso dalla ‘due-giorni’ torinese è senza dubbio che solo con una strategia realistica ed efficace, impostata sul lungo periodo, si potrà evitare che l’animazione nostrana non si riduca nel giro di non molto tempo ad attività dilettantesca, marginale e fine a se stessa. [Eric Rittatore]

Print itManda/Send via eMailDomenica, 26/11/2006 - Autore: Eric Rittatore (se non altrimenti indicato)
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