Isao Takahata, con pura poesia

Si è spento a 82 anni il grande regista di animazione giapponese, autore di capolavori come “Heidi”, “Anna dai capelli rossi”  e “Una tomba per le lucciole”, fondatore con Hayao Miyazaki dello Studio Ghibli

Su un’altalena tra le montagne, sospesa nel cielo: così, nella sigla di apertura, volava libera e felice la piccola Heidi, protagonista della prima serie animata giapponese andata in onda in Italia, il 7 febbraio 1978. La storia della bimba svizzera che viveva con il nonno tra i monti ebbe un grande successo, e diede inizio all’ondata dell’animazione nipponica nel nostro paese, che rivoluzionò nei decenni successivi l’immaginario delle giovani generazioni e il mondo dei cartoni animati.

Heidi non affascinò bambini e adulti solo per le novità stilistiche ed espressive. La sua storia era un gioiello dell’animazione, un’opera meravigliosa, di rara sensibilità. Il suo autore, Isao Takahata, si è spento lo scorso 5 aprile a Tokyo, all’età di 82 anni. Un maestro del cinema animato, appassionato di musica, arte e poesia, che non raccontava battaglie epiche o mondi immaginari, ma l’incanto e la bellezza della vita quotidiana, dei sentimenti e della natura. In Heidi, la sua prima serie animata, ci sono già questa profondità e delicatezza, che si ritrovano nelle sue opere successive.

Takahata nasce a Mie, nell’isola di Honshu, nel 1923. Si appassiona alla storia dell’arte, e si laurea all’Università di Tokyo in letteratura francese. Ama in particolare la poesia di Prévert, che tradurrà dal francese al giapponese. A 23 anni vince un concorso ed entra a far parte, come allievo regista, della Toei Doga, uno dei principali studi di animazione dell’epoca. Qui fa un incontro fondamentale: quello con Hayao Miyazaki, un altro grande maestro dell’animazione giapponese, con cui nascerà un’amicizia e un profondo sodalizio artistico e intellettuale. Nel 1968 Takahata debutta come regista, con il lungometraggio La grande avventura del piccolo principe Valiant (Taiyo no oji – Horusu no daiboken), con la collaborazione di Miyazaki per layout e fondali. È un passo importante, che segna l’inizio di un cammino personale e originale. Il film  non è rivolto solo ai bambini, come le altre produzioni Toei, ma anche agli adulti, e presenta soluzioni artistiche e stilistiche nuove. È anche la nascita di un affiatamento con Miyazaki, che crescerà negli anni.

È a partire dagli anni ’70, con la serialità televisiva, che il regista può dare piena espressione al suo stile. Dopo Heidi (Arupisu no shojo Heidi),  del 1974, basato sul romanzo della scrittrice svizzera Johanna Spyri, firma altre due serie ispirate alla letteratura occidentale per ragazzi: Marco – Dagli Appennini alle Ande, (Haha wo tazunete sanzenri, 1976), tratto dall’omonimo racconto del libro Cuore, e Anna dai capelli rossi (Akage no Anne), del 1979.

Come Heidi, questi anime – in particolare Anna dai capelli rossi, un altro capolavoro – sono opere di pura bellezza, di dolce poesia. E i protagonisti sono ancora dei bambini. Takahata riesce a raccontarne in modo magistrale le emozioni, la sensibilità spesso incompresa e ferita dal mondo adulto,  il dolore e la  fatica di crescere, e soprattutto la gioia e il desiderio di felicità che ogni bambino porta con sé. E il loro legame con la natura, rappresentata in tutta la sua meraviglia, che il regista sa trasmettere con l’intensità, l’incanto e il senso di profonda riverenza proprio dello spirito giapponese.

Nel 1984 il regista produce il film animato di Miyazaki Nausicaa nella valle del vento (Kaze no tani no Naushika), che ha un grande successo. I due amici, però, si scontrano con i produttori Toei che vorrebbero opere più commerciali, e così decidono di creare una propria casa di produzione: nasce lo Studio Ghibli.

Nel 1988 Takahata dirige il suo primo lungometraggio per lo Studio Ghibli, lo splendido Una tomba per le lucciole (Hotaru no haka). Tratto dal romanzo di Akiyuki Nosaka, anche questo film è la storia di due bambini: due fratellini, Seita e la piccola Setsuko, che vivono l’orrore della guerra a Kobe, durante il secondo conflitto mondiale. In un racconto toccante e straziante si ripercorre la loro sofferenza: i bombardamenti aerei, la morte della madre e del padre, la vana ricerca di un aiuto e di calore umano. Mentre Heidi, Anna e Marco dopo il dolore trovano la salvezza e la felicità, Seita e Setsuko sono soli in un mondo indifferente e spietato. L’unico sprazzo di luce nella disumanità che li circonda è l’amore reciproco, e brevi momenti di sogno, di illusione, come la danza delle lucciole che li sfiora nel cielo notturno. Il capolavoro di Takahata è un’opera cruda e neorealista, senza lieto fine. Un film duro e commovente contro la follia della guerra, che riflette un episodio traumatico dell’infanzia del regista: durante il secondo conflitto mondiale, dopo un bombardamento, per due giorni rimase separato dai genitori, e credette di non ritrovarli vivi. Un’esperienza terribile che ne segnò la vita e la sensibilità, e che si esprime anche nelle sue altre opere, dove c’è spesso il distacco, il dolore della perdita – Heidi, Anna e Marco sono orfani o quasi orfani – anche se, alla fine, c’è la possibilità di un futuro felice.

Se Takahata, antimilitarista ed ecologista, in Una tomba per le lucciole narra con coraggio e lucidità la tragedia della guerra, nelle sue pellicole successive prevarrà ancora il desiderio di raccontare la bellezza, la ricerca della felicità. Così in Pioggia di ricordi (Omohide Poroporo, 1991) una giovane donna, a un bivio della vita, trova nella campagna della sua infanzia la forza di riscoprire i suoi sogni; in Pompoko (Heisei tanuki gassen Ponpoko, 1994) si narra la vicenda di un gruppo di tanuki, creature del folclore giapponese simili ai procioni, che rischiano di perdere il loro habitat a causa degli insediamenti umani; I miei vicini Yamada (Hōhokekyo tonari no Yamada-kun, 1999) è la storia di una famiglia nella sua quotidianità, raccontata con umorismo e leggerezza.

L’ultimo film del regista, La principessa splendente (Kaguya-hime no monogatari, 2013), nominato all’Oscar per l’animazione, si ispira alla fiaba tradizionale giapponese Storia di un tagliabambù. È un lungometraggio disegnato interamente a mano, con tratti intensi e delicati. La protagonista è una bimba bellissima, trovata da un tagliatore in una pianta di bambù. Diventata una stupenda ragazza, è contesa da molti principi, e dall’imperatore del Giappone; ma non può sposare nessuno di loro, perché non è una terrestre, ma una creatura soprannaturale, una “principessa splendente”, venuta dalla luna. E lì tornerà, dopo aver indossato una veste magica che le permette di volare: “non ricorderà più niente della sua vita sulla terra, ma ne avrà sempre nostalgia”. Una storia struggente e malinconica, intrisa di “bellezza e tristezza”, l’addio di un meraviglioso artista dell’animazione, di un uomo di rara profondità, semplicità e gentilezza, qualità dei grandi.