Annecy: riflessioni conclusive...o no?

Il festival del cinema di animazione di Annecy si è chiuso  sabato scorso con l'assegnazione dei premi ai vincitori durante una serata brillantemente condotta dalla delegata CICA Tiziana Loschi e dal direttore artistico Serge Bromberg, arrivati a bordo di una 500 gialla in mezzo a una scenografia con tanto di colosseo in miniatura e chiosco-bar da 'notti magiche mondiali'(e Bromberg ha scherzato spesso sulla passione per il calcio collettiva) . Questa 30. edizione vedeva l'Italia come paese ospite e numerose sono state le sezioni dedicate all'animazione nostrana, dai classici a quella più recente e sperimentale; ma se le coppie Gianini/Luzzati e Bozzetto/Manuli sono ormai  ovunque garanzia di alto gradimento, purtroppo non sempre le 'nuove leve' hanno saputo convincere altrettanto, a parte l'ormai consolidata 'corrente neopittorica' dei vari Toccafondo, Catani, Ferrara...l'impressione è che si sia un pò persa quell'identità artistica forte che non a caso l'organizzazione del Festival ha voluto incarnare nella 'Linea' di Cavandoli, autentico vessillo che sventolava lungo le vie principali della città. E proprio all'Osvaldo nazionale è legata uno dei momenti più emozionanti, ovvero la 'standing ovation' tributatagli dal pubblico nella cerimonia inaugurale("...nei cinema italiani non ho mai sentito tanti applausi..." - ha scherzato), uguale a quelle ricevute da maestri di più recente successo quali Tim Burton e Michel Ocelot. Questi ultimi hanno dato vita a due affollatissime conferenze: il primo ha asssitito insieme al pubblico alla proiezione de 'La sposa Cadavere', gotica favola in stop motion da lui ideata, prodotta e in parte diretta, quindi ha risposto in modo spigliato alle tante domande di fans al limite dell'idolatria(per quanto, ed è un parere del tutto personale, da un pò di tempo la sopraffina qualità tecnica dei suoi lavori non si accompagni più a trame davvero convincenti); il secondo si è dimostrato ancora una volta artista colto e intelligente, attento al messaggio educativo senza rinunciare all'estrema raffinatezza che lo distingue nettamente dalle produzioni ipercinetiche che oggi sbancano i botteghini. Il suo 'Azur e Asmar'(presentato in anteprima al festival) pur con qualche pecca nell'animazione 3D, è divertente, epico e poetico insieme, e ci regala un paio di personaggi memorabili quali il caustico clochard Crapoux(Ocelot ha ammesso di identificarsi molto in quest'uomo un tempo idealista poi caduto in disgrazia e abbruttito dalla vita, che sputa sul paese che lo ospita ma che intimamente ne riconosce la nobiltà e che aiutando Azur troverà riscatto) e l'infanta principessa Chamsous Sabah, 'il futuro del suo popolo', peperino arguto e vivacissimo, ricca di ingegno, entusiasmo e curiosità ma anche di estremo pragmatismo intellettuale e politico. Ocelot ha deciso che la lingua araba nel film non verrà mai sottotitolata allo scopo di mantenere l'effetto straniante che il protagonista, Azur, subisce al suo arrivo in terra straniera, impossibilitato a comunicare con gli altri: così come per gli autoctoni la superstizione porta a giudicare lui un mostro per i suoi occhi azzurri, così fintanto che il giovane si ostina a voler afferrare la nuova realtà senza coglierne il contesto, la comprensione rimane  impossibile(argomento di grande attualità, oggi). Solo con la volontà di andare oltre(Azur chiude gli occhi per non vedere il brutto, e così facendo ritrova la via, poichè abbandona i pregiudizi nati dall'apparenza) e con la conoscenza reciproca si può imparare a vivere sotto entrambe le culture, così come ci insegna la saggia Jenane, madre di Asmar e nutrice di Azur, la quale ha sperimentato miserie e nobiltà di Occidente e Oriente e ne compatisce la reciproca cecità. La lingua è il contatto più diretto e per questo più aperto ai fraintendimenti secondo Ocelot, ma sotto sotto a unire ogni idioma c'è quell'intima melodia che nasce dalla comune natura umana. Il ballo collettivo del finale diventa così un inno alla tolleranza, all'accettazione delle differenze ma anche una teatrale sfilata degli attori di questa bellissima avventura, nobilitata anche dalle bellissime scenografie 'bizantineggianti'. Tornando alla serata finale, altro gran momento di spettacolo è stato vedere vari artisti cimentarsi col doppiaggio della 'Linea' (i migliori si sono rivelati Tiziana Loschi e Francesco Testa, che ha utilizzato una sorta di efficace gramelot franco-italiano), prima che venisse proiettato un video dedicato all'autentico doppiatore del personaggio, Carlo Bonomi, talmente legato al suo successo da far dire allo stesso Cavandoli(all'esposizione del CITIA dedicata all'animazione italiana si poteva ammirare anche una sua statua in miniatura): "Gli ho chiesto una sola cosa: che crepi dopo di me!". Tra i non premiati della serata vorremmo ricordare almeno due opere che ci sono piaciute molto: "Ish' dello statunitense John Lecter, con i bellissimi disegni di Peter H. Reynolds a spiegare quanto possa essere facile da bambini perdere il gusto di fare le cose(disegnare, in questo caso) se non si è incoraggiati o, peggio, si viene derisi; e 'Printed rainbow' dei Gitanjali Rao(India), delicata metafora sul potere della fantasia di fronte allo squallore quotidiano: se non si perde la capacità di vederli, i colori possono rinascere dappertutto. In fondo, l'animazione è anche questo.

Print itManda/Send via eMailMercoledì, 14/6/2006 - Autore: Eric Rittatore (se non altrimenti indicato)
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