17 Dicembre 2016 09:00

L’animazione è una coreografia: conversazione con Maria Pia Santillo

Ospitiamo oggi l’intervista che Cartùn , associazione genovese per la promozione e la valorizzazione del cinema di animazione in tutte le sue forme e linguaggi, ha realizzato con la giovane (e brava) autrice Maria Pia Santillo in coincidenza con l’uscita del suo libro “Conversazioni animate“, edito dai tipi berlinesi di RAUM Italic e distribuito in Italia da Corraini. Dodici artisti dell’animazione che si raccontano, da Beatrice Pucci a Simone Massi, da Magda Guidi a Donato Sansone, passando per Mara Cerri e Mauro Carraro, con una preziosa introduzione di Bruno Bozzetto per provare a rispondere a quelle due semplici e universali domande che da sempre aleggiano su questa meravigliosa e difficile modalità espressiva: “Che cosa è l’animazione? Perché si finisce col praticarla?” – inoltre, aggiungeremmo noi, “cosa la rende così versatile da risultare adattabile a tanti contesti e stilemi così differenti tra loro?”.

In attesa di recensire il libro, i quesiti sono stati girati alla stessa autrice…

C: Comincerei con una tua breve presentazione.

Sono nata a Benevento nel 1986. Dopo essermi diplomata al Liceo Classico, mi sono laureata in Giurisprudenza all’Università di Siena discutendo una tesi in Diritto del Lavoro. Nel 2013 grazie ad Adriano Vessichelli ho scoperto l’animazione d’autore.

Adriano mi ha fatto vedere cortometraggi come La joie de vivre di Gross & Hoppin, Sisyphus di Jankovics e La memoria dei cani di Simone Massi. Cose che non avevo mai visto prima. Da quel momento ho iniziato la mia ricerca in solitaria.

C: In una precedente intervista hai spiegato che sei passata all’arte applicata “quando lasciai la danza classica. Perché la lasciai.” Potresti spiegarci meglio questo percorso?

In quell’intervista mi veniva chiesto quando e perché avessi iniziato a fare video-collage. Risposi quello che hai virgolettato. Ho fatto danza classica per tanti anni. La mia infanzia e la mia adolescenza le associo essenzialmente alla danza. Poi ho smesso e non ho mai più voluto riprendere. Bisogna sempre cercare dei modi per elaborare certe irrisolte mancanze: io l’ho fatto prima con i collage, poi con i video-collage. È stato un processo molto lento e spontaneo, in continuo divenire.

C: Passiamo dunque ai video-collage: in cosa consistono e perché questa scelta espressiva.

La mia non è una specializzazione accademica. Sono un’autodidatta. Ho un approccio amatoriale, da Super8. Per video-collage intendo video di montaggio. Ne ho realizzati due: LUX e Carnival of a dreamer.

Nel 2006 vidi Un’ora sola ti vorrei di Alina Marazzi e trovai particolare il suo modo di raccontare una storia attraverso filmini di famiglia, materiale found footage, cartoline e suoni di epoche passate montate in maniera emozionale seguendo il flusso di qualcosa che sai che è in te ma che non vedi.

C: Oltre ai già citati cineasti, altri dei tuoi artisti di riferimento.

Mi piace molto il “choreocinema”: Maya Deren, Len Lye, Norman McLaren, Busby Berkeley, Oskar Schlemmer, Virgilio Villoresi… In generale, tutti gli artisti che creano sinestesie permettendoti di ascoltare con l’occhio e vedere con l’orecchio.

Jean Cocteau, invece, ricorre spesso nei miei sogni. Poi c’è un artista speciale per me: Franco Battiato. A volte mi ritrovo a ripetere versi di sue canzoni come se fossero preghiere. Lui ha sperimentato molto con collages sonori alla maniera di John Cage: Cafè-Table Musik è immensa.

C: Qual è la tua concezione di cinema, e di cinema di animazione?

Sono sempre molto attenta all’etimologia delle parole. “Cinema” deriva dal greco κίνημα  che significa “movimento”. Il cinema per me è essenzialmente movimento. Per quanto riguarda il cinema d’animazione ho una visione mclareniana: l’animazione è l’arte del movimento coreografato inteso come scrittura di passi di danza in uno spazio infinito. Non è un’arte di riproduzione della realtà ma di sguardi, visioni interiori, ritmi. Se fossi una regista d’animazione, concepirei il mio cortometraggio come una coreografia. Una differenza tra danza e animazione però c’è: la danza è corporea, l’animazione oltrepassa i limiti della corporeità. È disancorata dalle leggi della fisica. È un’illusione viva.

C: Negli ultimi tempi sono sorte associazioni molto attive per la parità di genere nel campo cinematografico e artistico: una tua opinione sul tema, anche in base alla tua esperienza?

Non faccio parte di associazioni legate al cinema d’animazione. Ne conosco poco le dinamiche. So di associazioni “militanti” come La Fabbrica dell’Animazione e di nuove iniziative volte all’aggregazione come gli Aperitoons di Emiliano Fasano. Trovo che gli scambi di idee dal basso siano essenziali, in ogni settore.

Courtesy of Pasquale Palmieri.

C: Puoi dire qualcosa riguardo alla tua collaborazione con Beatrice Pucci sulle fiabe di Calvino?

Il progetto di Beatrice è ancora in fase di ricerca fondi quindi non posso dire molto. Il suo è un cinema materico, svankmajeriano. Un cinema nel quale l’occhio e la mano sono speculari, collaborano incessantemente a creare qualcosa di artigianale, senza tempo.

C: Parliamo di “Conversazioni animate”, una sorta di libro interattivo sull’animazione italiana: come nasce e cosa si propone? Che giudizio ti senti di dare riguardo allo stato del settore nel nostro Paese?

Courtesy of Pasquale Palmieri.

Conversazioni animate è un libro di, per l’appunto, conversazioni con dodici registi d’animazione italiani. Mi piaceva l’idea di far raccontare l’animazione dai registi, partendo dalle loro esperienze personali e artistiche. Nel libro ci sono molti aneddoti, riflessioni, istanti di vita. Ho selezionato registi con età e percorsi molto diversi ma accomunati dallo stesso approccio pittorico-materico all’animazione. Alla fine ho trovato la risposta alla domanda attorno a cui ruota tutto il libro: “Cosa vuol dire fare animazione?”. Inoltre, c’è l’incontro con Bruno Bozzetto, con cui ho parlato dell’evoluzione dell’animazione italiana a partire dagli anni ’60 ad oggi, focalizzandomi su tre macroargomenti: pubblicità; produzione; nuova scena animata italiana.

Courtesy of Pasquale Palmieri.

Credo che l’animazione italiana stia davvero vivendo la sua “Nouvelle Vague di Cartone“, come l’ha definita Gianni Canova in tempi non sospetti.

C: Pensi di percorrere nuove strade nella tua ricerca artistica?

Non so se definire “artistica” la mia ricerca. È di sicuro una ricerca molto appassionata, attenta. Talvolta anche ossessiva. In futuro mi piacerebbe realizzare un libro animato come “Le livre joujou” di Jean-Pierre Brès (1831). Colleziono libri pop-up da quando ero bambina, poterne realizzare uno mio sarebbe bello…

In attesa di vederlo realizzato, grazie di cuore Maria Pia, e buon vento per il prosieguo della tua ricerca o, meglio, del tuo cammino che siamo certi è ancora soltanto al principio.

A presto!