1 Agosto 2018 10:30

Annecy 2018 La casa Lobo. Un inquietante film sui traumi infantili.

Uno dei film che ha colpito il pubblico durante il Featival d’Annecy è stato il lungometraggio cileno “La casa Lobo” di Cristòbal Leòn e Joaquìn Cociña. Un film inquietante realizzato con genialità mischiando insieme un gran numero di tecniche d’animazione in Stop Motion che portando avanti la storia costruiscono l’azione scena dopo scena nel vero senso della parola. Ovvero mostrando senza paura la costruzione progressiva dei pupazzi animati e l’ombra dell’intervento umano nelle animazioni, rendendola una parte preziosa.

La sperimentazione è usata continuamente per raccontare una storia che porta chi vede il film a scavare con precisione nelle proprie sensazioni, riuscendo a portare allo scoperto sentimenti forti, costruendo e distruggendo scena dopo scena, senza fermarsi e portando progressivamente a provare inquietudine e paura che hanno il sapore di quelle che si provavano durante l’infanzia. Quella del pericolo nascosto nel buio, pronto a colpire senza pietà e da cui è impossibile fuggire.

La storia parte con un ritrovamento fittizio della bobina di un film prodotto negli anni ’60 e fatto all’interno di Colonia Dignidad una comunità isolatissima fondata da immigrati tedeschi che in Cile è tristemente nota per gli orrori e gli abusi che al suo interno sono stati commessi.

La pellicola ritrovata viene mostrata come una testimonianza unica nel suo genere perché racconta di questa comunità offrendo il punto di vista dei suoi componenti.

Il tono del film è lo stesso delle fiabe. In questa comunità tutti i bambini erano felici, attenti e buoni, solo una ragazzina, Maria, era disubbidiente e non si impegnava mai nei lavori che le erano affidati. Un giorno perse i porcellini che aveva portato al pascolo e per farsi perdonare avrebbe dovuto fare una penitenza durissima. Ma piuttosto che farla preferì fuggire via.

Nel bosco venne inseguita dal lupo. Ma trovò una misteriosa casa abbandonata e ci si nascose decidendo di restarci e non tornare più indietro.

Da questo punto tutto ciò che viene raccontato nella vecchia casa in rovina viene animato e dipinto al suo interno usando e trasformando mura, mobili e immondizie della casa, come a sottolinearne il ruolo da protagonista. Maria gira al suo interno e appare venendo dipinta sui suoi muri con murales animati modificati di continuo. Può diventare un pupazzo e muoversi, camminare o stare seduta venendo assemblata ammucchiando plastica, ricoprendola di carta pesta che viene poi dipinta e lentamente di nuovo smembrata o trasformata in uccellino o altri animali.

Il mistero della casa è fitto, non si può spiegare e consente alla protagonista di fare cose incredibili ma che possono esistere solo al suo interno.

In un infinito scorrere di pensieri a alta voce la protagonista chiusa in casa ricrea una vita ideale. Trova in casa due maialini e grazie alla magia datale dalla casa li trasforma in bambini. Una sua famiglia con un figlio e una figlia di cui prendersi cura, amare e salvare dal lupo, continua minaccia che le parla e aspetta il giorno in cui uscirà.

La continua costruzione degli ambienti rende difficile capire se passino anni o siano tutte immaginazioni di poche settimane. Ma la situazione felice inizia a rompersi. La mancanza di cibo e il divieto di uscire portano malattie, il legame con i figli si incrina e iniziano a odiarla.

Una situazione sempre più pesante che porta la protagonista a sentirsi in pericolo nel restare nella casa, ma non potere uscire perché finirebbe presa dal lupo.

Una progressione angosciante che si chiuderà in modo ambiguo. Solo alla fine una scritta ci fa scoprire che Maria è ispirata a una persona vera che sta passando la sua vita aiutando i bambini vittime di abusi sopravvissuti alla comunità o a altri orrori.

Finito il film si è tenuta la conferenza stampa. Naturalmente ci aspettavamo spiegazioni sul film, fortunatamente non sono mancate.

A rispondere alle domande era presente il co regista Joaquìn Cociña. Che insieme a Cristòbal Leòn ha scritto, diretto e animato il film.

Aurore Fossard De Almedia ha moderato l’incontro.

La lavorazione ha richiesto cinque anni e il set era un vecchio edificio dove lavoravano in media undici ore al giorno tutti i giorni. Loro due sono stati gli animatori più assidui, anche nel periodo in cui Cristòbal Leòn era partito per lavorare in Messico facevano lunghe discussioni tramite Skype visionando il girato. Ma hanno avuto la collaborazione occasionale di molti amici che hanno contribuito al film proponendo idee che ne sono diventate parte.

Questo è stato possibile perché la storia è stata fatta senza uno storyboard o una trama nettamente delineata. Inizialmente avevano fatto entrambe le cose con cura. Ma procedendo col lavoro si resero conto che questo limitava le possibilità creative. Così decisero di sostituire la trama con un canovaccio che permetteva improvvisazioni. Per evitare che questo modo di procedere generasse differenze di tono nel film decisero dieci regole da seguire scrupolosamente per raccontare la storia e mantenere uno stile continuo.

Una di queste regole era che Maria è bellissima qualsiasi tecnica si usi per rappresentarla.

Nel loro modo di fare animazione preferiscono la Stop Motion perché da la possibilità di utilizzare gli oggetti, soprattutto gli piace lavorare con oggetti vecchi e visibilmente usati. Trasformarli e inserirli nel racconto. Per questo motivo gli autori dicono che il loro film racconta due storie. Una è quella dei personaggi, l’altra quella della materia usata per raccontarla. Ai loro occhi le due storie hanno uguale importanza.

Parlando di ispirazioni ammettono la grande influenza di David Lynch. William Kentridge e soprattutto di Jan Švankmajer nei loro film. Ma tra le regole c’era anche quella di far si che l’ispirazione non portasse gli spettatori a pensare di stare vedendo un film fatto da uno di questi registi.

La storia è strutturata come una fiaba, a raccontarla è quasi sempre la voce narrante della protagonista. Ma è strutturata anche seguendo la narrazione continuo che avviene nei sogni (o incubi).

Tutto questo fatto per raccontare tramite metafore una storia tragica. Quella di “Colonia Dignidad”, fondata nel 1961 da un criminale nazista scappato in sud America era un luogo isolata dal resto del paese da mura e campi minati. Apparentemente doveva essere un posto ideale, ma in mezzo a quegli immigrati tedeschi trovarono rifugio decine di criminali nazisti. Seguivano regole severe che mischiavano idee di superiorità e purezza razziale, una visione religiosa traviata e estremista, il rifiuto delle tecnologie e della scienza. Si vietava il sesso e maschi e femmine dovevano vivere separati, ma il fondatore praticava la pedofilia senza ritenerla un problema, i giovani nati lì ignoravano qualsiasi cosa sulla sessualità e le punizioni per chi trasgrediva erano crudeli.

Una colonia durata per più di trent’anni tra il silenzio del governo cileno, che traeva strani vantaggi da questa gente utilizzando il posto come lager dove torturare e far sparire gli oppositori al regime di Pinochet e luogo dove insegnare ai militari come torturare.

Il governo cileno ha coperto per anni le loro azioni, sia per l’implicazione detta sopra che per la grande ammirazione che i cileni hanno sempre avuto per la Germania (ancora oggi molto amata e presente) che porta a nascondere e tollerare molto eventuali irregolarità.

La triste storia degli abitanti di questa colonia in Cile è molto conosciuta e esistono film e documentari che la raccontano. Così quando i due registi hanno deciso di realizzare il loro film volevano fare qualcosa di diverso. Un racconto visto dal punto di vista degli abitanti della colonia convinti di essere nel giusto. Dove si parlasse di pedofilia e di una ragazzina fuggita nel bosco per salvarsi senza dire direttamente la cosa ma facendola capire, sottilmente, con i dialoghi che ha con il lupo. Dove questo continuamente le dice che riuscirà a prenderla, le vuole bene e sta sbagliando a scappare da lui.

Il film non è sulla cattiveria umana ma sul male nella società. La gente della colonia non può essere considerata malvagia perché il loro stile di vita aveva portato a considerare normale un comportamento terribile. Erano diventati come bambini nel senso peggiore del termine.

Joaquìn Cociña non è un fan dei film horror, ma trova sbagliato far finta che le storie tristi non esistano e pensa che raccontare tutto come mistero renda la storia più interessante.

Il film è stato proiettato alla Berlinale e ha già trovato distributori in Germania e Sud America. La loro idea e tentare di distribuirlo in più paesi che possono in cinema, musei e gallerie d’arte per poi dare la possibilità di scaricarlo gratis.

Un simile lavoro non poteva passare inosservato, infatti a Annecy ha vinto il Premio menzione speciale della giuria. Forse l’unico stupito è stato Joaquìn Cociña.

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Il film ha già fatto la sua comparsa in alcuni festival in Italia. Già adesso è facile immaginarlo al TOHorror Film Fest, che da anni da grandi soddisfazioni agli appassionati d’animazione.

Senza dubbio il lungometraggio più inquietante tra quelli in gara a Annecy 2018.